Smiles

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Sentiva come se le pareti attorno a lei la stessero guardando mentre camminava per il corridoio sin troppo familiare. Poteva sentirle urlarle contro, ridere attraverso il loro intonaco scheggiato e lacerato. Poteva sentirle guardarle il vestito, lo stesso che aveva indossato la sera prima, il tessuto appeso pigramente sulla spalla nuda ma ben stretto sulle gambe. Andava di fretta quando l'aveva indossato quella mattina, le sue mani fragili avevano lavorato per tirare il vestito giù per la sua testa boccolata. Era umiliante camminare per le strade di Londra alle sei di mattina con gli stessi vestiti del giorno prima, e i tacchi scamosciati nella sua mano.

Odiava sentirsi umiliata – presa in giro.

Ma più di tutto, odiava quel posto. Era dolorosamente familiare per lei, ma non importava quante notti avesse dormito sul materasso lacerato sul pavimento della sua piccola camera, e non importava quanto spesso fissasse il soffitto e quante volte avesse contato le immagini senza bordi sulle pareti – non avrebbe mai e poi mai chiamato quel posto 'casa'.

Era ironico come solo un'ora fa si fosse svegliata in una camera lussuosa, su delle lenzuola di seta, con un uomo fatto di denaro sdraiato accanto a lei. Sognava di svegliarsi così tutte le notti; odorando la ricca vernice dei muri attorno a lei, guardando fuori dalla finestra la vista magnifica.

Era ingiusto che le persone che erano nate con privilegi considerassero tutto questo come scontato.

La sua mano si infilò nella piccola borsa, ignorando la pila di sterline e raggiungendo il mazzo di chiavi sotto di essa. In questo momento era un disastro e lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene. I suoi occhi scuri erano anormalmente insicuri di loro stessi, un senso di vulnerabilità si mescolò con le tonalità del marrone. Le sue spalle, che normalmente erano in una postura confidente, erano crollate dalla fatica. Quando Mr. Styles diceva tutta la notte, voleva dire veramente tutta la notte.

Lui aveva tolto il suo corpo da sopra di lei, a malincuore, verso le tre del mattino, dando a Carmen solo due ore di sonno prima che si svegliasse e che, in silenzio, fuggisse dal suo appartamento. Non aveva sentito neanche un briciolo di senso di colpa per averlo lasciato ancora una volta così all'improvviso. Gli aveva lasciato un bigliettino sul cuscino, però, nella speranza di compensare la sua misteriosa assenza.

Quando fece un passo nel piccolo spazio dell'appartamento, udì il familiare suono di un respiro affannoso. Un sospiro stanco uscì dalle sue labbra.

"Giorno." Mormorò alla figura rannicchiata sul divano nel piccolo salotto. Non ricevette alcun tipo di saluto in cambio, solo il ritmo del respiro, un suono che aveva imparato ad odiare.

Lui stava ancora dormendo, lo concluse quando si avvicinò, le sue palpebre erano chiuse e il suo braccio spesso era appeso sul bordo del divano come se fosse un ramo appassito. Senza vita. Se non fosse stato per i respiri profondi che risuonavano dal suo petto, qualcun altro avrebbe pensato fosse morto, come la felce nel vaso nell'angolo della stanza.

Carmen roteò gli occhi, lodando se stessa silenziosamente per essere arrivata lì prima che si fosse svegliato.

Si diresse verso il lungo corridoio prima di arrivare nella sua piccola stanza. Era la sua stanza.

Le numerosi notti trascorse lì sembravano una sfocatura senza fine.

Le lacrime di una ragazzina che avevano macchiato il materasso sul pavimento, insieme a l'irremovibile macchia rossa che le avrebbe ricordato della notte in cui aveva rinunciato alla sua innocenza per sempre. La piccola scrivania all'angolo che oramai usava raramente, dove immaginava una piccola versione di lei stessa seduta lì, mentre canticchiava una felice e dolce canzone.

Ace [h.s.] Italian translationDove le storie prendono vita. Scoprilo ora