1 Come un penny

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Lydia Rulling era seduta sul tetto della magione di campagna dei Rulling e scrutava il cielo grigio come la sua persona: grigia di segnali di fumo inutili, grigia di triste solitudine e di dirompenti temporali che invadevano la sua mente come un virus resistente a ogni tipo di farmaco. Era da anni che tentava di porre fine alla sua misera e inutile vita. Perché doveva sprecare ossigeno che sarebbe potuto servire a qualcun altro? Ecco com'era la sua vita: uno spreco.
Lydia scese in bagno e guardò la sua collezione di limette, molte erano ancora incrostate di sangue. Si guardò allo specchio per vedere se aveva pianto, ma come sempre le lacrime non esistevano nel suo vocabolario. Non aveva mai pianto da quando aveva sette anni. Esaminò i lineamenti glaciali del suo pallido viso, un viso esile dal profilo greco. Guardò i suoi capelli castani scuri ricadere morbidi sulle gracili spalle sopra cui ogni santo giorno gravava il peso dei libri scolastici. Fissò le sue labbra sottili e poi i suoi occhi di un grigio tempesta. Occhi privi di vita, pensò. Rimise le lamette nel buco sotto il lavandino e ci rimise il mattone da una facciata azzurra. Nessuno sapeva di quella collezione, altrimenti gliela avrebbero confiscata. Si guardò le esili dita delle mani, sormontate da una lunga unghia e adornate con svariati anelli d'argento finto.
Uscì dal bagno turchino del primo piano per recarsi in salotto. Il salotto era spazioso, con il parquet e il divano di pelle bianca era estraneo a Lydia. Non aveva mai sentito quel posto come casa e non aveva mai sentito quelle persone che la incitavano a chiamarle "mamma" e "papà" come la sua famiglia. Non li sentiva più legati a lei da quando aveva dodici o tredici anni, da quando aveva capito che la sua vita non aveva un senso e tantomeno un fine. Perché doveva vivere quando delle persone che erano morte lo meritavano più di lei?! Lei si sentiva brutta e insignificante difronte alla vastità del mondo, ma neanche nel suo piccolo riusciva a sentirsi adatta e bella. Tutto uno spreco, ecco cos'era la sua vita.
Si sedette sul divano e guardò il tappeto persiano della sua bisnonna. Subito una figura magra e alta scese le scale a chiocciola poste al centro della stanza. Quel portamento regale, quei capelli biondi liscissimi, quegli occhi neri profondi più di un buco nero e quel profilo da dea greca...non poteva essere nessun altro che sua sorella Giada. Giada Rulling, la cocca di mamma e papà e la secchiona di casa Rulling.
"Mamma e papà non sono ancora tornati?" chiese Giada sedendosi affianco alla sorella con fare stanco. "Come mai tutta questa stanchezza?" chiese Lydia. "Non rispondere a una domanda con un'altra domanda, è maleducazione!" disse Giada sedendosi composta con fare superiore. Ecco, questa era la specialità di Giada: far sentire la gente inferiore e tremendamente stupida. Lydia sbuffò scocciata, sua sorella non riusciva mai a farla stare bene, ma farla stare peggio era la sua specialità. Lydia sapeva che era insignificante e insulsa agli occhi di tutti, non aveva bisogno di Giada per ricordarlo.
Un suono acuto e stridulo irruppe nella stanza, era il citofono. Giada si alzò per andare ad aprire e scomparì nell'ingresso. Lydia ebbe poco tempo per assaporare quel momento di puro silenzio, silenzio che riposa e non silenzio che assorda. Non vedeva l'ora che le sue orecchie si riempissero di quel silenzio, ma solo la morte glielo avrebbe regalato e morire in quella famiglia era...impossibile!
Mancava poco al sedicesimo compleanno di Lydia e come regalo lei voleva solo una cosa: qualcosa capace di farle dimenticare tutto e di darle la possibilità di ricominciare. Magari una bella commozione celebrare poteva funzionare.
Dall'ingresso entrarono in salotto quattro persone più Giada. Anna Rulling era la sua iperprotettiva madre. Con i suoi lineamenti duri, i suoi occhi neri, i suoi biondi e seriosi capelli e le sue curve sinuose guardava tutti con aria superiore e istruita.
Poi c'era Jonathan Rulling con i suoi occhi neri e i suoi capelli neri come la pece. Era parecchio alto e magro e certe volte sapeva essere affettuoso, ma solo quando ne traeva dei vantaggi.
A chiudere il gruppetto c'erano sua cugina e il marito di sua cugina: Celeste e Charlie Feight. Celeste era una ragazza con i capelli biondi cenere e gli occhi neri classici della famiglia Rulling e i lineamenti leggermente più morbidi di Lydia. Charlie aveva gli occhi verdi e capelli castani.
Lydia si alzò per salutare gli ospiti e per poco non cadde a terra. Charlie l'afferrò al volo aiutandola a rimettersi in piedi e Lydia costatò che era forte. Sorrise falsamente come sempre e abbracciò Celeste con cui non aveva mai avuto un buon rapporto. "Come stai?" le chiese la cugina. Malissimo, "Bene" rispose Lydia. Si spostarono in cucina dove alla più piccola toccò preparare il caffè per Giada, i suoi genitori, Celeste e Charlie. Celeste aveva ventiquattro anni, Giada diciassette e quindi la più piccola era Lydia. "Come va la scuola?" chiese Celeste a Giada. "Alla grande, ho preso nove a fisica" rispose la bionda so tutto io. "E tu?" disse Celeste guardando con lieve disgusto Lydia. "Ho preso sette a fisica" rispose Lydia porgendo a ognuno un caffè. "Di certo non è all'altezza del mio nove, ma almeno non è insufficiente" disse Giada. Okay, la situazione stava degenerando. Ma oramai era un'abitudine, Lydia sola contro il mondo. Non era la prima volta che Giada faceva la svelta e non era la prima volta che Lydia rispondeva con loquace silenzio. Celeste sorrise beata e allontanò la sua tazzina di caffè. "Non è buono?" chiese preoccupata Anna, sicuramente era pronta a dare la colpa a Lydia. "No, non posso" disse Celeste guardando Charlie e accennando un sorriso. "Perché?" chiese Jonathan. "Beh, sono incinta!" disse Celeste tutta allegra. Nella stanza scoppiò un rumore di congratulazioni e gridi isterici di felicità, tutto completamente estraneo alla mente e al cuore di Lydia. Lei non sapeva esattamente cos'era la felicità è mai era riuscita a essere felice, ma sorrise lo stesso. Voleva compiacere Celeste, fingeva come sempre. Fingeva per coinvolgere meno gli altri nel suo dramma interiore. Un dramma che non era destinato a finire bene. Ancora una volta capì che la sua vita valeva come valeva un penny.

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