Capitolo 19

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Ethan's Pov.

Sono quasi le 22. Sono sul letto e mi sto annoiando moltissimo.
Decido di andare a farmi un giro in moto, una cosa da mezz'oretta.
Gli altri hanno rifiutato il mio invito per stasera perciò mi tocca arrangiarmi.
Prendo una felpa e il casco, scendo giù in salotto, poso un bacio sulla fronte di mia nonna, le dico che esco per un po', saluto mio fratello e li lascio a guardare la televisione.
Intanto prendo le chiavi dal mobiletto che c'è in entrata ed esco.

Infilo bene il telefono in tasca, mi metto il casco ed accendo la moto.
Attendo per un po', ma intanto sento la vibrazione del cellulare.
Sono abituato ad ignorarlo, ma qualche minuto dopo vibra ancora.
Lo prendo e leggo il messaggio che è stato mandato da Aaron.
Se è uno scherzo, stavolta lo uccido.
Rimetto il telefono in tasca, ignorando i successivi messaggi che arrivano.
Mi asciugo le mani sui pantaloni neri e penso velocemente a cosa fare.
Ma cosa c'è da pensare?
Salgo sulla moto e parto, direzione: "Jackson Memorial Hospital".
Arrivo davanti a questo e senza prestare molta attenzione al resto, scendo dalla moto, la mollo da qualche parte, mi tolgo il casco e mi dirigo verso l'entrata dell'ospedale.
Entro e chiedo ad una tipa, a cui non presto particolare attenzione, in che stanza si trova Agatha.
Questa mi squadra un paio di volte.
Esita.
Mi guarda negli occhi e probabilmente legge preoccupazione e nervosismo, perché si decide a mandarmi al terzo piano, stanza 217.

Arrivo al terzo piano.
Davanti a me c'è un corridoio enorme, genitori sulle panchine, altri che guardano la luna mi Miami, altri che stanno passeggiando. Sul volto di tutti si può leggere la tristezza e la disperazione.
Tutti genitori, zii, nonni.
Ma nessuno di loro può sapere il dolore che prova un ragazzo di 15 anni ad aspettare su quelle panchine.

Flashback
Ho sentito il telefono squillare, erano le due di notte.
Nonna mi ha svegliato, ma non capisco perché. Mio fratello si è alzato e mi ha abbracciato.
Mi hanno portato qui.
Siamo al secondo piano, ci sono tutte sale di rianimazione, chi sa perché sono qui.
Mi mettono un camice azzurro addosso, sulla mia pelle nuda provoca brividi, perché è freddo. Mi mettono pure una mascherina.
Cosa vogliono da me? Ho paura di chiederlo.
Mi fanno entrare in una di quelle stanze.
Vedo due persone.
Un uomo e una donna.
La donna ha sul viso una di quelle maschere per l'ossigeno che si vedono in tivù, invece l'uomo ha dei tubicini infilati su per il naso.
L'uomo lo riconosco. Mio padre.
Perché è qui?
E perché sta tenendo per mano quella donna?
La guardo meglio.
Mia madre.
Mi guardo intorno.
Sono da solo.
Nessuno che mi dia spiegazioni.
Mi avvicino ai loro letti, in mezzo tra questi. Sfioro le loro mani.
Brividi.
Ho tutto il corpo percosso da brividi.
Entra anche mio fratello.
Mi guarda.
Non so dare spiegazioni a me, come faccio a spiegarlo a lui?
Perché siamo qui? Non lo sappiamo.
Matthew si avvicina piano a me.
Cammina lentamente, sfiora il braccio di mamma, poi quello di papà.
Le loro mani intrecciate: il simbolo del loro amore, il nostro simbolo.
Mi avvicino al letto di mia madre.
Le accarezzo piano i lunghi capelli biondi. Le poso un bacio sulla fronte e poi vado da papà, gli stringo la mano libera e poi gli poso un bacio sulla guancia.
Mio fratello imita i miei gesti.
Passiamo entrambi in centro e stringiamo le mani intrecciate dei nostri genitori.
Guardo il viso di mamma.
Sorride.
Speranza.
Guardo quello di papà.
Sorride anche lui.
Magari si svegliano.
Stanno sorridendo.
L'ha visto anche Matt, mi sorride anche lui.
Gli chiedo in un sussurro: "Secondo te si svegliano?"
Li guarda ancora, sorridono, sentiamo le loro mani che stringono forte le nostre.
Non aprono gli occhi.
Un suono assordante.
Un "bip" continuo.
La loro fine.
La mia fine.
Fine flashback.

Ci ho provato ad essere come i miei compagni, ad usare le ragazze.
Ci ho provato a non far vedere la mia fragilità.
Ci ho provato con tutto me stesso.
Ma l'amore che mio padre ha dimostrato, nei confronti di mamma, a me e Matt fino all'ultimo, non me lo permette.
Poi quando è entrata Elisabeth nella mia, nella nostra vita, ha cambiato tutto.
E quando il tempo mi ha fatto conoscere Agatha? Mi ha fatto riscoprire anche cosa vuol dire vivere.

Mi fermo davanti la stanza 217.
Avvicino la mano alla porta e piano piano la apro.

Brividi. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora