La mamma venne a svegliarmi la mattina del Ringraziamento, com'era sua abitudine fare ogni giorno. Mi posava un leggero bacio in fronte, mi sussurrava all'orecchio che era pronta la colazione e usciva, lasciando la porta aperta. Lentamente mi alzai, stiracchiandomi con tutta calma. La freddezza del pavimento mi fece venire un brivido e la voglia di buttarmi nuovamente fra le coperte mi assalì, ma poi sentii un delizioso profumino provenire dalla cucina. Allora indossai in tutta fretta le pantofole, la vestaglia e mi affrettai a raggiungere il piano di sotto. Arrivata in sala da pranzo un forte odore di miele e sciroppo d'acero mi invase le narici. Mamma aveva preparato i pancakes, i miei preferiti. Salutai papà con un veloce bacio sulla guancia e aiutai mamma a portare i piatti in tavola.Era suo solito alzarsi presto per preparare la colazione. Amava cucinare e ogni tanto le piaceva sperimentare ricette nuove e sfiziose. Papà adorava la sua cucina e, cosa più importante, amava mamma alla follia. Raramente si scambiavano gesti d'affetto in mia presenza, ma sapevo quanto si amavano. Quando ero più piccola, fingevo di dormire fino a quando mamma non tornava di sotto da papà. Allora sgattaiolavo giù per le scale e mi nascondevo dietro la parete, sbirciandoli mentre guardavano la TV, abbracciati. Una volta mamma si accorse della mia presenza. Quando mi vide, mi dedicò un sorriso complice: non l'avrebbe mai detto a mio padre. Sapeva quanto lui fosse riservato, quanto si guardasse dal mostrarle eccessivo affetto quando io ero nei paraggi, e quanto si sarebbe arrabbiato se avesse saputo che non ero nel mio letto dopo il coprifuoco.
Dopo la colazione tornai in camera mia. Alzai le tapparelle e guardai il chiaro cielo mattutino. Nonostante fosse Novembre non faceva ancora freddo.
Decisi di andare a fare una doccia. Indossai una semplice tuta blu e una canottiera bianca e legai i capelli in una coda di cavallo, dopodiché scesi di sotto, dirigendomi in cucina. Quel giorno avrei dovuto aiutare mamma a preparare il pranzo e ad imbandire la tavola: quel giorno sarebbero arrivati degli ospiti. La mamma aveva invitato il socio in affari di papà. Mr e Mrs Mikaelson avevano un figlio, un po' più grande di me. Mi pare che si chiamasse Hunter.Passammo tre ore buone a preparare il tacchino, stuzzichini vari e ad apparecchiare e sistemare tutto quanto alla perfezione. Papà non si era visto da dopo la colazione. Aveva sicuramente passato tutta la mattinata a lavorare nel suo studio.
Infornati la crostata di mele e i muffin ai mirtilli, la mamma aprì la dispensa e il suo viso assunse un'espressione allarmata.
«Mamma? Tutto bene?» le chiesi.
«Tesoro, ho appena ricordato che è finito il cacao da spolverare sui muffin e ho totalmente dimenticato di comprare il vino. Potresti fare un salto in centro e prenderli tu? Ho ancora troppo da fare qui».
Sorrisi. La mamma era sempre molto sbadata quando si avvicinavano le festività.
«Certo, vado subito. Torno fra poco».
Le schioccai un bacio sulla guancia, afferrai una felpa, il portafogli, le chiavi e uscii.Camminai lungo il marciapiede e mi diressi verso il supermercato più vicino. Una volta arrivata, entrai e mi misi alla ricerca di ciò che mamma mi aveva chiesto di comprare.
Per prendere il cacao, che stava su un ripiano in alto, mi sollevai sulle punte, ma persi l'equilibrio e andai a sbattere contro qualcuno, cadendo rovinosamente a terra e atterrando sul sedere.
Il ragazzo mi guardò, trattenendo una risata e porgendomi una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi. La accettai e, quando sollevai lo sguardo per ringraziarlo, lo riconobbi.«Ehi ma.. Tu sei il figlio di Mr Mikaelson!» dissi sorpresa dalla coincidenza.
Raramente avevo avuto l'opportunità di vederlo in passato e, nonostante fossero passati anni dall'ultima volta, ero certa che fosse lui.Non appena capì chi ero, mi lasciò subito la mano, assumendo un atteggiamento freddo e distaccato.
«Già, sono proprio io.» rispose con voce flebile.
«Io sono Ju..» mi interruppi quando notai che si stava di nuovo trattenendo dal ridere. Istintivamente aggrottai la fronte. Mi passò il pollice delicatamente sulla guancia e arrossii di colpo. Il suo gesto mi lasciò interdetta. Notò il mio sguardo interrogativo e si affrettò a darmi spiegazioni.«Eri sporca di succo di mirtilli..» mi informò guardando altrove, con un tono che lasciava intuire il suo imbarazzo. Probabilmente neanche lui si sarebbe aspettato di compiere quel gesto. Ci furono pochi secondi di silenzio imbarazzante, dopodiché lui accennò un "ci si vede" e sparì dalla mia vista.
Rimasi bloccata ancora per qualche secondo. Il suo sguardo magnetico mi aveva come catturata. I suoi occhi verde smeraldo avevano intrappolato i miei, ma di colpo si erano scuriti.
Durante il tragitto di ritorno continuai a pensare al suo cambiamento repentino di umore. Di una cosa ero del tutto certa: quel ragazzo era parecchio strano.
Arrivata a casa, mi resi conto di avere poco più di mezz'ora per prepararmi. Aprii le ante dell'armadio e tirai fuori un vestitino rosa cipria con le maniche lunghe in pizzo che lasciava parte della schiena scoperta. Mamma me lo aveva regalato per il mio quindicesimo compleanno, dopo avermi sorpresa almeno cinque volte a sbavare davanti la vetrina della boutique. Assieme al vestito, mi aveva regalato delle scarpe: un semplice décolleté nero con un cinturino intrecciato sulla caviglia, abbinate ad una borsa con lo stesso motivo. Li avevo sempre riservati per un evento speciale, ma papà aveva insistito affinché li indossassi quel giorno.
Corsi a fare una doccia. Una volta uscita, avvolsi i capelli in un telo e indossai l'accappatoio. Dopo quindici minuti buoni ero vestita. Avevo meno di dieci minuti per sistemare i capelli e truccarmi un po'. Arricciai i capelli con l'arricciacapelli, poi passai al trucco. Misi un po' di mascara e colorai le labbra con una tinta nude. Mi spruzzai un po' del mio profumo preferito e mi guardai allo specchio. I miei lunghi capelli castani ricadevano in grossi boccoli. Gli occhi, di un castano tendente al dorato, brillavano di una strana luce. Le mie labbra non troppo carnose erano curvate in un sorriso. Mi sentivo strana, in agitazione, ero... nervosa? Ma no, perché mai avrei dovuto esserlo?
Uscii velocemente dalla mia stanza e, senza accendere la luce del corridoio, mi diressi verso le scale, ma sbattei contro qualcosa. O meglio, qualcuno. Stavo per perdere l'equilibrio e cadere, quando una mano mi afferrò prontamente, attirandomi a sé.
«Ci incontriamo sempre così io e te?»
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to survive
Teen FictionJudith Roberts. 17 anni. La sua vita era un casino, niente andava come doveva andare. Era tutto sbagliato. Ma niente è destinato a durare per sempre. #26 IN AVVENTURA.