Chapter six - a new beginning.

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Non appena misi in moto, accesi la radio. Avrei dovuto trascorrere molto tempo da sola in quell'auto, la musica sarebbe stata la mia compagna di viaggio.
Prima di andare via, Noah mi aveva lasciato delle indicazioni ben precise. Mi disse che avrei dovuto guidare circa quattordici ore al giorno. In questo modo, in tre giorni sarei potuta arrivare a destinazione. L'appuntamento con il suo amico Luke sarebbe stato la mattina successiva al mio arrivo. Avrei potuto fare qualche sosta per mangiare un boccone e per riposare un po' durante la notte. Per il resto, mi sarei dovuta arrangiare.
Partii dalla baita alle 7.30 del mattino, carica come non lo ero mai stata.

Soltanto quattromilacinquecento chilometri mi separavano dalla mia nuova vita.

Arrivata l'ora di pranzo, presi un panino al volo in autogrill e partii subito dopo. Ero impaziente di arrivare. Non conoscevo neppure la mia destinazione. Noah non aveva detto una parola a riguardo. Mi aveva semplicemente detto che era una sorpresa che avrei apprezzato.

La prima giornata volò, così come la seconda e la terza.
Arrivai a destinazione prima del previsto:

"Welcome to New Haven."

Per un breve momento mi domandai perché avesse scelto proprio il Connecticut, ma essere lontana da casa mi rassicurò abbastanza da non farmici più pensare.
Era quasi ora di cena. Avrei mangiato qualcosa e subito dopo avrei fatto un fosso nel letto di qualche albergo nei paraggi.
Decisi di rimanere nella stessa zona in cui il giorno dopo avrei dovuto incontrare Luke.
Dopo aver prenotato una stanza e parcheggiato l'auto nel box dell'albergo, m'incamminai a piedi alla ricerca di un fast-food.
Passeggiando per le strade di New Haven, mi lasciai sopraffare dagli odori, dal rumore delle auto nel traffico, dalle strade affollate, dal vento che trascinava con sé, portandole via, le ultime briciole di un'estate già finita.
Ma insieme all'estate andava via anche un passato doloroso dal quale ero fuggita e, soprattutto, dal quale non mi sarei lasciata ferire mai più.
Arrivai in un fast-food e ordinai un chicken burger con patatine.

Dopo cena tornai velocemente in albergo. Ero davvero esausta e le mie occhiaie confermavano la mia necessità di dormire. Non appena posai la testa sul cuscino, gli occhi si fecero pesanti e in pochi secondi mi addormentai, incurante del fatto di indossare ancora i vestiti del viaggio.

La mattina seguente mi svegliai di buon'ora. Avevo tutto il tempo di prepararmi, raccogliere le mie cose e andare persino a fare colazione.
Rimasi qualche minuto stesa sul letto, con lo sguardo rivolto verso il soffitto.
Per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii in grado di rialzarmi, ricominciare, mi sentii forte come non lo ero mai stata. Mi sentii invulnerabile. Ero felice della piega che stava prendendo la mia vita.
Non appena mi alzai, mi avvicinai alla finestra e osservai il sole ancora basso sull'orizzonte farsi spazio tra le nuvole rosate del mattino. Aprii le ante della finestra e la mia pelle fu subito accarezzata dalla fresca brezza mattutina.
Decisi di fare una doccia veloce e optai per indossare un vestitino nero a fiori con maniche corte che arrivava poco sopra al ginocchio, degli stivaletti col tacco color cuoio e un giubbino di pelle dello stesso colore.
Intrecciai i capelli in una spina di pesce disordinata e mi truccai leggermente.
Decisi di indossare anche la collana che Noah mi aveva regalato. Quando la pietra venne a contatto con la mia pelle, avvertii per un secondo una scossa scuotermi tutto il corpo. Mi sentivo... più potente.
Sorrisi pensando a quando Noah mi aveva detto che la collana mi avrebbe tenuta al sicuro. Raccolsi i miei bagagli e lasciai la stanza.
Sistemai le mie cose in macchina, restituii la chiave della camera al receptionist e uscii, incamminandomi verso il luogo dell'appuntamento con Luke.
Arrivai con qualche minuto di anticipo e ne approfittai per prendere un latte macchiato in caffetteria.

Alle nove in punto mi si avvicinò un ragazzo alto circa un metro e novanta dai capelli castano chiaro. Indossava un paio di occhiali RayBan neri che mi impedivano di vedere il colore dei suoi occhi. Il suo fisico atletico era accentuato da una maglia a maniche lunghe molto aderente.
Non appena si tolse gli occhiali riconobbi quei due occhi azzurro ghiaccio grazie ad una foto che Noah mi aveva mostrato prima di partire.
«Tu devi essere Luke!» avanzai verso di lui fino a quando non ci trovammo l'uno di fronte all'altra.
«Judith. Ci avrei scommesso! Ho sentito tante belle cose su di te.» mi strinse in un abbraccio veloce e tornò a guardarmi negli occhi.
«Allora, cosa ti porta qui dalla California?» mi chiese con interesse.
«Avevo bisogno di cambiare aria.» risposi con un sorriso sincero. In parte era vero.

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