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I SUSSURRI MI SEGUIVANO come se fossero stati una seconda ombra. Gli sguardi delle altre persone bruciavano su di me quando passavo per i corridoi, facendomi tenere la testa bassa e gli occhi pieni di vergogna.

Appena arrivata a scuola, quel lunedì, non avevo idea del perché tutta quella attenzione fosse ricaduta improvvisamente su di me. Quella mattina non era stato Diego ad accompagnarmi a scuola perché si era svegliato tardi e rischiavamo di arrivare entrambi dopo il suono della campanella, quindi avevo deciso di farmi dare un passaggio da mio padre. Eravamo stati in silenzio per tutto il viaggio, con il solo suono della musica all'interno della macchina. Questo non perché io e lui avessimo un brutto rapporto, anzi, lo consideravo una figura da imitare nella mia vita, ma nessuno dei due era mai stato molto eloquace con l'altro. Era come se una volta insieme e da soli finissero gli argomenti da affrontare. Se, invece, eravamo anche insieme a mia sorella, allora diventava tutto molto più fluido e ci trasformavamo in una classica famiglia unita.

Gli sguardi erano cominciati quando scesi dall'auto. All'inizio avevo pensato che fosse per i miei vestiti – avevo indossato le prime cose tirate fuori dall'armadio, quindi forse stavano solo criticando mentalmente il mio pessimo gusto in fattore moda – ma tutti continuarono a guardarmi per più minuti. Le ragazze avevano uno sguardo disgustato, quasi come se avessero individuato in me il loro peggiore nemico. I ragazzi, invece, mi guardavano con fare più interessato, quasi tutti con un ghigno sul proprio volto.

Come gesto quasi impulsivo, alzai il cappuccio della felpa che indossavo e mi affrettai ad andare verso l'entrata della scuola. Nonostante i miei sforzi per nascondermi, le persone mi vedevano e cominciavano a sussurrare, facendo bene attenzione perché non sentissi nessuno dei loro discorsi. Mi sentii una bambina quando i miei occhi cominciarono ad inumidirsi – era davvero frustrante che tutti stessero parlando di me, e probabilmente non bene, quando io non avevo nemmeno la minima idea di che cosa fosse successo.

Avevo ancora la testa bassa quando entrai dentro la scuola e andai verso il mio armadietto. Pur di scampare alla fastidiosa sensazione che tutti stessero parlando di me, indossai le cuffiette e feci partire la prima canzone nella riproduzione casuale. Forse un po' di musica mi avrebbe fatta distrarre.

Fu per quello che non mi accorsi quando due braccia mi circondarono in un abbraccio, facendomi sobbalzare. Ricordi della festa mi tornarono in mente e mi allontanai di colpo per la paura. Non avevo il coraggio di alzare lo sguardo per potere ritrovare gli occhi cupi e malvagi di Bryce, gli stessi occhi che quella sera mi avevano praticamente divorata e desiderata ardentemente.

La figura che mi aveva abbracciata mi tolse le cuffiette. «Noi due dobbiamo parlare. Ora.»

Il mio respiro si tranquillizzò quando riconobbi la voce dolce e pacata di Olivia. Alzai lo sguardo e la vidi guardarmi con fare preoccupato. I suoi capelli ricci erano legati in una coda disordinata, gli occhi erano ben fissi su di me e aveva spostato le sue mani sulle mie spalle, per evitare che andassi via.

Annuii lentamente, lasciando che mi portasse nell'aula vuota più vicina. Mi sedetti su una delle sedie, mentre che Olivia si sedette sul banco corrispondente. La bionda prese le mie mani tra le sue e le lasciò strette sulle proprie ginocchia, dandomi il conforto di cui non credevo nemmeno di avere bisogno.

«Per favore, dimmi che sai perché tutti mi stanno guardando come se fossi un animale da circo» le dissi, sentendo la mia voce spezzarsi in gola.

Olivia con fare reluttante annuì, per poi tirare fuori il proprio cellulare. Dopo qualche secondo me lo porse davanti agli occhi con una fotografia aperta.

reasons | zach dempseyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora