q u a t t r o

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Q U A T T R O;

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«ALEX STANDALL? Sa dirmi qual è la sua stanza?» chiese Zach con fare cordiale alla giovane ragazza al banco informazioni, collocato nell'entrata dell'ospedale.

«Siete della famiglia?» chiese la ragazza, guardandoci con fare confuso.

Spostava lo sguardo continuamente da me a Zach, constatando che nessuno dei due assomigliava lontanamente ad Alex. La ragazza aveva i capelli legati in una coda alta e ordinata, con lo sguardo autoritario e serio.

«No, due suoi cari amici. C'è qualche problema?» risposi, aggrottando le sopracciglia.

La donna scosse la testa, per poi mettere davanti ai nostri occhi un modulo da firmare. «È una domanda che sono obbligata a farvi, tutto qui. In ogni caso, dovete firmare così possiamo registrare che siete venuti.» Immediatamente, poggiò una biro nera accanto al foglio, sempre con fare da perfezionista.

Dopo avere firmato, la ragazza ritirò il modulo e accennò un sorriso nella nostra direzione. «L'hanno spostato nella stanza 203, al secondo piano. Potete prendere l'ascensore o le scale, entrambi sono da quella parte» disse lei, indicandoci il corridoio che andava verso destra.

Entrambi annuimmo, per poi andarcene. L'ultima volta che eravamo venuti in ospedale per Alex, la notte in cui aveva cercato di suicidarsi, l'avevano tenuto in sala operatoria. Ormai l'avevano spostato in una delle stanze, ma speravo con tutto il cuore che presto l'avrebbero lasciato tornare a casa sua. Le stanze non erano terribili, ma immaginavo che dovesse essere piuttosto triste per lui essere rinchiuso nell'ospedale, senza poter uscire a suo piacimento e sempre circondato da infermieri e dottori.

Zach mi fece un cenno verso l'ascensore e io mi limitai ad annuire. Una volta che si chiusero le porte, lui girò il busto nella mia direzione, guardandomi con fare preoccupato.

«Sono un idiota, vero? Non avrei dovuto chiedere a te di venire all'ospedale... mi dispiace.»

Feci spallucce, facendo finta di non essere agitata nello stare in quell'edificio. «Non ti devi preoccupare per me. Siamo qua per Alex, è lui che conta ora come ora.»

«Non posso non preoccuparmi per te, Eve! Sei una mia amica, tengo alla tua felicità!» esclamò lui, quasi offeso dalla frase che gli avevo detto.

Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro. «Dolce da parte tua, ma non ce n'è bisogno. Sto bene» gli dissi, cercando di non fare trasparire il fare meccanico con il quale in realtà ripetevo quelle due parole.

Avevo sempre trovato buffo che le persone che dicevano di stare bene fossero in realtà quelle che stavano peggio. Quelle due parole erano una contraddizione unica, un segnale di allarme che però non in molti riuscivano a captare. Ma non potevo nemmeno biasimarli. Se dicevo di stare bene, era perché non volevo che gli altri si preoccupassero per me, non volevo che si facessero carico anche dei miei pensieri. Era solo colpa mia se spingevo via le persone, se loro non si accorgevano se le mie erano bugie o verità.

Zach annuì e sembrò credere alle mie parole. «Scusa, non volevo sembrare invasivo.»

Lo guardai dispiaciuta, sentendomi in colpa. Zach era una persona dolce, su questo non avevo dubbi. Tutto quello che voleva fare era aiutarmi, comprendermi se solo gliene avessi dato l'occasione. Ma non potevo correre un rischio del genere, non potevo fare entrare un'altra persona nella mia vita senza avere la certezza che non avrebbero provato ad andare via. Ero sempre stata una persona con pochi amici vicini e tanti conoscenti. Avevo sempre preferito così, preferivo rinchiudermi in quella bolla che mi salvava dai cuori spezzati. Era anche questo il motivo per cui non avevo mai avuto un fidanzato – troppa paura di essere sostituita, che questa persona si dimenticasse di me dopo appena qualche settimana. Ma Olivia non mi avrebbe mai capita, quindi pensava che io mi comportassi così solo per timidezza quando ero vicina a qualche ragazzo carino.

reasons | zach dempseyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora