It's not what it seems

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Scusatemi tantissimo per l'assenza...sono davvero dispiaciuta di avervi fatto aspettere così a lungo! Spero possiate perdonarmi anche se non ci sono scuse! Ora vi lascio alla storia. 

Mi sembra sia passata un'eternità da quando ho visto per l'ultima volta mio padre. Mio padre. Ecco l'ho detto, mio padre.  Vorrei non considerarlo più come tale ma è così. Ricordo ancora quando guardavamo i cartoni insieme. Lui accendeva la tv e mi faceva vedere le principesse, strette nei loro abitini, così perfette. Io gli rubavo il telecomando e giravo sui cartoni, ma quelli veri. Bambini che correvano sull'erba verde delle montagne, eroi che avevano soltanto una spada ed erano soli contro il mondo. Allora mi sembrava tutto semplice. Mio padre sorrideva e anche quando distoglievo lo sguardo da lui continuava a fissarmi, lo sentivo. Era lui il mio eroe. Lo era, lo era davvero e speravo fosse per sempre. Ora mi sembra solo un mostro. E un bugiardo, come tutti quanti. Mi portava spesso al lago mi lanciava un bastone e fingevamo di essere quei cavalieri che combattevano con ardore. Lui era bravo, volteggiava e menava fendenti a destra e a manca ma stava attento a non colpirmi e io miglioravo ogni volta. Al primo tentativo ero inciampata al suo affondo, al secondo ero rimasta in piedi ma il bastone mi era sfuggito di mano, al terzo ero rimasta in piedi e avavo tenuto il bastone saldo tra le mani, il viso contratto e la postura rigida. Dopo tre secondi ero di nuovo per terra. Avrebbe potuto uccidermi ma non lo ha mai fatto. Una, due, tre volte, quattro, cinque, sei. Ogni momento poteva essere buono. Lui era un lupo mannaro e non di quelli benevoli. Ma non lo aveva fatto.
"Sembri un manico di scopa, Jordan"
Lui mi chiamava Jo, ero la sua piccola Jo. Ora non più.
"Cristo Jordan, devi lasciarti andare. E' solo uno stupido esercizio."
Era da più di 20 minuti che mi faceva camminare avanti e indietro su di una dannata trave che penzolava a tre metri da terra e larga appena cinque centimetri. Non ero mai caduta ma Gideon aveva sempre qualcosa da ridire sulla postura, sulla posizione delle braccia e su tutto ciò che gli passava per la testa.
"Gideon, cazzo, sono venti minuti che sono qui ad improvvisarmi come scimmia arrampicatrice su questa trave. Può bastare!"
"Non basta se la scimmia arrampicatrice sei tu! Rifallo e questa volta metti in pratica i miei consigli e non guardare giù. Devi sentirti forte e sicura."
Prendo un respiro e chiudo gli occhi. Sotto i piedi nudi sento ogni venatura del legno.
'Rialzati, Jo' 
Sento ancora l'eco della sua voce intrappolata nella mia testa e comincio a muovere i primi passi rispondendo al richiamo di quella voce che per giorni era rimasta sopita.
'Rialzati e combatti'
Allora credevo che fosse soltanto un gioco, ma non lo era. Non lo era affatto. Quell'innocnte passatempo faceva parte di qualcosa di più grande. Era come se volesse lasciarmi un segno, delle parole di consolazione che avrei potuto ricordare ogni volta in cui ne avessi avuto bisogno, anche se accanto a me non ci fosse più stato lui. Era come se sapesse, come se sapesse tutto quello a cui andavo incontro. Ed era così infondo. Ogni lupo ha il suo compagno e anche mio padre si era arreso all'evntualità che un giorno me ne sarei andata. E forse per lui è meglio così, è meglio avermi lontana. Forse non mi amava. Era un affetto che provavo solo io. Era mio padre e lo è tuttora, ma per lui non ero solo sua figlia. Per lui ero anche una distrazione dal suo branco, ed io ora so bene che per un Alpha una distrazione equivale a perdere già in partenza. Ma allora perchè non farmi fuori quando ne aveva la possibilità? Non lo saprò mai e va bene così, per ora.
Apro gli occhi e mi trovo già dall'altra parte della trave in bilico sull'orlo assaporando la vera libertà. Libertà di essere chi voglio essere, di vivere come volevo vivere. Sì, voglio provare fino alla fine dei miei giorni questo brivido. E' il brivido della potenza, della forza. Mi ritrovo a pensare a come sarebbe combattere. Sembra troppo brutto pensare ad una guerra a morti da entrambe le fazioni, a feriti che strisciano nel fango per salvare la loro vita, ma tutto ciò mi da un brivido. Impugnare una spada, combattere con gli artigli e con i denti, difendere le persone a cui voglio bene, questo è importante ora. Questa è la mia natura, il mio sengo, il mio marchio. In fondo sono come mio padre, non meno orgogliosa e non più sanguinaria.
"Molto meglio" riprende Gideon impassibile "ora scendi da lì prima di romperti qualcosa."
"Molto meglio" borbotto tra me e poi più forte "Tanto poi guarisco. Non sono meglio di te ma neanche peggio."
Gideon soppesa il mio sguardo poi sorride, un sorrisetto presuntuoso che fa brillare i suoi occhi come due pietre preziose sotto il sole. "Scendi senza la scala, allora. Buttati. Fammi vedere."
"Un gioco da ragazzi!" dico imitando il suo ghigno. Sono solo tre metri e io sono un mannaro. 
Mi preparo e fisso intensamente il pavimento cercando disperatamente di individuare il punto dove atterrerò. E poi do una spinta e cado nel vuoto. Atterro piegandomi sulle ginocchia e poi mi rialzo in fretta per far vedere a Gideon che sono ancora tutta intera. Non faccio in tempo a recuperare l'equilibrio che lui mi spinge di nuovo a terra e cado con tutto il peso all'indietro. Sento una fitta alla testa e mi si annebbia la vista ma è questione di secondi e tutto torna alla normalità. 
"Sei impazzito? Dio, Gideon, potevi ammazzarmi!" Lo guardo stizzita e piena di rancore.
"Kaleb atterra con più grazia di te. Anche se guarisci in fretta questo non significa che ogni volta devi romperti qualcosa. Prima ammortizzi dolcemente appoggiandoti  con la parte anteriore del piede e poi fai una capriola in avanti. A quel punto avrai tutta la forza nelle gambe pronta per alzarti più rapidamente. E devi sempre essere sicura, stabile quando ti rialzi, devi essere pronta a tutto." Il suo sguardo è duro e ora capisco a cosa è dovuta la lealtà del suoi allievi. Pretende rispetto e disciplina e i suoi consigli sono ottimi. " La nostra natura è un dono, la nostra forza non va sprecata, va sfruttata al massimo. E tu non sei ancora capace di farlo. Devi impegnarti a fondo e avere la mente sgombra. Non devi pensare quando ti alleni e da quello che ho visto là sopra non mi pare che tu fossi concentrata."
Mi rialzo e mi muovo a disagio. 
"Seguirò i tuoi consigli. Pensare mi aiuta, comunque. Non provo paura quando penso, solo...dolore. Ma è più sopportabile." Abbasso lo sguardo e sospiro aspettandomi un suo commento sarcastico.
"Bene. Domani qui alla stessa ora. Ti aspetto." Si allontana a grandi falcate lasciandomi sola nell'immensa palestra. Non mi aspettavo che rispondesse così. Forse prova solo compassione che è molto peggio dell'astio che mi rivolgeva prima. Non voglio essere compatita. E forse non avrei dovuto pronunciare quella frase. 
Vado nella stanzetta attigua percorrendo parte della palestra ed entro nello spogliatoi per togliere la divisa e rimettere i miei vestiti. 
Ora mi vanno insolitamente stretti e mi danno fastidio. Come la mia vita, insomma. Era meglio tenere la divisa. 

SHELTER |MAKING my own JUSTICE|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora