3 CAPITOLO

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Dopo quella lettura, decisi di indagare.
Uscii dalla stanza vagando per quell' edificio che aveva qualcosa di familiare.
Notai delle celle e pensai subito ad un carcere, nessuno spiraglio di luce naturale,nessun colore nei muri, nessun profumo, solo un forte tanfo di urina e sporcizia.
Solo qualche tempo dopo capii dove davvero mi trovavo, grazie ad una donna che in camicia da notte parlava con il pilastro della porta.
Ero all'interno di un inquietante manicomio.
Tutto al suo interno mi procurava ribrezzo, era un incubo senza risveglio.
In ogni corridoio si trovavano tre o quattro infermieri, che tutto facevano, tranne il loro lavoro ,chi giocava a carte e chi fumava, mentre i pazienti dalle stanze chiamavano ininterrottamente anche solo per un bicchiere d'acqua ; "aspetta" dicevano "tanto se vivi o se muori che differenza fa?"scoppiando in una grassa risata che trasudava cattiveria.
Ogni reparto era specializzato in una o più patologie, anche se ,da come venivano trattati i pazienti non si notava alcuna differenza.
Il reparto di schizofrenia fu quello che mi colpii maggiormente, in quanto era l'unico ad avere una stanza d'accoglienza.
La sala era bianca, nella parete destra c'era un grande finestrone con sbarre di ferro, all'interno solo delle sedie .
Tutti i pazienti stavano lì a guardare il vuoto o ad intrattenersi in dialoghi con sé stessi che nessuno comprendeva.
Li conobbi Howard, un simpatico vecchietto, fu ricoverato per depressione e ridotto ad una larva umana,mi raccontava della sua bella Melissa e di quanto fu struggente trovarla penzolante sull'uscio della porta di casa,era l'unico che riusciva a vedermi e faceva smorfie strane agli infermieri indicandomi con il dito,
"e li vi dicooo, volaaa, volaaa"così diceva il poveretto, mi faceva sorridere tanto.
Stranamente mi piaceva stare in quello stanzone, era li che con tutte le mie forze cercavo di ricordare,mi chiedevo di continuo "perchè mi è tutto familiare?cosa mi porta qui? Tutto questo non ha senso"

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Passó qualche giorno o qualche mese, non sò , è difficile avere la cognizione del tempo quando sei morta.
Facevo ancora capolino nei corridoi ma la mia mente continuava con i suoi capricci e per quanto cercassi di dare un senso a tutto non riuscivo a capire.
Guardavo i pazienti cercando un volto familiare, ma il nulla continuava ad apparire, poi pensai " Kate non sarai l'unica ad essere morta qui dentro! qualcuno prima di te avrà avuto la stessa esperienza e magari ti osservava da viva come tu adesso fai con chi è qui".
Questo lampo di genio mi mise allegria e cominciai a cercare per tutto l'Istituto un altro povero vagante.

BIOGRAFIA DI UN FANTASMADove le storie prendono vita. Scoprilo ora