“Buongiorno papà” mormorò Rikarathör, svegliato da un rarissimo raggio di luce che entrava dalla sua finestra.
Era piacevolmente caldo e lasciò che gli illuminasse il viso. Sapeva che presto la grande stella si sarebbe nascosta fra le nubi nere e che doveva godersi quel rapido momento d’alba. Socchiuse gli occhi scuri, brillanti per l’illuminare del Sole, e sorrise. Quella notte sarebbe stata Luna piena ed era la notte del mese che attendeva con più impazienza. Si rilassò, assaporando il silenzio del primo mattino, che però venne subito interrotto da un forte rumore di vetri rotti proveniente dal piano superiore.
“Ma Thiudangardi Gudis! Che combinate?!”.
Si era alzato di colpo a sedere sul letto, ma una fitta al collo lo tornò a far stendere. Il sigillo gli aveva rilasciato la sua solita scarica magica per tenere sotto controllo l’irruenza del fuoco. Stringendosi il suo torturatissimo pomo d’Adamo, si rialzò lentamente. Uscendo dal letto, si soffermò solo un attimo ad osservare i tatuaggi di fuoco e fiamme che si facevano sempre più evidenti su tutto il suo corpo. Un altro forte rumore gli fece alzare gli occhi verso il piano superiore. Si vestì in fretta e risalì le scale, lungo le quali vide un sacco di oggetti fuori posto.
Ma perché tocca sempre a me riordinare il casino che lasciano gli altri in 'sta casa? si chiese, cercando in ogni modo di restare calmo. La scalinata era ripida e rumorosa. Aprì la botola in legno che, sopra la sua testa, gli permetteva di entrare nella mansarda. Questa era stata modificata, tempo fa, per permettere ai fratelli di esercitarsi con il loro elemento e la magia. Di forma triangolare, seguendo la forma del tetto, era stata aperta nella metà di destra. Così facendo, la casa aveva preso un’insolita forma e la mansarda, tronca, era divenuta una specie di piano aggiunto con una grande terrazza che la piccola sorellina che controllava la terra aveva ricoperto di verdi rampicanti. Rikarathör entrò nella parte coperta del sottotetto e storse il naso, vedendo i letti dei fratelli disfatti e tutta la stanza in disordine, poi uscì all’esterno attraversando una porticina rossa e scricchiolante. Sulla terrazza, sotto la neve, i suoi due fratelli creavano piccoli tornado e spirali di ghiaccio. Non si accorsero della presenza del fratello maggiore fino a quando non apparve qualche fulmine nelle loro creazioni, effetto collaterale del nervosismo di Rikarathör, e l’acqua mista a neve che stava in terra non iniziò ad evaporare.
Il fratello più piccolo, Loreatehenzi, si fermò subito. Non amava “scaldare” il suo fratellone. Ma Enrikiran continuò ancora per un po’, usando la scusa che si doveva esercitare per l’imminente prova dei cristalli. Comandò la neve e il ghiacciò in movimenti innaturali, per vedere fino a che punto poteva ed era in grado di spingersi.
Rikarathör notò una delle finestre che dava sulla terrazza: era infranta e sparsa in terra. Ora aveva capito cos’era quel rumore di vetri rotti che aveva sentito prima. Incrociò le braccia, attendendo spiegazioni ma, dato che non arrivavano, iniziò a protestare. E rincarò la dose quando vide che il suo nuovo allievo, Kevihang, si trovava assieme a loro e si stava divertendo da morire osservando i danni che riuscivano a creare i due fratelli quando si sentivano “ispirati”.
“Cosa state facendo?” iniziò, scandendo bene parola per parola, il Semidio del fuoco “Vi rendete conto che è l’alba? Cosa credete di poter fare, qui sopra, così presto, senza maestri o supervisori a controllarvi? Mi avete svegliato e…”.
“Fermo, bello!” lo interruppe Loreatehenzi “Guarda che tu sei solo il figlio del Sole. Vale solo per lui la teoria eliocentrica. Tu non sei il centro degli Universi! Non tutto ruota attorno a te. Volevamo esercitarci e lo abbiamo fatto. Che ci possiamo fare se tu, prima dell’alba, hai il cervello in stand-by e non riesci a svegliarti?!”.
Rikarathör, sconcertato da quella risposta, rimase insolitamente in silenzio. Ricordò i bei tempi in cui, ancora bambini, loro tre fratelli camminavano e giocavano per il villaggio. Si tenevano per mano e non si separavano mai. Lui era il maggiore, anche se per poco, ed i suoi due fratellini lo seguivano e gli obbedivano. Lui era “il grande”, colui che doveva dare l’esempio e che i “i piccoli” osservavano continuamente, ma non era più così già da anni. I motivi erano molteplici: l’adolescenza, la nascita della loro sorellina Marinditi-ya, la sua distrazione nei confronti di una certa persona a cui stava cercando di non pensare…insomma tutta una serie di cose che avevano cambiato la situazione. Erano così carini da piccoli, con le manine strette l’una all’altra ed i giochi costanti, senza troppi pensieri. Ora invece erano cresciuti e, soprattutto dopo la sua prova dei cristalli, non vivevano più negli stessi rapporti.
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La città degli Dei 3 - La linea di sangue
FantasyOrmai è trascorso molto tempo dall'ultima battaglia. I pianeti e gli universi si spengono, gli Dei si addormentano. Che sia la fine? E quel ragazzo con un teschio tatuato sul volto che ruolo avrà? Vecchie conoscenze, nuovi personaggi, profezie dimen...