XX. Legami d'acciaio

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I tre correvano, Kevihang in testa che trascinava gli altri due, lungo le fredde rocce del Pianeta morente. Alle loro spalle potevano udire chiaramente i loro nemici avvicinarsi.

“Fammi capire bene…” iniziò Kasday, non provando affanno nel correre “…dove, esattamente, hai preso questo libro?”.

“Dalla biblioteca di Vereheveil, nel palazzo di Mihael” rispose il ragazzo, ansimando.

“Mihael?!” esclamò Luciherus, senza che gli altri due capissero il perché di questo suo intervento.

“Non dovete preoccuparvi! È solo un prestito. L’ho sottratto per evocarvi, per poter conoscere i miei veri genitori, ed ora che ci sono riuscito posso anche ritornarlo, dopo avervi liberato, ovviamente! Ma eviterei incontrare le guardie del palazzo…”.

“Se quello che vogliono è il libro, allora gettalo!” suggerì Luciherus “Troverai un altro modo per liberarci da queste catene. Se ti prendono con questo affare in mano…dubito che potranno e sapranno darti molta clemenza!”.

“Non posso costringervi a rimanere legati a me! Prima devo sciogliere queste catene e poi restituirò il libro”.

“Non hai paura delle conseguenze?” si preoccupò Kasday.

“No. Ora che ci penso…non credo di aver più di tanto provato quel sentimento…se sentimento lo si può definire…”.

“Proprio un mio degno erede!” si deliziò Luciherus.

“Proprio un pazzo!” lo corresse lei.

Il paesaggio stava mutando. Le rocce si facevano sempre più spesse e scure, nere, alte e ramificate, come immensi alberi alti fino a dove ad un mortale non era dato di vedere.

“Potrei nascondere il volume. Magari mi rintracciano a causa di un qualche suo segnale o roba simile…era chiuso con un sigillo…”.

“Basta che corri, ragazzo, se non vuoi farti prendere!” sbottò Luciherus, guardandosi alle spalle.

Il ragazzo rallentò e virò, di colpo, facendo protestare i due genitori incatenati alle sue braccia. Si avvicinò ad una delle rocce nere e ne cercò un’insenatura. Nascose il libro accuratamente e contrassegnò il luogo, uguale al resto del paesaggio per chilometri, legandoci il nastro con cui si era fasciato il braccio, ricavato dalla sua veste strappata.

“Tornerò più tardi. Ora nascondiamoci. Ho corso e sono stanco, inoltre questo buio non mi rende tranquillo. Meglio non attirare bestie feroci”.

“Più di morti noi non possiamo essere perciò…” iniziò Luciherus ma Kasday gli tappò la bocca e gli impedì di aggiungere altro a quella frase.

Il sentiero si faceva impervio e sempre più stretto, in salita ed avvolto dalle tenebre. Kevihang però notò che non nevicava più e non faceva tanto freddo, anche se non riusciva a scorgere il cielo fra quei rami rocciosi e scuri. Forse, lassù, c’era una luce…ma non ne era sicuro.

“Non sento più il rumore assordante dei nostri, dei tuoi, inseguitori” commentò Luciherus.

“Forse hanno trovato il libro e non mi cercano più. Scusate. Se così fosse, per voi sarebbe un bel problema, immagino. Ma conosco un sacco di persone che praticano la magia. Sicuramente almeno una di loro saprà come aiutarci…”.

“Non è meglio fermarci? Non è prudente procedere al buio…” suggerì Kasday.

“Ma guarda che in questo Pianeta è quasi sempre buio. Oppure piove, o nevica, o grandina…o altre schifose emanazioni atmosferiche. Le rare volte in cui c’è il Sole, non lavora un granché e quindi fa un freddo cane e fastidioso”.

La città degli Dei 3 - La linea di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora