XXXII. Ouroboros

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Quando Kavahel riaprì gli occhi, si ritrovò avvolto dal buio. Galleggiava nel vuoto, nel nulla, senza nemmeno una luce attorno a sé. All’inizio pensò di aver perso anche l’uso dell’altro occhio ma poi si ricordò ciò che era successo e capì che non vedeva nulla perché non esisteva più nulla. Provò a parlare ma, in assenza d’aria, i suoni non si propagavano e non poté sentirsi. Sorrise. Aveva chiesto silenzio per millenni ed ora ne aveva quanto ne voleva. Ripensò con nostalgia a tutte le persone a lui care ma, con la nuova consapevolezza che scorreva dentro la sua essenza, sapeva di non doverne essere rattristato perché sarebbero ritornati tutti, prima o poi. Doveva iniziare e ricreare tutto già da quel momento? Decise che non ne aveva poi così tanta voglia e si rivoltò un po’ su se stesso, sospeso nel vuoto. Girò e rigirò, con estrema lentezza e rilassatezza, prima di fermarsi. Mise le braccia e le mani dietro la testa, come fossero una sorta di cuscino, e chiuse gli occhi, consapevole del fatto che la vista non sarebbe cambiata di certo. Nero su nero. Sbatteva le ali e gli pareva di nuotare in un mare leggero ed incorporeo. Davvero una sensazione bellissima! Sbadigliò e si accorse di essere molto stanco, stremato, e che finalmente aveva la possibilità di poter riposare senza correre il rischio che i suoi fratelli, Kaos e Destino, litigassero a vanvera come sempre. Dopo millenni, si rilassò completamente e si addormentò, lasciandosi cullare dal nulla eterno.

Si risvegliò parecchio tempo dopo, ristorato e pieno di energia come non si sentiva da Ere intere. Sbadigliò, stiracchiandosi, e poi sorrise. Si concentrò per qualche istante, prima di spalancare gli occhi dorati. Questo spezzò le immense tenebre, generando la luce. In un solo istante, Kavahel concepì Universi tutti nuovi, con regole che lui stesso stabilì. Rise, e quel suono fu il primo che si espanse nella neonata aria degli Universi. Avrebbe ricreato tutto, come aveva sempre desiderato, anche se, grazie alla sua capacità acquisita con l’aiuto di Krì, sapeva di doversi mettere dei limiti perché alcune cose non potevano coesistere, come invece aveva sempre sognato. Volava, con le grandi ali che splendevano della luce d’oro che emanavano le stelline che stava creando. Ed, attorno a loro, pianeti, satelliti, sistemi complessi in connessione l’un con l’altro e corpi celesti pieni voglia di vita.

Percepiva i loro cuori pulsanti e vivi e questo lo riempiva di orgoglio. Non era necessario che facesse altro. La forza generatrice, che aveva infuso in ogni Pianeta, stava creando da sé tutto ciò che gli serviva. Kavahel sapeva che ora tutto era iniziato e che quell’immensa forza, che ammetteva di aver sottovalutato a lungo, avrebbe dato vita ad ogni cosa, dalle piante fino agli Dèi. Come il suo fratellastro Kevihang, la prima generazione di Dèi sarebbero nati dall’elemento stesso che avrebbero dovuto poi controllare e proteggere. Ora poteva sentire la voce della Madre Terra, la potenza generatrice che bisbigliava dentro ad ogni pianeta, stella, satellite e corpo celeste. La sentiva e ne rimase deliziato, stupito egli stesso di essere riuscito a donare una voce così bella e meravigliosamente intonata. Una nota sbagliata avrebbe voluto dire qualcosa di poco corretto nell’evoluzione. Perfettamente consapevole che qualche stonatura doveva esserci, perché la perfezione portava all’immutabilità ed all’auto distruzione con la mancanza di stimoli e cambiamenti, emise delle particolari vibrazioni con le ali e lasciò che queste, leggermente stonate, si espandessero per gli Universi. Dopodiché, soddisfatto di se stesso e del suo operato, si rilassò di nuovo, facendosi cullare dal buio e dalle vibrazioni emesse da tutto ciò che si sviluppava attorno al suo esile corpo fluttuante. Si stiracchiò e tornò ad addormentarsi, agitando leggermente le orecchie a punta ed accarezzandosi le piume con il dorso delle mani

Si svegliò parecchio tempo dopo, anche se a lui non sembrava di aver tenuto gli occhi chiusi così a lungo. La prima cosa che notò fu che i Pianeti e le stelle erano stabili, non solo masse ancora da plasmare e da definire. Seguivano la loro bella traiettoria e brillavano di vita e meravigliosa luce. Kavahel, compiaciuto, si accorse che, accanto a sé, ora era aperto un grosso libro. Nonostante fosse rimasto immobile, avvolto dal torpore e dal silenzio che desiderava, la sua mano aveva scritto fra quelle pagine bianche tutto quello che era avvenuto fin ora. Lesse, affascinato, soddisfatto anche dell’evidente esistenza di un nuovo Dio delle Letterature, essendo presente quel libro. Si chiese, per un istante, chi avesse mai potuto governare la sua mano per riportare quegli eventi e se il suo scritto aveva in qualche modo influenzato il presente e gli accadimenti passati. Sorrise, comprendendo la frase che ripeteva sempre Kasday: “Ci sarà sempre qualcuno al di sopra di te”. Non sapeva chi fosse, e non era sicuro che qualcuno effettivamente esistesse al di sopra della sua entità, ma lo faceva sentire meno solo, meno responsabile, l’idea che lo accompagnasse e guidasse qualcun altro. Ora comprendeva anche perché i mortali volevano gli Dèi e perché le potenze creatrici dei Pianeti li creassero: erano presenze rassicuranti, da un lato, e perfetti capri espiatori dall’altro. Guardò giù, verso uno dei Mondi sottostanti, mentre la sua mano continuava a scrivere, e decise di dare un’occhiata, cosa che non aveva mai fatto da particolarmente vicino. Sbatté le grandi ali blu, che si dischiusero come fece l’uovo che lo racchiudeva alla nascita, e puntò i suoi occhi verso un grande edificio nero, che si stagliava nel cielo con le sue torri irregolari. Aveva un’aria decisamente familiare. Kavahel guardò dentro una piccola finestra tutta storta e sbirciò gli occupanti della stanza. Era un’ampia sala molto singolare, con pareti storte, pavimenti diagonali, strane protuberanze ed una gran confusione.

La città degli Dei 3 - La linea di sangueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora