13 - Il mio Caesar

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Freya sbatté il pugno contro la parete. Cosa diavolo le era saltato in testa? Un duello con Caesar-sono-una-macchina-senza-emozioni? Come avrebbe fatto a vincere senza fargli male? E dopo come si era comportato, voleva davvero non fargli del male? Aveva ucciso Bjorn!

Tutte quelle domande le fecero venire mal di testa, perciò smise di preoccuparsi e cominciò a immaginare le mosse che aveva imparato in tutti quegli anni. Una lancia, una spada... tutto sarebbe andato bene. Non doveva perdere, in nessun caso: lei era la Regina, e l'avrebbe fatto vedere a quel ragazzino che giocava a fare il tiranno.

Bussarono alla porta, e una guardia Demone le diede un'armatura piuttosto pesante da indossare, ordinandole di sbrigarsi. La ragazza pensò che avessero fatto apposta a non dargliene una più leggera, ma il fastidio venne rimpiazzato dall'orgoglio: se fosse riuscita a vincere con quella indosso, sarebbe stata da lodare.

Ci mise un po' con i legacci sulla schiena, ma quello che la fece più attardare fu l'elmo. Gli Angeli non avevano tutte quelle protezioni, stavano attenti a non farsi colpire o a sopportare stoicamente il dolore fino alla vittoria. La visiera era stretta e lunga, e dubitava che riuscisse a vedere il nemico abbastanza bene da calcolare le mosse e prevernirle. Eppure, testarda com'era, decise di indossarlo: avrebbe potuto sfilarlo velocemente in casi estremi.

Subito dopo aver consegnato l'armatura, la guardia andò nella stanza a fianco, occupata dall'Imperatore, e annunciò che aveva equipaggiato la ragazza. Egli stava fissando l'orizzonte, nero a causa della mancanza del sole. Ricordi dolorosi gli affollavano la mente e – per quanto non volesse ammettere – il cuore.

L'ultima volta che aveva combattuto il duello era stato con l'impostore Edmund, e al suo fianco c'era stata Freya... finché non era scappata senza neppure salutarlo, non appena aveva capito che sarebbe stata punita per averlo aiutato. Si era sentito tremendamente tradito, solo, mentre il padre gli spiegava che se n'era andata. Aveva passato giorni a letto, incosciente, e aveva sperato al suo risveglio di vedere di nuovo quegli occhi azzurro acqua profonda, quella sfumatura che rendeva indistinta la linea tra cielo e mare. Ma non v'era stato nulla di tutto ciò, solo dolore e perdita. Perché come uno sciocco si era innamorato, come un bambino aveva osato sperare che non ci sarebbero stati problemi tra un Demone e un Angelo. Quelle idee malsane erano state poi completamente sradicate dalla fuga di Freya.

Sapeva che se l'avesse incontrata di nuovo, non avrebbe agito come avrebbe voluto: mandarla al diavolo e dirle che la odiava. Lo stupido ragazzino innamorato si era destato non appena i suoi occhi si erano posati sui ghiacci della Scandinavia, gioendo di essere così poco distante da lei, che aveva preferito tenere le distanze mentre lui era ferito – non solo fisicamente.

La prima mossa da fare era vincere il duello contro la figlia della Regina. Dopo aver assunto il controllo, avrebbe avuto abbastanza uomini per combattere equamente i Cacciatori, tutto il resto doveva aspettare.

L'orizzonte cominciò a colorarsi di tinte giallo-scarlatte: era ora. Indossò l'armatura e uscì dalla stanza, sentendosi confortato dal clangore delle lastre metalliche che cozzavano tra loro mentre si muoveva. Arrivò alla grande sala comune, dove vi erano i due troni, e vide un'altra figura abbigliata per il combattimento. Accanto alla ragazza stava il generale Oddvar, che continuava a guardarla con uno sguardo di rammarico.

«Puoi sempre arrenderti, se hai paura», disse Caesar, non riuscendo a stringere le spalle nell'armatura.

L'Angelo si voltò verso di lui e chiese, con voce metallica a causa dell'elmo: «Come creiamo un quadrato di fango?».

«Oh, vedo che conosci le nostre usanze». Caesar era colpito, forse un po' troppo aspramente: quella ragazza poteva avere l'età di Freya, magari erano amiche e lei aveva raccontato tutto. Idiota lui a pensare che fossero momenti speciali, i loro, preclusi a tutti gli altri.

Con tono di scherno, l'Angelo disse: «È giusto conoscere i propri alleati, no?».

Caesar non rispose alla frecciatina, si limitò a dire: «Potremmo utilizzare tutta la sala come campo, niente squalifiche, solo bravura».

«Allora mi sa che hai già perso», disse Freya, sguainando la spada e correndo verso di lui, che preso alla sprovvista sgusciò di lato.

Cominciò così un duello davvero estenuante: finte continue e parti sensibili messe di proposito senza difesa, come trappola per l'avversario. Caesar riuscì a graffiare Freya nella porzione di pelle scoperta tra manica e guanto, e lei si vendicò affondando per qualche centimetro la punta della spada nel polpaccio del ragazzo.

Nonostante sapesse che quello non era più il suo Caesar, cercava di sfiancarlo o disarmarlo senza infliggere danni seri, cosa che invece l'Imperatore tentava di fare a ogni stoccata. Nella sala erano presenti solo due guardie e Oddvar, il quale cominciava a temere che se a vincere fosse stata la Regina i Demoni l'avrebbero uccisa con la forza. Vedeva quella che per lui era ancora una bambina combattere per qualcosa di troppo grande, qualcosa che anche lui nei suoi duecentoquaratun anni stentava a capire: il potere.

Potere. Dolce nettare che porta quasi all'oblio della morale, ora metteva uno contro l'altra due anime affini, che se non fosse stato per gli incresciosi eventi, sarebbero maturate insieme fino a diventare una sola. Potere. Vacillava a ogni tocco troppo brusco e si rinsaviva con le carezze, eppure eccolo presente a promettere la morte di uno dei due.

La sala non era stata sgombrata, perciò vi erano ancora molti oggetti a terra. Freya sbatté la schiena contro un tavolo e Caesar sfruttò il momento per affondare la lama nel suo petto, all'altezza del cuore, ma lei fu più veloce e si accasciò a terra, per poi sfruttare il punto scoperto e dargli un pugno sullo stomaco. Il ragazzo tentennò un po', cercando di rimanere stabile, mentre l'Angelo coglieva il momento di debolezza e lo incollò al muro, con la lama premuta sulla gola.

Attraverso la stretta visiera riuscì a vedere i suoi occhi, circondati dal metallo dell'elmo. Sembrava preso in contropiede, ma da onorevole guerriero buttò a terra la spada, capendo di aver perso.

«Potrei riconfermare la nostra alleanza, se ti lasciassi in vita», disse Freya, cercando di non forzare troppo la spada né lasciargli troppo spazio per riprendersi. Che doveva fare, ora? Odiava la sua nuova versione, ma da qui a ucciderlo...

«Parlate troppo, ma'am», rantolò lui e lei fece quasi per rispondere, quando sentì una dolorosa fitta al costato. Si sentì prigioniera di un corpo che non rispondeva più ai suoi comandi, perché sentì la bocca riempirsi di sangue e le gambe cedere. «Questa è la mia risposta alla vostra alleanza». Vide indistintamente l'avversario con un pugnale fra le mani, e l'ultimo pensiero coerente fu "il mio Caesar non esiste più, non avrebbe mai barato".

Ággelos - Vertici compliciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora