19 - Serpente

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Caesar stava osservando due contadini combattere con una spada molto più sottile e affusolata di quelle dei Demoni. I raggi del sole nascente evidenziavano, attraverso le ombre, i muscoli dei due, che altro non erano se non un esempio per la moltitudine di persone – donne incluse! – che si stavano sfidando per dar modo all'Imperatore di studiare la situazione militare.

Ecco, dunque, perché non erano incapaci. Perché alla fine dei conti Wladimir aveva deciso di allearsi con questo popolo: i loro corpi erano abituati alle intemperie, a portare i corpi dei possenti animali che conquistavano dalla caccia. Erano inesperti, le loro mosse non erano eleganti e letali, ma con quella forza e quelle spade così leggere, erano indistruttibili.

«Non avete armature?», chiede l'Imperatore ad Oddvar, nel tentativo di nascondere di essere compiaciuto di essersi sbagliato su di loro.

«Affrontiamo il destino a testa alta. Se una freccia è nella nostra direzione, è il Fato che lo ha deciso e noi non possiamo far altro che accettarlo».

«Quindi non vi scansate?». Eccola lì, la fregatura. Così grandi e grossi, e con istinti suicidi.

«Morire in battaglia è l'unico modo per raggiungere il Valhalla. Ma non tutti coloro che muoiono durante una guerra raggiungono la sala di Odino».

«Non ti seguo», biascicò il ragazzo.

«Se la tua paura è quella che andremo incontro alle frecce e alle spade, puoi dormire come un vitello».

Ancora quelle parole sembravano oscure, ma Caesar decise di interpretarle come una cosa positiva. Posò nuovamente gli occhi sulla moltitudine di Angeli che si allenavano. Li stava facendo riscaldare, nell'attesa che anche l'esercito di Demoni arrivasse e potessero combattere insieme, per appurare se fossero capaci ad adattarsi a stili differenti di attacco e difesa.

William si affiancò a lui e fece il saluto militare.

«Avevi detto che non avresti tolto gli occhi dalla Regina», lo rimproverò lui.

«Non ho infranto la mia promessa, sir».

Caesar si voltò per fulminarlo per quella bugia, quando notò che il Demone non lo stava guardando: teneva gli occhi fissi sulla folla. Il ragazzo sapeva già cosa avrebbe trovato seguendo quella pista, e infatti vide una figura scellerata che combatteva contro un uomo più grande di lei, spada in mano e capelli legati.

Non sembrava minimamente rallentata dalla ferita che le avevano causato i Cacciatori, ma anzi più agguerrita.

Freya, dal canto suo, aveva capito che se non si fosse data una mossa, se non avesse davvero ricoperto quel ruolo che le avevano donato i suoi fratelli, le possibilità di vittoria erano troppo poche. Il suo petto faceva male, ma l'orgoglio di riuscire a stare di nuovo in piedi, dopo neppure dodici ore di agonia, era molto più forte.

A parte il duello con Caesar, l'ultima volta che aveva combattuto era stato contro Bjorn... quella consapevolezza amara era sufficiente per andare avanti, per vendicarlo prima o poi.

«Basta!», alzò la voce l'Imperatore, per farsi sentire oltre il rumore delle spade, delle grida e degli sbuffi. Tutti si voltarono verso di lui, che con una grazia sconosciuta tra quelle montagne li ringraziò più volte per aver dimostrato la forza e tenacia del popolo degli Angeli, e li congedò.

Uomini e donne intorno a Freya ulularono di gioia, battendo le spade contro gli scudi. Caesar lanciò loro un'occhiata tra il sorpreso e l'orripilato, prima di nasconderla dietro un'impeccabile maschera di fiducia.

La ragazza, invece, si sentì punta nel profondo. Salutò chi le si avvicinò per omaggiarla e poi si diresse verso l'Imperatore. «Che cos'è questa storia?», chiese, in modo forse troppo rigido. Il Demone che l'aveva assistita – anche se forse, dire controllata avrebbe più senso – non le aveva spiegato nulla di quella calca che combatteva.

«Potrei farti la stessa domanda», rispose lui, sistemandosi sulla spalla la pelliccia che gli era scivolata. «Dovresti pensare a guarire».

«E tu dovresti occuparti del tuo popolo». Freya incrociò le braccia, incurante del fatto che avrebbe dovuto coprirsi, che non le faceva affatto bene essere sudata con quella temperatura così bassa.

«Vieni dentro, o peggiorerai la tua situazione», mormorò Caesar, cortese.

Freya osservò il braccio che le era stato porto. Il ricordo di qualche anno fa si fece molto forte nella sua mente, di quanto lui allo stesso modo l'aveva invitata a camminare con le braccia incrociate nel Palazzo dei Demoni. Lo aveva considerato un porto, in quel luogo, l'unico che potesse condurla in giro senza che lei sembrasse un'intrusa... e alla fine erano diventati qualcosa in più.

Cosa era cambiato dal giorno prima? Perché Caesar si stava comportando come... come Caesar? Non come una macchina senza emozioni, ma come il ragazzo di cui si era invaghita?

Decise di assecondarlo, di vedere fin dove sarebbe arrivato. Intrecciò il proprio braccio al suo, ma stavolta senza restare nel dubbio di quanto dovesse avvicinarsi, della distanza giusta tra i loro fianchi: si tenne il più possibile lontana.

Certo, aveva visto in quel Demone qualcosa del suo Demone. Ma cosa le assicurava che non fosse solo una farsa, che poi non tornasse ad essere quel tiranno che era diventato? Essere sciocca le avrebbe solo portato altri guai, e le bastava una stilettata allo stomaco per ricordarsene.

Arrivati nella sala principale, Oddvar li stava aspettando. Aveva preferito restare in disparte per evitare di lasciar trapelare troppo, ma nascosto dalle quattro mura di legno poteva finalmente essere se stesso.

«Freya!», esclamò, correndole incontro e abbracciandola in maniera molto leggera. Questo sciolse il mezzo abbraccio dei due. «Come ti salta in mente di combattere con quella ferita?».

«Non è niente di così sconveniente», provò a dire Freya, ma sapeva che Oddvar non le avrebbe creduto, ma le avrebbe dato comunque il suo appoggio.

«Vai immediatamente dal Guaritore».

Forse era meglio lasciarlo stare, quel povero uomo. Ne aveva viste tante, era rimasto prigioniero dei Demoni mentre lei stava male e sicuramente si stava tranquillizzando curando raffreddori ai bambini. «Ti prometto di andarci, se mi sento peggio».

Oddvar le lanciò un'occhiata di ammonimento. Si guardò in giro più volte, prima di avvicinarsi al suo viso e coprirsi la bocca con una mano semipiegata. «Non farti incantare. Anche il serpente sembra ammiccante, prima di ingurgitare il topo».

Freya si sentì punta nell'orgoglio. Era davvero così evidente come il cambio di comportamento di Caesar l'avesse toccata? Gli occhi si indurirono, il mezzo sorriso di cortesia si rabbuiò: non bastavano di certo parole gentili per cambiare ciò che era stato. Annuì, facendo capire a Oddvar senza esplicitarlo la gratitudine che provava per averla rimessa in riga. Lo chiamò per nome, prima di risfoderare il sorriso. «Chi pensi sia il serpente fra i due?».

«Non è un pensiero, ma una speranza».

«Allora riformulo. Chi speri sia il serpente?».

«Chi si ricorderà che qualsiasi azione graverà sulle spalle del suo popolo», tagliò corto lui. Apprezzava che Freya fosse tanto determinata, ma cominciava a sospettare che quando era stata ospite per l'Imperatore Wladimir, tre anni prima, qualcosa di irreparabile fosse scattato tra i due giovani.

«Vado a farmi un bagno», disse lei, «devo sembrare ammiccante».

«Ma non limitarti solo a quello».

Alzò un sopracciglio, attendendo una spiegazione.

«Lo devi anche ingurgitare, il topo».

Con un gesto molto teatrale ed esagerato, Freya mimò il saluto militare che facevano i Demoni non appena si trovavano nel raggio di vista di Caesar, per poi dargli le spalle e dirigersi verso la vasca di legno che si trovava in uno degli ambienti più caldi della dimora dei Re. Aveva qualche vestito lì, per le emergenze e per quando i bambini diventavano tanti da ospitare a casa e quindi preferiva non rubare spazio a loro.

Ci avrebbe messo un po', come tutte le volte che si trovava in quella vasca e non a buttarsi addosso secchi di acqua semighiacciata, per poter meditare in tranquillità cosa avrebbe potuto fare per non cadere nelle trame del serpente-Caesar.

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