11 - Soffio di monsone

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«Beh, a me non interessa!», sbuffò Freya, incrociando le braccia. «Rivoglio la mia casa».

«Pensavo ti avrebbe fatto piacere che...», disse Sigfrid preso in contropiede, massaggiandosi la barba incolta bionda. Era seduto di nuovo su uno dei due troni, ricoperto di pellicce.

Al suo ritorno in Scandinavia, la ragazza aveva trovato una casetta completamente nuova al posto della vecchia e sbilenca capanna. Le porte erano resistenti e il tetto era ricoperto di mattoni, una vera e propria novità nel villaggio. Sapeva benissimo che era stato Caesar a chiedere che venisse ristrutturata, e probabilmente aveva anche pagato per farlo, ma a lei non piaceva per nulla. Niente più ricordi dei genitori, niente più preoccupazioni su come dover tenere in piedi la parete della cucina che pendeva in modo troppo pericolante. Non era casa sua, quella.

«... che voi acconsentiste?», continuò lei a denti stretti. Fosse stata un'altra persona a mancare così di rispetto al Re, sarebbe già stata uccisa, ma Freya era un po' la figlia di tutti lì dentro, dato che aveva passato un mese con ogni famiglia fino al compimento dei dodici anni per poter sopravvivere e non essere un peso per qualcuno in particolare.

«Non posso offrirti nulla per compensare la perdita. Freya, ragiona: è un regalo, da parte mia e dei miei amici Demoni». Quelle parole non fecero che peggiorare la situazione. Già, amici. Perché Angeli e Demoni non potevano essere di più, vero? Non poteva azzardarsi a provare qualcosa più della simpatia, visto che non era neppure mezzo secolo che c'era l'alleanza.

E poi, rimanere in quella casa e vedere ogni cosa nuova le faceva tornare in mente Caesar, e il dialogo con Wladimir prima di partire. «È casa mia, giusto? Posso disporne come voglio?».

Sigfrid annuì, sospirando. Quella ragazza era davvero testarda, fin dove sarebbe arrivata? Freya fece un sorriso soddisfatto e un inchino, per poi uscire dall'ambiente caldo della sala comune. Fuori aveva smesso di nevicare da un po', ma l'aria gelida le colpì comunque le guance come delle piccole stilettate. Si recò a passo di marcia verso una casa del villaggio, e poi un'altra e un'altra ancora. Ogni volta che bussava alle porte ed esponeva la propria proposta, gli uomini e le donne la guardavano sempre più stupefatti e grati. Non vivevano certo di stenti come lei, ma avrebbe fatto comodo ciò che offriva la ragazza.

Così, da quella notte in poi, i bambini più piccoli cominciarono a dormire a casa di Freya, dove vi era un camino in ogni stanza. Almeno così non si sarebbe sentita troppo in colpa e avrebbe potuto aiutare la comunità, allontanando il rischio di far ammalare i piccoli. La sera, quando arrivavano e giocavano un po' tra loro prima di coricarsi, portavano sempre dei piatti caldi per lei, e poiché ospitava una ventina di piccoli, poteva garantire loro la colazione, visto che lei mangiava solo il tanto che bastava.

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Il giorno andava a cacciare e invece di un cervo ne prendeva due, così che se per caso qualche bambino si fosse presentato alla sua porta per dormire senza un piatto caldo, lei avrebbe potuto portare un po' di carne a quella famiglia che non era stabile. Pian piano cominciò a dimenticare la faccenda dei Demoni, presa a cercare di conquistarsi un posto nella società.

Una mattina si stava allenando con Bjorn, il figlio del Re. Gli aveva chiesto di allenarla così da poter essere una buona guerriera, e lui aveva accettato ad una sola condizione: che se gli fosse successo qualcosa, lei avrebbe preso sotto la sua ala protettiva la famiglia. Non era una richiesta dettata solo dalle circostanze – la minaccia dei Cacciatori era sempre più vicina – ma tutti nel villaggio sentivano che di lei ci si poteva fidare come una sorella minore.

«Hai le spalle troppo tese», disse Bjorn, mentre faceva un affondo con la spada, che Freya parò subito. Un calcio veloce e l'uomo si trovò con la schiena a terra e la spada di lei sul petto.

Si alzò scricchiolandosi il collo. «A questo punto potresti anche avere una sola gamba, e mi batteresti comunque».

«Ma per favore», Freya fece un risolino. Negli ultimi due anni, da quando era tornata dalla Corte dei Demoni, si era allenata incessantemente. Mattina combattimenti, pomeriggio caccia o pesca, sera con i bambini. Aveva anche smesso di frequentare Kare, che non c'era rimasto poi tanto male: aveva l'imbarazzo della scelta tra tutte le pretendenti che gli andavano dietro.

Delle urla li fecero allarmare. Bjorn le fece cenno con la testa di seguirlo, e cominciarono a correre veloce, superando i campi e raggiungendo la piazza del villaggio. Un uomo vestito piuttosto pesante e con un grande zaino sulle spalle cercava di chiedere attenzione.

Bjorn allora urlò un «Silenzio!» e poi si voltò verso l'uomo, facendo segno che poteva parlare. La folla si azzittì, sembrava che tutti si fossero riuniti lì, curiosi.

«Come voi sapete, sono il generale del Re. Siamo partiti una settimana fa per incontrarci con l'Imperatore dei Demoni e decidere come agire nei confronti dei Cacciatori, che continuano a fare rappresaglie nei territori di entrambe le razze». Alcuni tra la folla annuirono, ma Freya vide negli occhi dell'uomo rammarico. «A causa di un complotto... il Re degli Angeli e l'Imperatore dei Demoni sono morti, e con loro se ne sono andati anche il nostro braccio destro e Cavaliere, Horti Bernsson, e l'Imperatrice dei nostri alleati, Cordelia Darkriver».

Quelle parole causarono il panico fra la popolazione. Il loro Re giusto e saggio era caduto, ora come avrebbero fatto? Freya aveva sentimenti contrastanti per la morte dei due Demoni: erano stati così gentili e ospitali, eppure Wladimir le aveva detto che non aveva futuro con Caesar e... era inutile pensarci ora che non c'erano più, si disse la ragazza. Eppure per Sigfrid soffriva come una figlia, era stato sempre paziente e premuroso nei suoi confronti. Alle urla delle donne contrastavano le grida degli uomini che minacciavano vendetta.

Fu troppo per la ragazza, la recente perdita di una figura così stabile e presente nella propria vita aveva riaperto la ferita sulla morte dei genitori, che pensava fosse scomparsa. Non fece neppure un cenno a Bjorn, semplicemente si voltò e si diresse a casa sua, cercando di cacciare indietro le lacrime. Si accoccolò su un giaciglio di paglia e si avvolse con una coperta, rannicchiandosi. Capiva solo con la scomparsa del Re, che era stato una figura stabile nella propria vita: quando aveva un problema si rivolgeva a lui, e l'uomo non l'aveva mai sgridata come poteva fare grazie alla sua posizione; no, era sempre stato paterno nei suoi confronti. Il rammarico per non aver mostrato di più cominciò a serrarle le viscere, mentre qualcuno bussava alla porta.

Lanciò uno sguardo alla finestra, dove le stelle brillavano ormai da ore, e si chiese quanto tempo era trascorso e perché non avesse sentito il bisogno di pranzare e cenare. Sapeva che erano i bambini che cercavano rifugio, e lei non poteva apparire debole, assolutamente. Si asciugò le lacrime, fece due respiri profondi e spalancò la porta.

Di fronte a lei stava quasi tutto il villaggio, con torce accese e occhi luminosi quanto il fuoco. Il generale di Sigfrid, colui che aveva portato la notizia della morte del Re, esclamò nel silenzio: «La votazione per la prima volta nella nostra Storia è unanime!».

Freya guardò con panico gli uomini e le donne che posavano un ginocchio a terra e chinavano la testa. La voce dell'Angelo si fece sentire di nuovo, e generò brividi di paura nella ragazza.

«Inchinatevi, fratelli, alla nostra nuova Regina! Lunga vita a Freya! Possa Odino vegliare il tuo cammino!».

La ragazza si sentì quasi mancare. No, non lei, non ora. Se anche vi era stata una possibilità di esiliarsi e raggiungere Caesar, in quel preciso istante era sfumata. Lui sarebbe stato il prossimo Imperatore di Demoni – forse l'incoronazione si stava svolgendo proprio in quel momento – e lei la prossima sovrana degli Angeli.

Mentre tutti al suo posto sarebbero stati felici e fieri di avere così tanta considerazione da essere stati eletti nuovi reali dal popolo della capitale di quel modesto mondo, per Freya fu solo un soffio di monsone che fece cadere tutti i castelli in aria.

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Siamo arrivati al cuore della storia! Eheh :D

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