16 - Messaggio al vostro capo

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Un grappolo di persone la guardavano dal basso verso l'alto. Avevano tutti le guance rosse, chi più chi meno, per la fretta del richiamo della Regina che li aveva costretti a uno sbalzo di temperatura non indifferente, dalle loro camere riscaldate dal fuoco dai vespri della sera prima al ghiaccio dell'aria della piazza.

Freya si maledisse per non aver fatto la conta, quella notte. Era solita controllare quanti e chi fossero i bambini che andavano a dormire da lei, ma nella fretta di parlare con Bjorn e Oddvar per quella situazione di guerra controversa, si era completamente dimenticata. Kier era rimasto a casa dei genitori per la febbre alta. Sicuramente presso la casa della Regina si sarebbe sentito meglio, avrebbe potuto stare più al caldo e svagarsi con gli amichetti, eppure i genitori avevano preferito tenerlo lontano per non creare un focolaio di germi, senza tuttavia premurarsi di avvisarla.

La moglie del fabbro stava singhiozzando, con le mani che coprivano il viso, i capelli scompigliati che svolazzavano al vento. Aveva già perso un figlio durante una fiera, il povero ragazzo era stato colpito da un dardo tirato dall'arco di un Angelo del villaggio vicino.

«Possiamo andare a chiedere al villaggio vicino», propose Freya seguendo la linea di pensieri. «Metà di voi andranno verso Hulterstad, mentre gli altri cercheranno nei boschi».

Dalle persone non si levò quel grido fiero, sicuro, che contraddistingueva la maggiro parte delle adunate. A nessuno piaceva quella situazione, men che meno quando i Demoni erano scomparsi nel nulla in un momento tanto delicato. Tutti annuirono debolmente, con le teste ciondolanti. A destra e a sinistra di Freya, in piedi su un tronco d'albero tagliato a metà per divenire una base da dove rivolgere il popolo, si formarono due gruppi eterogenei: da una parte stavano i più muscolosi e coloro che avevano la disponibilità di vestirsi con più lane e pellicce, coloro che sarebbero andati a cercare nei boschi; dall'altra, i più gracili e la maggior parte delle mogli di coloro che avevano scelto di andare tra gli alberi: così che se fosse stato necessario, se Odino avesse deciso che era tempo di porre fine ad una delle due spedizioni di ricerca, i bambini non sarebbero rimasti senza entrambi i genitori.

Non c'era dubbio su dove sarebbe andata Freya, perciò il gruppo diretto verso il villaggio salutò e a gran passo si diresse ad ovest, mentre sulla stana piano piano qualcuno si staccava dagli altri, andava a recuperare un cavallo o un mulo e poi tornava, dando spazio sulla sella a chi non aveva la possibilità economica di permettersi un lusso come un animale da trasporto.

Con un salto, la Regina scese dal tronco ed atterrò sulla neve fresca. Ai suoi piedi comparvero delle goccioline rosse, che lei prontamente coprì. Si strinse di più nella pelliccia, sperando di riuscire a trovare presto Kier e tornare dal Guaritore.

Il fabbro la attendeva alla testa delle persone che avevano deciso di partecipare alla spedizione. Aveva uno sguardo umido, si poteva vedere nelle sue pupille azzurre il conflitto interiore che lo attanagliava.

Con un cenno della mano, Freya invitò gli uomini e le donne a seguirlo. Ad ogni passo il dolore al fianco diveniva sempre più forte, quasi come il cozzare di scudi e spade dietro di lei.

La foresta sembrava sempre la stessa ad ogni iarda, rendendo molto difficile orientarsi e tornare a casa, ma la ragazza conosceva a memoria la fascia di alberi esterna, quella che si affacciava sul villaggio.

Ma Kier non sembrava trovarsi in quella parte della foresta. Freya portò la mano alla gola che bruciava per tutte le volte che aveva urlato il nome del piccolo a pieni polmoni. Non poteva essere andato così tanto lontano da solo...

«Torniamo a casa», pregò il fabbro. «Forse è stato ritrovato».

Non fece in tempo a finire la frase, che una donna urlò il suo nome con voce acuta. Tutti si voltarono verso di lei, stava indicando un punto tra gli alberi.

Da lontano si poteva solo vedere un bambino portato in braccio da una figura nera. Tutti si strinsero più vicini, in una formazione che richiamava quella della difesa durante un attacco.

Chi era quell'uomo nero? Come aveva trovato Kier? Gli aveva fatto del male o lo aveva rapito lui? E ora il piccolo stava bene?

Preso dall'impulso, il fabbro fece uno slancio quando la figura fu abbastanza vicina da identificarla come Demone. Freya era abituata a quella vista, e sotto sotto le piaceva anche come quel colore scuro cadesse bene sulla carnagione pallida. Comprendeva però come gli altri non fossero abituati a vedere un loro... amico? Nemico?

L'uomo scuro si fermò vedendo il fabbro arrivare e senza attendere oltre gli porse il piccolo. «Non mi sono permesso di controllarlo per vedere se ha ferite sul corpo, ma respira regolarmente», spiegò con una voce molto acuta, che lo rendeva più piccolo di quanto non sembrasse. «Il mio signore e Imperatore ha lanciato l'allarme alla nostra base e ci siamo messi alla ricerca del bambino perduto, vi manda i suoi saluti e si scusa per il ritardo con cui siamo arrivati, è un paesaggio a noi sconosciuto ed ostile quello scandinavo. Ci chiedevamo se potessimo stanziare accanto al vostro villaggio, così da potervi proteggere e allo stesso tempo permettere al nostro capo e al vostro di accordarsi».

Silenzio.

Alcuni lanciarono occhiate a Kier, che svenuto oppure appisolato, era al sicuro tra le braccia del padre, mentre altri continuavano a fissare quel Demone come se fosse stato un fantasma.

Il ragazzo si sentiva in imbarazzo, era evidente dai suoi modi molto rigidi. Si schiarì la voce e chiese: «Con chi posso avere il piacere di parlare, per mandare un messaggio al vostro capo?».

Freya fece un passo avanti. «Con me».

Il Demone accennò un sorriso di cortesia. «Buongiorno, miss. Le vorrei chiedere se posso utilizzarla come messaggero o se il vostro capo non avrà problemi a vedermi accompagnato da voi presso la sua dimora».

«Ragazzo», disse un uomo del gruppo, «stai già parlando con il nostro capo».

Ci mise un po' ad afferrare, ma quando capì il nesso arrossì e lanciò un'occhiata allarmata a Freya, prima di inchinarsi e scusarsi in mille modi differenti di come fosse stato scortese ed irrispettoso.

«Per favore, alzatevi», chiese la Regina, confusa. Cosa voleva dire quel Demone? Caesar non si era fatto di certo problemi ad invaderli di notte, minacciarli e addirittura uccidere uno di loro.

«Fratelli, sorelle, tornate a casa e avvisate che Kier è sano e salvo. Se la spedizione verso il villaggio non è ancora rientrata, per favore qualcuno di voi vada ad avvisarli», il tono era molto più amichevole, come quello di una richiesta, piuttosto che quello di un ordine.

Alcuni annuirono mentre altri spostavano lo sguardo tra il Demone e la loro Regina, dubbiosi di quella scelta, ma non proferirono parola: l'avevano eletta loro stessi, si fidavano del suo operato e tutti conoscevano quanto fosse di buon cuore e la sua relazione travagliata con i Demoni (senza ovviamente scendere nei dettagli con i trascorsi con il nipote di Wladimir Bloodwood).

Senza girare la testa e controllare ogni tanto la situazione, uomini e donne si allontanarono verso ovest, dove i camini li attendevano, ancora scoppiettanti nella fredda mattina.

Quando il fragore delle spade e degli scudi che cozzavano contro quelli del vicino fu abbastanza lontano, Freya sospirò e si rivolse al Demone.

«Temo di non capire cosa vogliate dire».

«Cosa intendete?».

«Il vostro Imperatore è già presso di noi, perché questa richiesta?».

«Lo sappiamo già, miss, ma l'Imperatore Caesar non voleva che sembrasse un'invasione il nostro avvicinamento a voi con tutte le armi».

Freya continuava a non capire. Si rifiutava di andare a chiedere al diretto interessato, sarebbe stato come parlare ad un muro. E poi, era certa di volerlo affrontare? Gli suscitava emozioni contrastanti e in quel momento voleva solo pensare a guarire e proteggere il suo popolo. «Vi ringrazio, potete andare».

Il Demone portò la mano tesa alla fronte e poi corse via, tirando su un sacco di neve.

Ora la ragazza poteva respirare con la bocca, non fingere di stare bene. Cercò l'albero più vicino e vi si sedette con la schiena contro, concentrandosi esclusivamente sull'aria che inalava ed espirava, inalava ed espirava, inalava ed espirava.

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