Capitolo 6

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31 gennaio

E.B. era in realtà Eva Daros, una ragazza di 5A del suo stesso istituto tecnico commerciale. Aria l'aveva scoperto passando la ricreazione chiusa in uno dei cessi fuori servizio del suo corridoio. Non si parlava d'altro: della pazza che si era buttata dalla finestra, della ragazza fuori di testa che aveva tentato il suicidio. Nessuno se ne capacitava, eppure era evidente che tutti la considerassero una sfigata. «Ma chi? Quella che si metteva sempre delle maglie dai colori assurdi?»

«Eva? Quella secchiona?»

«Quella coi denti da coniglio?»

«La cocca della prof di italiano. Quella che non prende mai meno di nove nei temi. Ogni volta la Salvador li legge ad alta voce in classe».

Non era riuscita a origliare niente di buono su questa Eva, che Aria, da quelle descrizioni, non aveva idea di chi fosse. Non le erano mai interessati i pettegolezzi e si interessava a malapena di quello che capitava nella sua, di classe, figuriamoci in quelle degli altri. Certo che se la scuola parlava di lei in quei termini, oltre ai conflitti familiari, dietro al suo gesto poteva esserci una buona dose di bullismo. Aria temeva che se fosse stata lei a buttarsi dalla finestra i commenti non sarebbero stati più indulgenti. Avrebbero detto:

«Ma chi? Quella cicciona?»

«Quella piena di brufoli?»

«Quella coi capelli sempre incasinati?»

«Quella che si veste da sfigata?»

Solo una ragazza aveva accennato alla possibilità di andare a trovare Eva in ospedale ma subito era stata messa a tacere con argomentazioni piuttosto convincenti: «È in terapia intensiva, faranno a malapena entrare i suoi genitori». «Io le parlavo a stento, l'ultima volta le ho dato della stronza perché non mi ha fatto copiare i compiti di matematica».

Aria aveva trattenuto il fiato, un po' nella speranza che da quello scambio uscisse fuori anche il nome dell'ospedale in cui Eva era ricoverata, un po' perché dalla turca inagibile usciva un fetore disgustoso. Avrebbe voluto potersi appoggiare al muro o alla porta, ma aveva la sensazione che fosse tutto così sporco e poco igienico che come minimo avrebbe contratto una malattia mortale.

Non vedeva l'ora di uscire da quel buco per avere di nuovo accesso a dell'aria respirabile.

Tornò in classe con lo sguardo fisso al pavimento, immersa nei suoi pensieri. Quando, seduta al suo banco, riportò l'attenzione sull'ambiente circostante, catturò uno scambio di battute tra Francesca e Ilenia, nella fila di banchi davanti a lei: commentavano la nuova tresca di un cantante di cui Aria non avrebbe saputo canticchiare nemmeno una canzone. Continuò a fissarle, le loro bocche, dalla forma perfetta messa in evidenza da un rossetto costoso, si muovevano e si distendevano in ampi sorrisi che mettevano in risalto i loro denti dritti e bianchi. I capelli ondeggiavano morbidi sulle loro spalle. Sembravano non avere un problema al mondo. Aria provò prima una fitta d'invidia: quanto avrebbe voluto non avere niente di meglio a cui pensare che al cantante del momento! Poi, si sentì afferrare da una solitudine angosciante: non aveva nulla in comune con Ilenia e Francesca, niente da spartire con le sue coetanee, con le sue compagne di classe, con nessuno al mondo. Quella sensazione di isolamento la trascinò in una spirale discendente di pensieri di catrame che le fecero salire le lacrime agli occhi.

«Cazzo guardi!» la accusò Ilenia.

Aria abbassò lo sguardo sul banco senza dire nulla, infilò l'unghia in un graffio della superficie verde acqua e ci si accanì, percorrendolo per tutta la sua lunghezza più e più volte.

Quando la prof entrò, Aria prese il suo quaderno del morire dallo zaino e inaugurò una nuova sezione: "aforismi sul suicidio". In attesa della fine dell'ultima ora rilesse tutto ciò che aveva scritto fino a quel momento su quel quaderno e si ripromise di iniziare a compilare la nuova pagina.

Aria e altri coccodrilliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora