17. Capisci le mie parole.

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Appena furono in vista del villaggio, So-o lanciò un' occhiata a Cha e sparì rapidamente in mezzo alla boscaglia.

Cha lo guardò andare con rassegnazione. Ormai aveva capito che cercare di tenerlo a freno era inutile. Tuttavia c' erano molti Kot in giro, sbandati o rimasti indietro rispetto al grosso gruppo che era sopravvissuto alla battaglia contro gli sputasassi. Si augurò che tornasse intero, anche questa volta. Poi, con la dovuta calma, si sarebbe fatto spiegare che cosa lo avesse spinto ad andarsene così in fretta, e ancora di più che cosa gli fosse accaduto in mezzo all' erbaforte, subito dopo che tutti insieme avevano catturato il Kot.

Il prigioniero era un esemplare  che a malapena riusciva a stare in piedi. Quando lo avevano avvistato era da solo, riverso a terra, e non faceva altro che aspettare gli avvoltoi. JarJar e So-o gli si erano avvicinati controvento, e avevano lanciato la rete di liane: il Kot aveva tentato di liberarsene, ma debole e sfinito com'era aveva finito con l 'intrappolarsi da sè. Una cattura facile, meglio di quanto potessero sperare.

Usando una slitta di rami gli uomini lo avevano trascinato fin dentro la caverna. In qualche modo, afferrando la rete, erano riusciti ad adagiarlo su di un ceppo, con la schiena poggiata alla parete di roccia.

Cha gli si avvicinò e lo scrutò con attenzione. Temeva le chiazze che gli si allargavano sul pelo, e temeva che non vivesse abbastanza, e  infine che la loro potesse essere stata fatica sprecata.

Gli versò un mestolo d'acqua sulla testa ed uno direttamente nelle fauci che teneva spalancate. Gli occhi, al contrario, erano socchiusi. Non muoveva un muscolo, nonostante fosse sveglio e vigile. Le mosche, attratte dal tanfo, cominciavano ad affollare la caverna.

"Capisci le mie parole?" disse Cha, rivolto alla bestia.

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"Capisci le mie parole?" disse So-o alla piccola creatura dalla testa enorme che lo aveva raggiunto sopra un ramo, dove il cacciatore attendeva da un pò.

Era un Maat, So-o ne era certo. Una piccola scimmia, secondo gli uomini, molto difficile da incontrare, in quanto viveva sugli alberi dalla corteccia rossa che crescevano folti in mezzo agli acquitrini, a loro volta infestati dai caimani e dalle sanguisughe.

Quando aveva lasciato gli altri, So-o voleva tornare dove aveva fatto quella specie di sogno. Come altro poteva definirlo? Per un istante, appena aveva stretto il bavaglio intorno alle fauci del Kot si era sentito altrove, e nella testa gli si erano presentate immagini e pezzi di accadimenti che non erano suoi, che non gli appartenevano.

Era stata una trance brevissima. Ciononostante Toome-o lo aveva dovuto scrollare affinché tornasse in sé, e tutti erano rimasti pietrificati, sorpresi da quanto gli era accaduto.

D'improvviso aveva capito meglio ciò che talvolta gli succedeva durante la caccia, quando gli capitava di avvertire così chiaramente la paura del cervo o della gazzella che preferiva tornare a mani vuote. 

Non ne aveva mai parlato con nessuno, forse nessuno avrebbe capito.

Per tornare verso quel punto, decise di seguire un altro percorso. Non era chiaro dove i Kot si stessero dirigendo dopo la sconfitta. Sembrava che avessero preso la direzione delle proprie terre, oltre il secondo fiume, ma So-o non ne era sicuro. Quindi aveva preferito allungare la strada scegliendo la boscaglia piuttosto che il campo aperto. Lì, incontrarli sarebbe stato più difficile.

Girò intorno ad una piccola collina ricoperta di edera spinosa. Da lì in poi si trovò in un lungo tratto dove gli alberi lasciavano il posto ai cespugli della finta mora;  continuò addentrandosi in una zona acquitrinosa dove l' acqua era alta un palmo, incontrando di quando in quando massi squadrati,  grandi come capanne e solitari.

Passò vicino alla grande pozza antica e traditrice dalla quale spuntavano ancora in piedi, così come si erano trovati quando la palude li aveva imprigionati, gli scheletri dei bufali e dei cervi con il grande impalcato delle maestose corna rivolto al cielo, e, colossali, la gabbia toracica e il teschio dello sputasassi che da ragazzo, insieme a JarJar e a molti altri aveva visto morire impantanato.

Da lì in poi erano terre sconosciute, che le basse acque del lago che univa il primo e il secondo fiume modificavano in continuazione, a seconda della frequenza e dell'intensità delle piogge.

Sapeva però che doveva seguire la linea degli alberi dalla corteccia rossa, che erano quelli che meglio si prestavano ad ospitare la creatura con la quale, in qualche modo, aveva avuto quel contatto, e che aveva immaginato  tanto bene da poterla riconoscere. Scelse un albero, il cui tronco era segnato dai graffi dei continui saliscendi delle creature della notte. Sedette su un ramo e si mise in attesa.

......

Non ci volle molto tempo. La creatura si avvicinò senza paura, come se lo conoscesse. Gli sedette di fianco, e si guardarono in silenzio, per lunghi istanti. Era quello, l'essere che si era inoltrato tra i suoi pensieri mentre stava nell'erba forte.

"Ti aspettavo", disse So-o. "Stavi dietro le rocce mentre catturavamo il Kot. E' cosi?"

Il Maat non batté ciglio. Si limitava a fissarlo. So-o pensò che aveva un'espressione di grande tristezza.

"Capisci le mie parole?"  chiese So-o.

"Io ti conosco", rispose il Maat. 

"Mio padre ti vide da sopra un albero, mentre guardavi morire lo sputasassi, venti inverni fa. Io non ero ancora nato, non è il mio ricordo ma il suo. E' una delle immagini che ha deciso di passarmi perchè mi fossero utili ed io potessi passarle alla mia gente. Se per te è difficile da capire, te lo spiegherò. E' qualcosa di simile a quanto ci è accaduto prima, mentre prendevate il Kot. Le chiamate così, le grandi bestie, non è vero? E per rispondere alla tua domanda, capisco le tue parole. E anche quelle di tutti gli altri", e fece un gesto, indicando con l' indice un punto immaginario, oltre le montagne, che per tutti gli uomini avevano sempre rappresentato il confine del mondo.  

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