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Jungkook's POV

Correvo, correvo con tutta la forza che mi era rimasta nelle gambe, non riuscivo a percepire con quanta velocità stessi effettivamente correndo, ma correvo, perché correre era l'ultima cosa che mi restava. Nonostante il vento forte che mi schiaffeggiava e il polverone che si era alzato, voltavo lo sguardo a destra e a manca con la speranza di intravedere un qualche tipo di nascondiglio, un muro, un masso, qualsiasi cosa, ma la fortuna sembrava non girare dalla mia parte; fino a quando non inciampai in qualcosa. Lì per lì pensavo che il karma me ne avesse fatta un'altra delle sue, ma quando alzai lo sguardo e vidi tra le nuvole di polvere un vecchio relitto, giuro di aver creduto di nuovo in un qualche benevolo Dio. Mi nascosi meglio che potei e aspettai, trattenendo il respiro, di sentire le voci di coloro che mi stavano inseguendo sparire. Prima li sentii avvicinarsi, dare un'occhiata in giro, poi allontanarsi sempre più, fin quando decisero che nemmeno oggi mi avrebbero preso. Allora mi misi in piedi e quasi non trattenni un grido di spavento quando notai che un corpo giaceva a poca distanza da me, ma dato il buio pesto prima non me ne ero accorto. Ecco su cosa ero inciampato: la gamba del ragazzo morto. Aspetta, era morto? Dovevo controllare, ma prima diedi uno sguardo a ciò che indossava, non potevo sognarmi di aiutare un nemico o qualcosa del genere. Niente. Non indossava nessuna spilla, nessun fazzoletto, nessun documento (non che si trovino spesso persone con i documenti ormai) o altro. Sembrava solo, come me. Mi avvicinai e poggiai le dita accanto alle sue labbra per sentire se respirasse. Poco, ma respirava. Poggiai poi l'orecchio sul suo petto. Bene, anche il battito c'era ed era abbastanza regolare. Decisi di sollevarlo dal terreno, anche perché dovevo tornare a casa il più presto possibile, non era consigliabile girare di notte e con una zavorra per giunta. Posizionai le mani sulla sua schiena e gli sollevai il torace, poi circondai le mie spalle con il suo braccio e mi misi in piedi. Lo tenevo per i fianchi e cercavo di impedire che i suoi piedi toccassero il terreno, di modo che nessuno avesse avuto la possibilità di trovarci seguendo la scia. Prima di uscire dal relitto diedi un'occhiata in giro. Destra, niente. Sinistra, niente. Okay era ora di andare. No aspetta, perché lo facevo? Sarebbe stato solo un peso per me. Non sapevo se fosse capace di combattere, usare un'arma, costruire qualcosa, cosa so cucinare magari. Cosa mi spingeva a portarlo con me? Magari una volta sveglio mi avrebbe ucciso. Cosa mi spingeva a farlo? Ah il cuore, il cuore. Stupido cuore. Anni e anni di vita da solo, al limite della sopravvivenza, ricercato da quei pochi uomini che erano rimasti su questo schifo che la terra era diventato non mi erano bastati? Non mi erano bastati a non fidarmi di nessuno? A pensare solo a me stesso? No, evidentemente no e non ne sarebbero bastati altri cento di anni così. Ero fatto così d'altronde.

Arrivai dopo qualcosa come 10 minuti. In realtà non sapevo quanto fosse passato, chi lo aveva un orologio? Andavo a stima.
Dopo aver attraversato quel che restava di un vecchio ponte che collegava le due rive di un fiume secco da anni, giunsi di fronte a un boschetto fatto di alberi ormai morti e rinsecchiti, voltai a desta e riconobbi la mia grotta addobbata a casa. Ne andavo molto fiero: nessuno avrebbe scommesso che quella fosse un'abitazione, anche perché era al limite dell'umano e rasentava il selvaggio. Non mi lamentavo mica però, certo quando facevo ancora parte del Gruppo almeno stavo in una tenda, ma ormai quelli erano tempi passati. Entrai nella mia dolce casetta e lasciai il mio amico, peso morto, colui che mi avrebbe presto ammazzato, insomma lui sul mio caro lettino (una struttura all'avanguardia, fatta di legno, pietra, qualche pezzo di metallo e una coperta rubata. Lusso). Tirai un sospiro di sollievo e bevvi un sorso d'acqua, poi mi girai, guardai il volto del ragazzo e avvicinai alle sue labbra il bicchiere per permettere di bere anche a lui. In tutto quel trambusto non mi ero ancora soffermato sul suo volto. Come era bello, semplice, dolce. Le sue labbra erano belle, i suoi occhi, seppure chiusi, erano belli e non riuscivo a pensare a niente se non "bello" in quel momento. Distratto dalla sua bellezza non mi ero quasi accorto delle ferite che deturpavano il suo collo e la sua tempia destra. Dovevo assolutamente controllare se ne avesse altre e cercare di farlo tornare cosciente.
Mi affrettai a sbottonare la sua giacca di jeans, non ne vedevo uno in così buone condizioni da un sacco di tempo, e gli sfilai la t-shirt bianca. Niente per fortuna, nessuna ferita significativa che perdesse sangue. Stavo per rimettergli la maglietta quando il mio sguardo
cadde sui suoi addominali. Cosa non era quel ragazzo? Decisi infine di mettergli la maglietta più per frenare me che per impedire che il freddo di quella landa desolata lo uccidesse definitivamente. Non ero mentalmente pronto a controllare le gambe quindi mi fidai del mio sesto senso e del fatto che chiazze di sangue sulla coperta non se ne erano formate. Avrà sbattuto forte la testa e avrà perso i sensi, dovevo solo aspettare. Decisi di farlo e visto che non avevo niente altro da fare, letteralmente, decisi di farlo fissandolo. Magari si sarebbe svegliato prima.

•Future• ||JIKOOK||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora