E venne il giorno...

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In questo preciso istante odio tutto.

Odio la mia curiosità.

Odio la mia ricerca.

Odio i miei appunti.

Odio persino mia moglie.

Mi prendo la testa fra le mani e chiudo gli occhi con un gemito soffocato.

L'ennesimo buco nell'acqua.

Sono un ricercatore, maledizione, eppure non riesco a far valere le mie teorie nel mondo in cui vivo.

In preda all'ira, con un gesto del braccio, spazzo via dal tavolo tutti i documenti che stavo leggendo.

L'assonnata cameriera, che prima mi ha servito un caffè annacquato ed insapore, inarca un sopracciglio, dotato di piercing, in maniera molto teatrale, come dire che non si abbasserà mai a raccogliere il disastro che ho fatto.

E non posso darle torto.

Forse dovrei smetterla di inseguire un sogno...

Solo che il mio non è un sogno.

Io l'ho visto davvero.

Ero piccolo, avevo circa cinque anni, e, quella notte di settembre, non riuscivo a prendere sonno.

Mia madre mi aveva raccontato una favola, creata apposta per me come tutto ciò che faceva, eppure Morfeo non voleva prendermi fra le sue braccia.

Così, anche se mi era categoricamente proibito, decisi di uscire in giardino: all'epoca abitavamo in una villetta a schiera ed il tappeto erboso era poco più di un fazzoletto, con qualche sparuta aiuola.

Era impossibile che un bambino di cinque anni si perdesse o si facesse male, ma mia madre era iperprotettiva sotto questo punto di vista.

Comunque riuscii ad uscire senza fare alcun rumore e mi sedetti sulla sedia a dondolo, dove solitamente si accomodava lei, e rivolsi la testa verso il cielo.

Era una spettacolo mozzafiato.

Miliardi di piccole luci che illuminavano quella distesa scura ed immensa...

Agli occhi di un bambino era qualcosa di impossibile da descrivere: potevo solamente continuare ad ammirarlo in silenzio.

E fu allora che lo sentii.

Era un rumore lieve, più uno sbuffo che un suono vero e proprio.

Ovviamente attirò subito la mia attenzione.

Non pensai neppure per un secondo di correre in casa a cercare mia madre.

Io semplicemente mi alzai e, a piedi nudi, mi incamminai verso il cespuglio di rovi che si trovava nell'angolo più scuro del nostro giardino.

L'erba era umida e morbida, il pigiamino s'incollò alla mia schiena tanto ero sudato, ma continuai a camminare, a passo lento e sicuro.

Dopo interminabili minuti, raggiunsi la mia metà e udii nuovamente quel rumore, stavolta unito ad una sorta di scalpiccio.

Incuriosito e per nulla intimorito come solamente un bambino può essere, mi accucciai a terra e, cercando di non ferirmi con le piccole spine, mi feci strada all'interno del cespuglio.

Non appena lo vidi rimasi a bocca aperta dalla meraviglia.

Era un cucciolo, su questo non avevo alcun dubbio, però non avevo mai visto un animale così... strano.

Sembrava una lucertola troppo cresciuta con piccole spine sulla schiena ed una coda bizzarra. Possedeva occhi scuri e dolci ed io provai ad accarezzarlo: era caldo e ruvido, ma decisamente innocuo.

Anomalie: l'inizio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora