6-Sarah

150 20 23
                                    


Una volta di sopra sorridevo ancora, ma non sapevo perché, forse per il semplice fatto che ero riuscita a parlargli, oppure perché il colore dei suoi occhi mi era rimasto impresso nella mente come un tatuaggio permanente.

Aveva le iridi di un grigioverde intenso, come quelle di mio padre, anche se più belle, più luminose, più profonde, ma non più rassicuranti.

Mi infilai un pigiama grigio a pois verde spento, coincidenze, mi ripetei, soltanto pure coincidenze.

Dopo circa un quarto d'ora di pensieri decisi di andare a dormire, di non aspettarlo, avevo già fatto troppo per quel odioso ragazzo, la mancanza della buona notte non gli sarebbe mancata.

Ripensandoci però decisi di restare sveglia e mi sedetti sul letto ad aspettarlo pensando che forse gli mancava da troppo tempo, era ora di regalargliela.

Vidi aprirsi la porta e lui entrò con passo lento, quasi delicato, ma l'incanto finì quando, noncurante, decise di sbattere la porta.

Anch'io, noncurante, decisi di non sorridere mentre gli davo la buona notte che non ricambiò.

Fatto ciò chiusi gli occhi con la testa sul cuscino e pochi secondi dopo sentii il materasso del letto al mio fianco abbassarsi: feci una smorfia di disgusto, odiavo la situazione in cui mi aveva cacciata Magda.

Optai per non pensarci e dormire, ma un sussurro mi tenne sveglia fino a notte fonda.

"Buona notte" sussurrò, poi il suo respiro si fece regolare.

La mattina dopo mi svegliai con le occhiaie fino al mento per l'insonnia: lui era sveglio e si stava vestendo.

Mi squadrò un po' e poi rise: "Dormito bene?" scherzò.

Decisi di rimanere al gioco: "Una favola."

Ma lui era più preparato: "Dillo alla tua faccia, allora" e si mise a ridere.

Roteai gli occhi per l'ennesima volta da quando era tornato e, dopo che fu uscito, iniziai a vestirmi.

Optai per una maglietta bianca dell'Adidas infilata in degli shorts neri a vita alta con le scarpe della stessa marca della maglia e una coda di cavallo, sorrisi: ero pronta.

Guardai il calendario prima di uscire, era Sabato, ciò voleva dire che avrei passato la mattinata con Van.

"Buongiorno!" salutai tutti appena scesa e addentando un pancake mentre mi sedevo.

Ricambiarono tutti, tranne Lui, ma io mi ricordavo ancora della scorsa notte, così feci un sorrisino malizioso che non gli sfuggì.

Mi odiava, si vedeva, ma io volevo farmi odiare ancora di più, volevo vedere fino a che punto si sarebbe spinto o quando avrebbe ceduto, dipendeva dai punti di vista.

Non volevo rovinarmi la vita avendo un compagno di stanza odioso, ma finora era così.

Mi alzai da tavola nello stesso momento in cui si alzò Vanessa e sorridemmo salutando gli altri e uscendo per la nostra mattinata, potevamo fare ciò che ci pareva dove ci pareva, nessuno ci avrebbe viste, brontolate o corrette, eravamo libere.

Non che la famiglia fosse un'oppressione, ma i ragazzi a volte si lasciavano trasportare troppo.

Decidemmo di andare a piedi e di farci tutta la strada principale dei negozi, più qualche negozio in periferia.

Il primo in cui finimmo fu Tiger, lo adoravo, io comprai una bacheca, un ciak per bellezza e due porta foto, uno per me e uno per Harry, Van invece comprò le mie stesse cose, eccetto uno dei due porta foto, dato che aveva la stanza singola.

"Allora? Come ti trovi con Edwards in camera?" chiese

Intanto girovagavamo per la seconda volta nel negozio.

"Non lo so, a volte è in un modo, a volte in un altro... e tutto questo è così odioso!"

Non volevo dirle ciò che avevo provato quando lo avevo guardato negli occhi, non volevo ammetterlo nemmeno a me stessa, non ancora, almeno, per ora lo odiavo, lo odiavo perché mi ricordava mio padre, lo odiavo perché mi trattava male, lo odiavo e basta.

Vanessa fece cenno di aver capito e non fece più domande su di lui.

Piuttosto parlammo d'altro, di accessori per la camera, di lavoro, di famiglia, di hobby, di tutto purché non fosse centrato sull'argomento Harry Edwards.

Se c'era una cosa vera che Van però non sapeva era che io ci stavo ancora pensando e non me lo toglievo di testa nemmeno volendolo.

L'unica cosa bella era che non mi faceva pensare al passato, mi ci teneva lontano e la cosa era confortante.

"A cosa pensi?" mi distolse dai miei pensieri.

Non volevo dirglielo: feci la finta tonta.

"Eh? Come, scusa?" no, non era credibile.

Vanessa mi guardò con un sopracciglio alzato e la fronte corrugata, lo faceva sempre quando era confusa.

"Sarah, non sono scema. Pensi a lui?" mi chiese con un punto di malizia nella voce.

Roteai gli occhi, non stavo pensando a lui, proprio no.

"Okay, hai vinto, stavo pensando ai miei genitori."

La sua espressione cambiò da confusa a preoccupata.

Non volevo farla sentire in colpa, mi sarei sentita in colpa anch'io.

"Oh, scusami, non volevo..." si arrese.

Non ero comunque contenta, l'avevo fatta preoccupare per il mio egoismo, quindi le dissi che non importava, che non era colpa sua e si tranquillizzò, almeno per il momento.

Il negozio che visitammo dopo Tiger fu l'Hard Rock.

Sapevo benissimo che non era solo un negozio, ma anche un bar, un ristorante... però a me interessava comprarmi una felpa, cosa che per l'appunto feci mentre, dal parlare di hobby giornalieri è passati snervanti, passammo all'argomento soldi e lavoro.

"I ragazzi si stanno impegnando tanto ultimamente... la band sta andando a gonfie vele, solo che se ci fossi tu..."

Lei ci provò, ma io io non ci cascai, la guardai così male che chiuse gli occhi per un momento, riaprendolo poco dopo e cambiando discorso.

"Però non importa, sai già a cosa lavorerai?" chiese, e io ne fui grata.

Le risposi che pensavo di aprire un banchetto nel garage dell'orfanotrofio con le cose che non usiamo più, aiutata dai bambini dell'asilo di fronte.

Alla mia affermazione rimase stupita: le piaceva.

"Prenderò qualche oggetto da ogni camera, se non vi spiace, perché abbiamo troppe cose, e le metterò in vendita di sotto. So benissimo ciò che non usate, che non vi piace o che non vi serve più" affermai, ero decisa.

Pensai ancora a tutto ciò che avrei potuto vendere che non serviva più, avrei svaligiato la soffitta.

"La prima cosa che butterò sarà quell'orribile chitarra dietro all'armadio" affermai.

In un attimo gli occhi grigioverdi di mio padre si misero a confronto con quelli di Harry nella mia testa, ma io scacciai via il pensiero mentre Vanessa mi guardava dispiaciuta.

Era vero, avrei buttato quella chitarra, anche se non ci credevo più di tanto.

Via Di FugaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora