8-Harry

143 20 21
                                    


Mi ero sbagliato, non era diversa.

Era come tutte le altre, cazzo, erano tutte uguali.

Tutte le donne erano presuntuose, stronze, manipolatrici, spietate, arroganti, bramose da far schifo e io le odiavo, e adesso odiavo anche lei.

Il giorno prima mi medicava le ferite facendomi sentire meno solo, il giorno dopo si faceva sussurrare all'orecchio cose dolci da Coleman.

A proposito di Nathan, ricordai ciò che mi aveva detto: non dovevo parlare, ma io, stupidamente, non avevo afferrato a pieno l'avvertimento e avevo disobbedito alla promessa.

La guardai mentre si dimenava con lui in mezzo alla pista: quello lo chiamavano ballare?

Stufo, presi un'altra bionda che mi era capitata accanto immaginando fosse lei e iniziai a ballarci, mentre mi si strusciava addosso facendomi provare sempre più schifo.

Ad un tratto la ragazza iniziò a leccarmi il collo e io mi staccai per andare a prendere da bere: non volevo diventare come mio padre.

Era stato orribile vedere mio padre che tradiva mia madre con ogni donna presente sulla faccia della terra e sapere che lei lo aveva seguito anche quando era ricercato da La Cerchia, mettendo a rischio la sua vita solo per salvarlo.

La ragazza bionda provò a seguirmi, ma io la seminai con una bottiglia di birra in mano, bevendo, troppo.

Il liquido frizzante mi entrava in gola bruciandola come se fosse in corso l'eruzione di un vulcano, mi incendiava, ma non faceva male, ormai ci ero abituato.

Sentivo l'impulso di fare a botte, ma anche di ridere fino allo sfinimento.

Mi sentivo leggero, sensazione fin troppo familiare: ero ubriaco, non ragionavo più.

Un uomo mi venne a sbattere contro, anche lui barcollante, e io colsi l'occasione per un po' di rissa.

"Ehi, attento!" esclamai fingendomi infastidito.

Gli tirai uno spintone e lui reagì allo stesso modo, sentivo lo sguardo dei miei amici addosso, erano preoccupati, ma non intervenivano.

A forza di spintoni l'uomo si ribellò assestandomi un pugno in pieno viso.

"No, bello. Fossi stato in te non l'avrei fatto" lo avvertii prima di buttarmi addosso a lui.

Iniziai a prenderlo a pugni nel viso e piano piano sentivo una certa soddisfazione inquinarmi le vene, sì, era quella sensazione che adoravo.

Mentre lo spintonavo gli lanciavo anche frecciatine, insulti, tanto per sentirmi più motivato, cose del tipo "riprovati", o "ti avevo avvertito".

Ad un certo punto sentii un urlo familiare, troppo familiare.

E ora che cazzo ci fa qui Sarah?

Ma me ne sbattei e dai pugni passai ai calci in pancia: il tizio era messo davvero male.

Quando delle mani fredde mi afferrarono per il bicipite e delle unghie corte mi graffiarono leggermente la pelle mi rilassai staccandomi: la rissa mi aveva fatto passare la sbronza.

Mi girai in tempo per sentire quelle mani staccarsi da me e andare a posarsi sulla mia faccia, mentre un agente di polizia mi portava in macchina fino alla centrale.

A quanto pareva avevo messo il tizio presuntuoso fuori gioco, facendolo pentire amaramente di avermi tirato un cazzotto in faccia.

Il dialogo fu corto: dissi che mi chiamavo Harry Edwards, che venivo dall'Inghilterra, che avevo ventitré anni e che ero innocente.

Spiegai alla polizia che lui mi aveva spintonato, io lo avevo spintonato di nuovo, ma mi sarei fermato lì, se lui non avesse continuato a spintonarmi per poi tirarmi un pugno, provocandomi e iniziando la lotta.

Era una tecnica che usavo molte volte: aspettavo che il coglione di turno facesse la cosa sbagliata e, sebbene fosse colpa mia, rigiravo la moneta dandogli la colpa di aver iniziato e usando la carta del lottatore.

Mi credettero e mi lasciarono andare.

Arrestavano me per una rissa e non La Cerchia per tutti gli omicidi commessi e la violenza esercitata, perfetto, direi, il mondo era perfetto.

Aprii la porta di casa e dentro c'era buio pesto, certo, cosa mi aspettavo, che qualcuno fosse seduto sul divano ad aspettarmi e chiedermi se stavo bene? No, non sarebbe successo.

Proprio mentre ci pensavo notai un lampione trapassare il vetro di una finestra e illuminare il divano sul quale era seduta Sarah.

Mi aveva aspettato? Perché proprio lei? Cosa voleva da me?

Lei mi odiava, lo sapevo benissimo, però era lì, e questo non me lo sapevo spiegare, non ci riuscivo.

Se mi odiava, perché mi aiutava?

Entrai in cucina, dove mi seguì titubante.

"Non serve a niente il ghiaccio istantaneo, lo sai" mi rimproverò.

Capii subito che quello era il suo modo per dirmi che ero un coglione, che lei non capiva come facevo a ridurmi sempre così, che non capiva questo mio eccessivo bisogno di fare a botte con qualcuno, che odiava quando succedeva.

Io non potevo farci niente, però, ero così e ormai non potevo cambiare, non per lei.

Sparì in bagno senza ottenere risposta e tornò poco dopo con lo stesso materiale della volta prima mentre io, senza farmi vedere, sorrisi scuotendo la testa.

Mi chiedevo quante altre medicazioni ci sarebbero state, in futuro, per quanto sarebbe rimasta, se fosse rimasta o se avesse fatto come tutti gli altri.

Esatto, mi chiedevo se, seppur odiandomi, sarebbe rimasta.

Sapevo che era una cosa stupida, ma non mi importava, finalmente avevo qualcuno che mi vedeva e che mi odiava e voleva allo stesso tempo, mi sentivo strano, per la prima volta.

Sperai di abituarmi a quella stranezza, per un minuto, sperai di poterla vivere ancora, sperai che non se ne andasse mai, in quel momento avevo bisogno di quella stranezza, in tutte le forme possibili o immaginabili, non importava, bastava solo che restasse.

Intanto Sarah mi stava premendo il liquido verde sul braccio, dove avevo l'ennesimo graffio, l'ennesimo segno di egoismo.

Se il giorno prima mi aveva fatto bruciore ora non sentivo più niente, mi ero abituato, era rilassante.

Osservai le sue mani delicate che sfregavano sulle mie braccia facendomi contrarre i muscoli e rabbrividire la pelle.

Stavo iniziando davvero ad abituarmici.

"Resta, ti prego. Odiami, ma resta" la implorai, ed era una richiesta sincera.

Lo volevo davvero.

Via Di FugaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora