9🥀

27 0 0
                                    

Lo guardo mentre resta in piedi e parla con Zayn e Dave di chissà cosa, i suoi occhi verdi si posano su di me e restano come sempre freddi e distaccati, ma la leggo li, tra le pieghe, quella sua preoccupazione.

La mia testa ripete le scene di ieri sera in continuazione, ho il terrore che chiunque mi si avvicina troppo voglia farmi del male, in un primo momento ho avuto paura anche di Sam, che ora è accanto a me e parla allegramente con Nathan che sta prendono in giro Kevin.

Sta mattina quando ho fatto la doccia e mi sono vista allo specchio ho desiderato che ieri sera Simon mi avesse uccisa davvero.

Cala di nuovo il buio nella mia testa e ritorno su quel letto legata, con lui sopra di me, che mi tocca, mi morde, si prende il mio corpo senza il mio consenso.

Vorrei piangere.
Urlare.
Reagire.

Resto ferma e aspetto la mia condanna. La peggiore di tutte, quella che non mi aspettavo di ricevere.

Sono addestrata a combattere.
A difendermi.

Tutti quei anni di duro allenando, sono vani, vani come la mia vita in quelle ore, legata e privata di tutto.

Fermo i pensieri.
Fermo la tristezza.
Fermo l'angoscia.
Lascio uscire la rabbia, pura e viscerale.

Lascio uscire il mostro dagli occhi neri e infossati che giace in ognuno di noi. So che quel bastardo è qui da qualche parte, basta chiedere a Luke per sapere dov'è. Voglio vendicarmi, so che magari dopo non starò meglio, ma per il momento questo mostro con gli occhi di un grigio tendente al nero, affianca la rabbia e ridono insieme a me.

Mi alzo da divano con staccato felino e tutti gli occhi si puntano su di me, ma non esiste nessuno attorno a me, solo rabbia e vendetta, mi tengono per mano e mi trascinano con forza verso le scale di marmo che portano al piano superiore.

Le voci dei ragazzi mi richiamo, ma sono troppo lontana e ovattate. Riacquisto la mia sicurezza, la stringo forte a me e lascio che le immagini della sera precedente scorrano. Senza paura o timore. Senza voglia di chiudermi in camera e non uscire più.

Cammino per il lungo corridoio, so dov'è il suo ufficio, ci sono venuta in qualcuno occasioni, rare, ma abbastanza frequenti da farmi ricordare dove sia l'ufficio di Luke. Arrivo davanti alla porta color mogano e senza bussare entro, la porta sbatte con forza contro il muro, i miei passi sono pesanti e rispecchiano la rabbia che si legge nei miei occhi.

Luke alza lo sguardo da quello che stava facendo, mi fissa.
Osserva.
Analizza.

Mi fa segno di sedermi, ma io ignoro la sua richiesta e appoggio le mani sul ripiano di vetro, tengo la testa bassa cercando le parole giuste e poi poso i miei occhi scuri sulla figura di quello che è il mio capo.

«Dimmi dov'è» sono le uniche parole che escono dalle mie labbra e lui non sembra per nulla sorpreso dalla mia affermazione, anzi si appoggia meglio allo schienale della siedo e porta le dita di entrambe le mani a toccarsi, solleva un sopracciglio e cerca di capire quali siano le mie intenzioni.

«Te lo direi anche cara, però non potresti avvicinarti a lui. Christian decide cosa farne del suo corpo, ammesso che sia ancora vivo» un ghigno malevolo sorge sulle sue labbra e gli occhi verdi si tingono di furbizia, prendo un sospiro e deciso di sedermi sulla poltrona e appoggio un gomito sul bracciolo e con l'indice e il pollice mi reggo la testa che è piegata leggermente di lato.

Seguono minuti di silenzio, penso a cosa dire e a come dirlo.

«Tuo figlio avrà anche carta bianca, ma sono io quella che ha subito il tutto, quindi mi spetta la mia fottuta vendetta.» l'ultima frase mi esce con un tono più alto e Luke mantiene la sua posizione e mi guarda ancora.

Change your mindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora