Capitolo Due

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Mi svegliai non appena sentii il carrello dell'aereo toccare terra.
Guardai fuori dal finestrino e ancora un po' intontita, mi resi conto di dove fossi.
New Orleans.

Tra lo sbarco, la ripresa dei miei bagagli e l'arrivo nella nuova casa passarono forse un paio d'ore ma ero finalmente felice ma anche un po' malinconica di essere finalmente arrivata alla meta prefissata.
La casetta era piccola e accogliente, un appartamento già arredato e sui toni del bianco e nero.
Era sera, ed io avendo dormito per la maggior parte del tempo non ero per niente stanca.
Feci una doccia e decisi di andare a mangiare qualcosa fuori, non avendo praticamente nulla in casa.
Presi dei jeans neri strappati e una maglietta grigia lunga, un paio di converse e la mia borsa, pronta per andare a fare un giro nella mia nuova città.
Una volta messo piede sulle strade illuminate di quella magnifica città, fui pervasa dal calore delle luci e dalla musica Jazz che risuonava in ogni angolo.
Fui meravigliata dall'atmosfera e dall'arte che arieggiava a New Orleans.
Camminai, con un sorriso smagliante per le strade, notando i vari negozi e i pub colmi di persone. Decisi di entrare in un ristorante abbastanza tranquillo e poco popolato, in quel momento non mi sentivo per niente propensa a fare nuove amicizie. Strinsi forte la collana con il ciondolo di nonna ed entrai facendomi coraggio.

Mi sedetti ad un tavolo apparecchiato per due, il posto era rustico e per niente formale, optai per una pizza sapendo con certezza che non avrei trovato il gusto Italiano.
Forse la presi per sentirmi a casa.
Una volta provata, prese il sopravvento il disgusto e fui divertita dalla mia stessa reazione.
<<Caspita Anna, non ti accontenti mai.>> dissi tra me e me.

Notai con la coda dell'occhio che qualcuno mi stava osservando. Mi sentii un'idiota.
Colui che mi stava fissando, notò anche questo e lo sentii avvicinarsi lentamente.
<<Possibile che io non riesca mai a NON attirare l'attenzione?>> urlò il mio cervello.
Mi girai, ancora con l'espressione palesemente imbarazzata e vidi davanti a me un uomo di tutto punto.
Un'eleganza fuori dal normale, d'altri tempi. Giacca, cravatta e pantalone nero.
Un uomo dallo sguardo dolce e dal sorriso gentile.
<<Problemi con il cibo di New Orleans signorina?>> mi porse un tovagliolo probabilmente per via del pomodoro rimasto agli angoli della mia bocca.
<<Sì. Mi spiace dirlo ma è così. Provengo da un paese in cui il cibo è messo al primo posto e vedo che non tutti condividono la stessa filosofia.>> la mia supponenza parlò al posto mio.
<<Beh, sicuramente New Orleans non sarà al pari dell'Italia ma ha molto da offrire. Arte, musica, storia. Culturalmente, siamo in un buon posto in classifica.>> rispose l'uomo in nero.
Il suo tenermi testa mi stupii. Probabilmente non sapeva chi fossi. Raramente qualcuno era in grado di rispondermi e rimanere vivo a fine conversazione.
Ma lui era diverso, c'era qualcosa in lui che mi spingeva a saperne di più sul suo conto.
<<Touchè.>> risposi alzando le mani e mostrando un sorriso beffardo.

<<Sono Elijah.>> mi prese la mano e avvicinò il suo viso ad essa con fare galante.
<<Annalisa, molto piacere.>>
<<Le andrebbe Annalisa, di fare un giro con me qui in città? Magari potrei farle assaggiare dei piatti sicuramente più gustosi di questo.>>
<<Accetto volentieri.>>
Mi alzai dal tavolo e non appena lo feci pensai che avevo accettato l'invito di uno sconosciuto che molto probabilmente avrei dovuto uccidere.
La mia diffidenza e la poca fiducia nel genere umano e NON mi spingeva sempre a pensare che qualcuno potesse essere gentile con me per un tornaconto personale.
Sarebbe potuto essere chiunque, mandato da chiunque, per avere il mio sangue.
Ancora una volta.
Nonostante i miei pensieri malsani, feci un sorriso consapevole che nessuno avrebbe potuto battermi, nessuno sarebbe stato al mio pari, nessuno mi avrebbe mai fatto del male.

Elijah era un vero gentiluomo, mi portò davvero a fare il giro della città mostrandomi quanto fosse stupenda, ma cosa importante, manteneva le distanze fisiche e non. Non chiese nulla di me, si limitò a farmi conoscere. Questo mi colpì.
<<Qui invece è dove abito io.>>
Mi voltai e vidi una vera e propria reggia, forse la casa più grande e ricca di tutta la città.
<<Vivo con la mia famiglia, siamo parecchi.>>
<<Per riempire una casa del genere dovreste essere minimo cinquanta.>>
dissi con una smorfia. Lui sorrise.
<<Non le piace dire le cose tra le righe, non è così?>>
<<Preferisco essere schietta. Non ha senso nascondersi dietro falsi sorrisi.>>
<<E' la stessa filosofia adottata da mio fratello maggiore, Klaus.
In lei, ho rivisto molto di lui.>>
<<E' un complimento? Perchè da come ne parli Elijah, non mi sembra che lo sia.>>
aggiunsi <<Non so se hai notato ma ti ho dato del Tu.>> strizzai l'occhio destro facendogli capire di evitare di farmi sentire più vecchia di quanto già fossi.
<<E' un complimento. Anche se non lo dico spesso, stimo mio fratello. Ne ha passate davvero parecchie.>> mi guardò attentamente per qualche secondo <<Altra cosa in comune, immagino.>> 

Io annuii.
Non volevo che sapesse troppo. Non volevo rivangare il passato, a maggior ragione con una persona conosciuta da un paio d'ore.
<<Vuoi entrare a bere qualcosa? Ovviamente non c'è alcun secondo fine, penso che l'uso del Tu implichi un'amicizia, sbaglio?>> mi porse il braccio
<<Ma sì, perchè no. Mi fermo poco però, dato che ho ancora molto da sistemare in casa. Abito dall'altro lato della città e ci metterò un bel po' a tornare.>>
<<Non ti tratterrò a lungo, promesso.>>

Entrai in punta di piedi, quella casa incuteva rispetto, timore, ma era ricca di amore e di dolore.
Mi sembrava quasi di percepirne i ricordi. Una sensazione abbastanza strana.
Non appena misi piede all'interno, vidi una ragazza.
Quando i suoi enormi occhi verdi incrociarono i miei, mi sentii rabbrividire. Avevo come la sensazione che assomigliasse a qualcuno, ma non seppi darmi risposta.
Era seduta su una poltrona, in braccio aveva una bambina di un anno forse.
Mi lanciò uno sguardo di fuoco, non capendone il motivo.
<<Questa chi è?>> chiese ad Elijah con un tono per niente dolce e delicato. Lì capii il motivo per il quale fosse in collera con me dopo trenta secondi di conoscenza.
<<Hailey, lei è Annalisa. Una ragazza appena arrivata dall'Italia, non amante della nostra città.>>
<<Non è proprio così.>> sorrisi <<Piacere.>> mi avvicinai e le strinsi la mano.
Guardai la bimba. Notai quanto somigliasse alla madre, era bellissima.
<<Come si chiama?>>
<<Hope.>>
mi abbassai e le toccai la mano. In quel momento percepii tanta energia, quasi simile alla mia. Mi resi conto che quella bambina aveva forse il mio stesso potere o maledizione.
<<E' davvero bellissima, complimenti.>> decisi di non parlarne.
<<Ti ringrazio.>> lo sguardo di Hailey si addolcì <<Non ho nessun flirt con il suo papà, puoi stare tranquilla.>>
<<Oh, ma Elijah non è suo padre...>> mi disse franca, spostando il suo sguardo su Hope.
<<Io sono lo zio.>> disse Elijah fiero.
<<Situazione imbarazzante, ora la domanda che farei se fossi con persone con cui sono legata sarebbe: ma quindi il padre chi è? Però evito dato che...>>
Venni bloccata sul nascere.
Una presenza imponente uscì da uno dei corridoi con passo deciso, fiero.
I capelli biondi vennero messi in risalto dalla luce che illuminava l'entrata principale.
<<Il padre sono io.>> mi disse incrociando il suo sguardo con il mio.
Mi sentii avvampare, pensai di non aver mai provato una chimica così lampante con nessun'altro in cinquant'anni di vita... mi sentii quasi in imbarazzo.
<<Piacere, padre di Hope. Io sono Annalisa.>>  alzai la testa, con fierezza esattamente come lui. Gli porsi la mano e lui me la strinse.
<<Io sono Klaus, Klaus Mikaelson. L'Ibrido Originale.>> fece un passo indietro con tanto di inchino <<Tu devi essere Annalisa, l'Eretica Originale. Molto lieto.>>

Mi si raggelò il sangue, quindi il tutto era stato studiato a tavolino.
Davvero mi conoscevano anche lì?
Davvero avevo a che fare con la famiglia Mikaelson? Pensavo fossero solo favole che mi raccontava la nonna. Ma a quanto pare quella donna non ha mai mentito o inventato con me.
Cercai di mantenere il controllo.
<<Sono proprio io.>> ancheggiai appoggiandomi sul fianco destro, a braccia conserte.
<<L'essere più potente al mondo è in casa mia e io non le offro nemmeno da bere? Che persona orribile che sono.>> sorrise, palesemente divertito dalla situazione.
<<Mi avevano accennato che tu fossi maleducato.>> gli risposi a tono, sedendomi su invito di Elijah.

Ero entrata nella casa dei Vampiri Originali.
La prima seraa New Orleans.
Il mio sesto senso da strega, mi diceva di andarmene.
Il mio cuore invece era stato totalmente stregato da Klaus, come un fulmine a ciel sereno.
Non capii subito le ragioni, ma ero intenzionata a conoscerle insieme ai motivi per i quali io mi fossi ritrovata lì.



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