Prologo.

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PROLOGO.

"La casa è quel luogo che i nostri piedi possono lasciare ma non i nostri cuori."
(Oliver Wendell Holmes)


Il taxi superò il cartello stradale e varcò la linea bianca impressa sull’asfalto. Un manifesto era appeso a qualche metro dalla strada e su uno sfondo rosso sangue risaltava una scritta bianca: benvenuti nella contea di Beacon Hills. La ragazza sospirò, non c’era modo di tornare indietro, ora poteva solo proseguire. Indicò al tassista di fermarsi davanti al Denim Café, poi allungò all’uomo barbuto una banconota e scese dall’auto. Dopo aver recuperato le sue due valige, entrò nel bar cercando di non dare nell’occhio, anche perché era certa che il suo ritorno avrebbe destato stupore nella piccola cittadina. Si sedette al bancone e ordinò una tazza di thè verde. Il cellulare le vibrò in tasca e solo allora si accorse dell’ora: erano già le dieci di sera. Fece scorrere le dita sullo schermo e lesse il messaggio di Greg in cui la pregava di chiamarlo una volta sistematasi in albergo; ignorò il tutto e tornò a sorseggiare la sua bevanda calda, sebbene fosse il cinque giugno. L’indomani avrebbe dovuto certamente contattare Scott e Stiles per avvisarli del suo ritorno, e non vedeva l’ora di abbracciarli dopo dieci anni. Non che fosse contenta di ritrovarsi di nuovo in quella cittadina che le aveva distrutto la famiglia, non che fosse entusiasta di partecipare al matrimonio di suo padre, non che avesse superato i traumi legati alla sua adolescenza, però proprio i suoi amici erano l’unica nota positiva in tutto quel dramma.
“Un whiskey, grazie.”
Lo sgabello accanto a quello di Aranel fu occupato dal tizio che aveva appena ordinato. Fu servito in un attimo e in un colpo scolò il liquido alcolico. Aranel lo guardò di sottecchi: aveva circa la sua età, venticinque o ventisei al massimo, aveva i capelli castani ben pettinati, ma non era possibile notare il colore degli occhi perché aveva il viso chino sul bicchiere. Non sapeva perché, ma qualcosa in quello sconosciuto le dava la sensazione di conoscerlo.
“La teina non aiuta l’ansia.” Esordì il ragazzo voltandosi verso di lei e beccandola a fissarlo. Aranel sbatté le palpebre confusa.
“Stai parlando con me?”
“Tu vedi qualcun altro seduto al balcone oltre a noi due?”
La ragazza si diede della stupida mentalmente e abbozzò un sorriso imbarazzato.
“Bene. Allora, cos’hai contro il mio thè?”
Lo sconosciuto richiese un altro whiskey prima di parlare. Questa volta lo bevve a sorsi senza buttarlo giù di fretta.
“Il thè contiene la teina, un eccitante, che di sicuro non agevola la tua ansia.”“Cosa ti fa credere che io sia ansiosa?”
“Una bella ragazza con due valige beve thè verde in un bar alle dieci di sera, direi che è alquanto insolito. O hai rapinato una banca e cerchi un alibi oppure ti sei rifugiata qui perché ti nascondi da qualcosa.”
Aranel fu colpita dall’analisi dettagliata del ragazzo, così si limitò ad annuire e a spostare l’attenzione sul legno scuro del bancone.
“Presumo che tu ti stia nascondendo. Dico bene?” il tono divertito del ragazzo fece sorridere Aranel, che riportò lo sguardo su di lui. Solo ora si accorgeva che i suoi occhi erano di un verde-azzurro intenso.
“Dici bene.”
“Cosa ti spaventa tanto da farti rifugiare qui?”
“Domanda troppo diretta. Ritenta e magari sarai più fortunato!”
Lo sconosciuto ridacchiò e scrollò le spalle.  Finì il suo whiskey e avvicinò lo sgabello a quello della ragazza. I capelli di un castano scuro erano perfettamente lisci, gli occhi color ambra non erano truccati, e le sue labbra erano piegate in un mezzo sorriso.
“Ripropongo: cosa ti porta a Beacon Hills?”
“Un matrimonio e una casa da vendere entro fine estate.”
“Il tuo matrimonio?”
“Cosa?! No, il matrimonio di mio padre.”
Il ragazzo ghignò per l’espressione terrorizzata della donna alle parole ‘tuo’ e ‘matrimonio’. Il thè si era raffreddato e Aranel aveva smesso di berlo. Poi risolve un’occhiata alla sua destra e azzardò a continuare la conversazione.
“E tu perché sei a Beacon Hills? Ti nascondi da qualcosa?”
“Cosa ti fra credere che io mi nasconda da qualcosa e non da qualcuno?”
Aranel aveva ben capito quanto fosse furbo il ragazzo, voleva conoscere ma non voleva essere conosciuto.
“Ripropongo: da chi ti nascondi?”
“Da me stesso.”
“Devi aver fatto molti errori per scappare da te stesso.”
Lo sconosciuto assunse una smorfia di dolore, si morse il labbro ed emise una risatina mesta.
“Oh, non immagini quanti. Sto cercando di rimediare al passato e sinceramente non so se lo sto facendo nel modo giusto.”
“Anche se lo stai facendo nel modo giusto, è difficile che tu te ne accorga. Purtroppo tendiamo a pensare sempre male di noi stessi perché siamo i nostri peggiori giudici. Forse hai già rimediato, forse hai ancora molto da fare, o forse non ti sei affatto impegnato, ma questo non puoi saperlo. Devi chiederlo agli altri se stai seguendo la giusta via.” La voce di Aranel era bassa e molto dolce, quasi volesse accarezzarlo, e lui ne fu meravigliato.
“Sei una psicologa?”
“No, sono una giornalista. Inoltre, negli ultimi mesi ho deciso di scrivere un romanzo, però non ho ancora scelto la trama e non ho sviluppato nulla.”
“Sei ambiziosa, sconosciuta!”
Aranel sorrise ampiamente e scosse la testa. Molte persone le avevano ripetuto che la sua ambizione era un difetto, che oltre alla propria affermazione c’è altro, e che bisognava restare con i piedi per terra, ma lei aveva perseverato e faticato per arrivare a quella vita che aveva sempre sognato.
“Sì, è uno dei miei tanti difetti. E tu cosa fai nella vita?”“Sono l’aiuto meccanico nell’officina di Bob.”
“Il meccanico Bob Allen? Lavora ancora a settantacinque anni?!”
Il ragazzo rise e annuì.
“Sì, è arzillo come un ventenne! E’ una vera forza quell’uomo!”
La vibrazione del cellulare di Aranel interruppe la conversazione, lei lesse il messaggio in cui suo padre l’avvisava di trovarsi fuori dal bar; era ora di andare. Lasciò degli spiccioli sul bancone e ritirò lo scontrino.
“Mio padre mi aspetta fuori, devo andare.”
“Lascia che ti aiuti con le valige almeno!”
“D’accordo!”
Il ragazzo pagò i suoi drink, agguantò le valige e si fece guidare fino al parcheggio. Una Audi bianca attendeva con i fari accessi e il motore che ruggiva, alla guida un uomo sulla cinquantina, giacca elegante, capelli brizzolati e occhiali dalla spessa montatura sul naso, salutò con la mano.
“Eccoci.” Disse Aranel, così fu aiutata a caricare le sue cose nel bagagliaio.
“Eccoci.” Ripeté il ragazzo.
A smorzare il loro silenzio vi era solo il ronzio del lampione.
“Grazie per avermi aiutata con le valige e per la compagnia di stasera.”
“Sì, ehm, figurati!”
“Bene, allora vado. Buonanotte.”
Prima che lei entrasse in auto, le afferrò il braccio e la costrinse a voltarsi.
“Dimmi almeno il tuo nome.”
“Mi chiamo Aranel.”
“Io sono Theo.”



Mettersi a letto fu una gioia immensa. Aranel si poté finalmente rilassare, lesse alcune mail e rispose al messaggio di Greg in modo lapidario promettendogli di chiamarlo il giorno dopo perché era troppo stanca. Ritrovarsi nella sua vecchia stanza era strano. Le pareti erano spoglie, le foto e i poster li aveva portati con sé, la scrivania era vuota, nessun quaderno o libro o penne alla rinfusa, l’armadio era deserto, eccetto qualche gruccia. Non avrebbe mai pensato di essere a casa dopo tanti anni, ma a confermarlo c’era il rumore costante del frigo e il miagolio del gatto dei vicini. Si mise su un fianco e affondò la guancia nel cuscino. Quella casa era legata a ricordi che facevano ancora male: le urla dei suoi genitori, i piatti rotti, la porta sbattuta da suo padre quando aveva deciso di andarsene, i pianti di sua madre. Erano anche numerosi i ricordi belli che facevano sorridere: i mercoledì sera con Scott e Stiles a guardare film, i pomeriggi passati a studiare insieme, le abbuffate di patatine e gelato, le nottate intere a ridere a perdifiato. Non aveva idea di come avrebbero reagito i suoi amici nel vederla lì, in quella città che si sforzava di dimenticare, con una carriera e una relazione. Sperava con tutta se stessa che almeno tra di loro non fosse cambiato nulla. Certo, in quegli si erano mantenuti in contatto, si chiamavano ogni sabato per aggiornarsi, ma un’amicizia attraverso uno schermo è diversa da una vissuta di persona. Aranel sapeva il segreto di Scott, di Lydia, di Malia e di Liam, e conosceva bene tutte le peripezie che avevano affrontato combattendo il soprannaturale. Lei non aveva mai preso parte alle loro battaglie perché, benché vivesse a Beacon Hills, frequentava un liceo a due ore dalla cittadina perché era lì che sua madre insegnava letteratura inglese. Le venne in mente Theo e sorrise inconsapevolmente. Era senza dubbio bello, e soprattutto aveva qualcosa di misterioso che l’aveva subito attirata. Si addormentò con il pensiero del sorriso del ragazzo, e dormì serenamente.

A touch of light || Theo Raeken Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora