IDENTITA’ RIVELATE.
“La tua identità è come la tua ombra: non sempre visibile, eppure sempre presente.”
(Fusto Cercignani)
Camminare tra le strade di Beacon Hill era come un viaggio nel tempo che, anziché essere carico di nostalgia e bei ricordi, era carico di rabbia e rancore. Aranel cercò di scrollarsi di dosso quella sensazione di oppressione che l’accompagnava da quando era ritornata e avanzò a passo spedito verso la redazione del giornale locale. Aveva comunicato a Scott che la sera si sarebbe presentata a casa sua se avesse trovato qualcosa. Il cellulare riprese a squillare per la terza volta in mezz’ora e si sforzò di rispondere in modo cortese.
“Dimmi tutto.”
“Aranel! Che succede? Perché non mi hai contattato? Sono due giorni che non ci sentiamo.”
Il controllo che Greg tentava di esercitare era asfissiante e lei si tratteneva dal riattaccare. Stavano insieme da tre anni, un paio di mesi prima lui le aveva chiesto di sposarlo e lei aveva risposto di sì. Benché avesse un ottimo lavoro, una bella casa e un matrimonio che la stava aspettando, lei si sentiva incompleta. Era arrivata al punto di credere che la sua vita fosse piatta e spenta, senza alcun sapore e alcun colore a stimolarla. Era come se tutto andasse veloce e lei non riuscisse ad afferrare nulla.
“Sono stata presa da tante cose. Ho rivisto i miei amici e ho perso la cognizione del tempo.”
“L’importante è che tu stia bene. Comunque, ho chiamato per dirti che non posso essere lì prima del diciassette agosto ma arriverò in tempo per il matrimonio di tuo padre che è il venti. Hai già detto a qualcuno di noi?”
“Cosa avrei dovuto dire?”
Aranel non stava prestando molta attenzione. Stava fissando la porta del bar in cui aveva conosciuto Theo e sbirciava all’interno per vedere se fosse lì. Quella mattina non era andato a correre e uno strano senso di vuoto le attanagliava lo stomaco.
“Che ci sposeremo l’anno prossimo!” erano rare le volte in cui Greg perdeva la calma e alzava la voce e questo irritava Aranel. Anche quando litigavano lui si tratteneva, evitava di urlare, e alla fine si piegava alle volontà della donna.
“Abbiamo ancora tempo per dare la notizia. Non mettermi fretta!”
Greg era un avvocato inglese che viveva da cinque anni a New York, aveva i capelli biondi e ricci, due occhietti azzurri e una voce profonda, e soprattutto era un uomo noiosamente tranquillo. Non faceva mai nulla di diverso o di intraprendente, al massimo beveva senza utilizzare il sotto bicchiere.
“Temo solo che tu non voglia farlo sapere a nessuno.”
Aranel si toccò l’anulare sinistro senza trovarvi l’anello di fidanzamento e sospirò: lo aveva abbandonato nel beauty case per non farlo vedere a nessuno. Greg aveva ragione. Nel frattempo, era arrivata a destinazione.
“Adesso ho da fare, ti richiamo. Ciao.”
La redazione del giornale era un austero edificio di mattonelle color granito, le finestre erano sporche, e la porta produceva uno stridore all’apertura e alla chiusura. Alla reception le dissero che avrebbe potuto rivolgersi a Sarah, l’archivista, per recuperare le notizie.
“No, mi dispiace, ma non posso mostrarle i documenti.” La voce stridula di Sarah, una donna dalla bassa statura e i capelli bianchi, incrociò le braccia al petto.
“Oh, la prego! Ho bisogno dei verbali della polizia e dei rapporti dell’ospedale che soltanto il giornalista che si è occupato del caso ha visualizzato. E’ importante!”
“Come ha ben detto, accede solo chi si occupa del caso e lei, con tutto il rispetto, non è una giornalista della nostra contea.”
Aranel stava perdendo la pazienza, anche se capiva bene perché tutta quella riservatezza. Doveva farsi venire un’idea. Dalla borsa estrasse un badge del Times e lo allungò a Sarah.
“Sono una giornalista del Times e a New York si sono verificati casi simili a quelli avvenuti qui, perciò sto cercando un collegamento.”
L’anziana le riservò un’occhiataccia sprezzante.
“Quale collegamento ci trova in attacchi di animale?”
“Al Times riteniamo che una banda asiatica traffichi animali pericolosi in America per somme di danaro molto laute. Quindi, sì, io ci trovo un collegamento.” Aranel si chiese da quando fosse diventata così brava a mentire, tant’era che le veniva naturale.
“Senta, è meglio lasc…”
“Sono Aranel Jones.”
Quelle tre parole bastarono a far vacillare Sarah, che strabuzzò gli occhi colmi di vergogna. Sapeva di star giocando sporco, ma era urgente scoprire se fosse sorto un nuovo lupo. Aranel in parte ci sperava perché avrebbe potuto finalmente prendere parte alle avventure sovrannaturali di cui Stiles e Scott le raccontavano con l’adrenalina che ancora scorreva. Voleva dare una svolta alla sua vita e dare la caccia ad un neo lupo sarebbe stato un buon punto di partenza.
“Mi aspetti nel parcheggio, sotto il balcone del primo piano. La raggiungo tra cinque minuti con le informazioni che le servono.”
Aranel annuì sorridendo vittoriosa, poi si dileguò. Il parcheggio era isolato e nessuno era affacciato alla finestra, allora poté fumare una sigaretta con calma. Nessuno conosceva quel suo piccolo vizio, una o due sigarette a settimana, e da un annetto lo nascondeva. Fumava soprattutto quando era nervosa. Qualche minuto dopo, Sarah le consegnò un malloppo di fogli fotocopiati.
“Non divulghi queste informazioni e ne faccia buon uso. Buona giornata, signorina Jones.”
“Grazie mille, e buona giornata a lei!”
Theo si trascinava quella mattina, zero voglia di lavorare e zero voglia di interagire col mondo. Non aveva avuto neanche le forze per fare il suo solito giro di corsa e per questo non aveva visto Aranel. Quella ragazza lo attraeva, non solo perché era palesemente bellissima, ma soprattutto perché lo guardava con occhi nuovi e innocenti, senza lo sguardo accusatorio che gli rivolgevano Scott e gli altri. All fine, stanco di essere giudicato, aveva preferito ritagliarsi uno spazio isolato, trovare un posto di lavoro onesto e cercare di rimediare in piccolo alle azioni deplorevoli che aveva commesso. Poi Aranel aveva innescato di nuovo il suo istinto, quello che porta un animale feroce a cacciare la sua preda, a divertirsi con essa, e infine a divorarla. Sentiva che la chimera in lui stava emergendo, felino e spietato. Lui voleva quella ragazza senza un preciso motivo e l’avrebbe ottenuta alla fine.
“Buongiorno, Bob.”
L’anziano meccanico gli regalò un sorriso sdentato e gli fece cenno di cambiarsi. Indossò velocemente la tuta da lavoro, sporco e unto a macchiare la stoffa, e si mise al lavoro.
“Theo, figliolo, oggi ti devi occupare di quella bella pupa lì in fondo!” esclamò Bob indicandogli una Audi bianca sospesa in aria e pronta ad essere ‘operata’.
“Ci penso io.”
Quando si avvicinò all’auto, un odore familiare acuì i suoi sensi sviluppati: era una dolce fragranza di arancia e cocco che proveniva dai sedili. Già, quella era l’Audi su cui era salita due sere prima Aranel e quello era il suo profumo. Sembrava proprio che la fortuna li volesse insieme. Calò giù la macchina per ispezionarla prima di ripararla, sebbene si trattasse di un lavoretto rapido. Sorrise, quella era la scusa con cui avrebbe potuto parlare con lei ancora una volta. Dopo due estenuanti ore di lavoro, tra bulloni da svitare e cavi da ricollegare, la giornata prese una piega ben diversa. Mentre Theo se ne stava sotto l’Audi con la schiena a terra e le mani impegnate, si parò alla sua vista un paio di caviglie sottili infilate in quelle che sembravano essere scarpe col tacco di vernice nera.
“Hai intenzione di uscire da lì o devo suonare il campanello?” quella voce, allegra e dolce al tempo stesso, apparteneva ad Aranel. Il ragazzo si tirò su pulendosi le mani dal grasso e sorrise.
“Mi stai seguendo, per caso?”
Aranel, sofisticata nei suoi jeans e nel suo top bianco senza spalline, ridacchiò, poi si sedette sull’unica sedia presente in officina.
“Stamani ho la prova per l’abito da testimone per il matrimonio di mio padre, ma sono arrivata in anticipo per non dover incontrare Cindy, la mia matrigna, e sua figlia Hannah. L’atelier è a tre isolati da qui e ho pensato di farti visita, dato che oggi non sei andato a correre.”
Una voglia dirompente di vedere Theo l’aveva spinta a camminare per tre isolati, con la calda brezza di giugno, su un paio di decolleté nuovo e alquanto scomodo. Il sorriso sincero del ragazzo le fece intendere di aver fatto bene.
“Non mi sono svegliato in tempo per la corsa, così sono direttamente venuto a lavorare. Dunque, a cosa devo questa piacevole visita?”
“Vorrei che tu mi accompagnassi in atelier.”
“Come, scusa?!”
“Mi serve il consiglio di un estraneo per scegliere il vestito. Sicuramente Cindy mi avrà appioppato qualcosa di orribile, se chiamo il mio migliore amico mi dirà che sto bene, ma io ho bisogno di una critica netta e cruda.”
Theo si appoggiò alla parete e si prese qualche istante per esaminare la donna a qualche passo da lui: i capelli erano legati in una treccia che lasciava ben vedere le spalle lasciate scoperte dal top, risaltavano le clavicole e le scapole, l’azzurro accesso dei suoi orecchini gettava una macchia di colore nel suo abbigliamento austero; diamine, quanto era bella!
“Per un compito così arduo hai pensato ‘perché non invitare il povero ragazzo appena conosciuto e torturarlo con questioni da donna?’. Dico bene?”
“Sapevo che ci saresti arrivato da solo! Ora, abbiamo soltanto un paio d’ore prima che Cindy e sua figlia arrivino in atelier, ed io devo risolvere questa faccenda. Ci stai?”
“Non so se Bob…”
Prima che Theo proseguisse, Aranel andò dall’anziano meccanico in modo assai gentile e dimesso.
“Bob, posso rubarti l’assistente per circa due ore?”
“Nessuno può dire di no ad un bel faccino! Prenditi pure il ragazzo!”
Aranel ritornò da Theo facendo picchiettare i tacchi sul pavimento di proposito atteggiandosi vittoriosa.
“Andiamo, non abbiamo tutto il giorno!”
“Sei pronta? Oppure devo pensare che ti sei impappinata col vestito?”
Theo sedeva comodamente su una poltrona di pelle bianca con i piedi sul tavolino che offriva loro una bottiglia di champagne e due calici. Aranel si era chiusa in camerino dopo aver recapitato il vestito scelto dalla matrigna, ma non voleva farsi vedere.
“Se esco conciata così qualcuno, mi denuncia per disturbo alla quiete pubblica!” sbraitò la ragazza da dietro la tenda nera, facendo sorridere il suo nuovo amico.
“Sto morendo dalla voglia di prenderti in giro, esci da lì!”
Un secondo dopo Theo si stava sbellicando dalle risate e Aranel cercava di non mettersi ad urlare come una matta. Un lungo abito di tulle color verde oliva vestiva la sua figura, un nastro giallo le stringeva la vita, un collo rigido le circondava la gola, e le maniche erano pompose.
“Smettila di ridere, imbecille!”
“Questo è il vestito più brutto che io abbia mai visto!”
Aranel gli lanciò il cuscino della seconda poltrona colpendolo dritto in faccia, però lui continuava a ridere. Alla fine, volente o nolente, anche lei si abbandonò ad una grassa risata.
“Come procede?” la vocina gentile della commessa interruppe il chiasso; la donna, alta e snella, ben vestita, circa sui quaranta anni, squadrò Aranel e storse di poco il naso. Theo si rese conto che quello era stato uno scherzo che Cindy aveva a lungo pianificato per ridicolizzare Aranel. Decise allora di intervenire.
“Aranel, tu aspetta qui. Signora, vuole esse così cortese da mostrarmi degli abiti? Sono certo che troverò quello giusto.”
Aranel gli sorrise riconoscente e tornò in camerino a spogliarsi. Prese il telefono e vide due messaggi da parte di Greg che le chiedeva scusa per aver alzato la voce qualche ora prima, però non rispose perché non voleva rovinarsi quella giornata che stava andando nella direzione giusta. La commessa chiese permesso, aprì la tenda e le consegnò la gruccia che reggeva una custodia nera. Impallidì alla vista del contenuto. Frattanto, Theo era tornato a sedersi.
“Sono pronta.”
“Avanti, esci!”
Quando Aranel si fece vedere, a Theo mancò il respiro. Un lungo abito rosso vivo le abbracciava il corpo, sulla schiena le bretelle sottili si incrociavano, e sul davanti un lieve scollo a ciambella lasciava libero il collo.
“Secondo me è troppo anche per la testimone.” Mormorò la ragazza mentre si guardava allo specchio. Theo si alzò e le si accostò.
“Io credo che, invece, sia perfetto.”
“Stringe troppo sui fianchi e mette in evidenza il fatto che sono larghi, stringe anche sul davanti, e la schiena è troppo scoperta. No, no!”
Theo le afferrò il braccio prima che tornasse a cambiarsi e la posizionò di nuovo davanti allo specchio. Cominciò a girarle attorno come fa uno scienziato con la cavia. La stava letteralmente mangiando con gli occhi.
“Cade perfettamente sui fianchi, la schiena è scoperta quanto basta, e se lo senti stretto sul davanti è soltanto perchè …”
“Perché? Finisci la frase, coraggio!”
“Perché porti una terza o una quarta abbondante.”
Le gote di Aranel si tinsero di rosso facendo ghignare il ragazzo. Era vero, aveva barato facendo ricorso alla sua vista eccezionale, ma anche un semplice umano si sarebbe fatto una chiara idea delle forme armoniose di quel corpo.
“Sei sicuro che non mi faccia i fianchi troppo larghi? Sii sincero e spietato.”
“Ad essere sincero e spietato, ti trovo bellissima.”
Quella era la prima volta da quando si erano conosciuti che Theo era serio, nessun sorrisino, nessuna presa in giro, solo la pura verità. Aranel si schiarì la voce e tentò una scusa per stemperare l’atmosfera.
“Okay, allora lo prendo. Abbiamo ancora mezz’ora, ti va un caffè? Offro io!”
“Tu lo sai che versi troppo zucchero nel thè?”
Aranel gli fece una smorfia buffa e girò il cucchiaino nella tazza. Theo si portò alle labbra il bicchiere di plastica del caffè e scosse la testa. Ai piedi del tavolo l’enorme busta rosa in cui era riposto l’abito rosso avrebbe dovuto aspettare altri due mesi per essere scartata.
“Mi piace dolce il thè!”
“E cos’altro ti piace dolce?” la domanda di Theo fece tossicchiare Aranel. Stava alludendo a qualcosa o era una semplice domanda? Il ragazzo dovette pesare le sue stesse parole perché ridacchiò distogliendo lo sguardo.
“Mi sono espresso male, pardon. Intendevo chiederti cos’altro mangi di così dolce.”
Era la seconda volta nel giro di poco che Aranel si lasciava imbarazzare da lui. Sorrise per evitare altro disagio.
“Io sono un’ottima cuoca e amo preparare le torte, però evito di metterci troppo zucchero.”
“Potresti avvelenare qualcuno!”
“Sì, certo, idiota!”
Entrambi avevano la sensazione di conoscersi da anni, parlavano come amici di vecchia data, senza reticenze e senza giri di parole. Theo diede una controllata al cellulare e lasciò il bicchiere sul tavolo.
“Devo tornare in officina. Questa volta sono io che scappo.”
Aiutò Aranel a mettersi in piedi porgendole la mano destra, che lei strinse volentieri accettando il gesto di galanteria. Un bambino nella foga di correre più veloce dei suoi amici urtò Aranel e la borsa si rovesciò a terra.
“Scusa!” disse il bambino, il terrore negli occhi e le mani pronte a riparare al danno. Aranel gli sorrise.
“Tranquillo, non è successo nulla. Torna pure a giocare, fa solo più attenzione.”
Quello le fece l’occhiolino e sparì dietro un cartellone. Theo si piegò all’istante per raccogliere gli oggetti: I-phone, fazzoletti, salviettine deumidificate, un piccolo specchio portatile con spazzola incorporata, due elastici, le chiavi di casa e della macchina, un astuccio dei trucchi.
“Hai davvero un sacco di roba in quella borsa!”
“Sono una donna esigente che adora avere tutto a sua disposizione!” disse lei riponendo il tutto nella borsa.
“Non lo metto in dubbio che sei una donna esigente.”
E di nuovo Aranel non capì se quella fosse una velata allusione o se fosse serio, ma il sorriso divertito sulla sua faccia le diceva che era un’allusione.
“Torna a lavorare, signorino. Grazie ancora per avermi aiutata con l’abito.”
“Sei in debito con me e troverò un modo per farti sdebitare.”
“Ah, ah, certo. Buona giornata!”
“Ciao, Jones!”
Mentre si incamminava, Theo calpestò qualcosa sotto la scarpa, si chinò e raccattò un astuccio grande più o meno quanto la sua mano. Era di Aranel e non lo avevano raccolto. Lo aprì senza pensarci due volte e il contenuto, assorbenti e compresse, non lo stupirono più di tanto. Decise, però, di sfruttare l’oggetto smarrito per vederla ancora.
Aranel rincasò soltanto per una doccia e un cambio d’abiti, poi si mise in macchina e andò a casa di Scott. Aveva con sé i documenti che le aveva consegnato Sarah e voleva mostrare a tutti cosa aveva scoperto. Si era proposta per comprare le pizze e le bibite, al gelato e al film ci avrebbero pensato gli altri. Parcheggiò nel vialetto che conosceva come le sue tasche, spense il motore e suonò il clacson perché qualcuno uscisse ad aiutarla. La porta si spalancò rivelando Mason, l’altro umano oltre a Stiles, e le tenne la portiera aperta.
“Tu devi essere Aranel! Piacere, sono Mason.” disse il ragazzo sorridendo a trentadue denti. Aranel strinse la sua mano e annuì contenta.
“Il piacere è mio.”
“Prendo io le pizze e le bibite, tu chiudi la macchina.”
Mason, carico come un asino, entrò in casa e Aranel lo seguì poco dopo. Scott l’abbracciò non appena la vide, forse voleva recuperare tutti gli abbracciati mancanti degli ultimi dieci anni.
“Sono davvero contento che tu sia qui.”
“E’ bello essere tornata in questa casa.”
Gli occhi di Aranel si velarono di lacrime, ma furono impedite dall’arrivo di Liam e Malia. Il più piccolo si fece avanti e salutò con la mano.
“Ciao. Ehm, io sono Liam.”
“Sì, so chi sei. Io sono Aranel.”
Dopo i saluti, si riunirono tutti in salotto. Non era cambiato nulla se non il colore delle pareti e qualche foto. L’unica cornice ad essere la stessa da venti anni era quella che ritraeva Aranel, Scott e Stiles al campo estivo a sei anni; era stata l’estate più bella della loro vita, così felice e spensierata. Ad Aranel facevano male tutti quei ricordi che assalivano la sua mente, faceva fatica a tenere a bada l’ansia. Per distrarsi prese il fascicolo e lo depose sulle gambe.
“No, stiamo aspettando l’ultimo arrivato nel branco.” Disse Scott con un mezzo sorriso. Malia sbuffò.
“Già, e devo ancora capire perché non lo sputiamo in faccia!”
Mason e Liam furono gli unici a ridere. Quando qualcuno bussò alla porta, Scott urlò ‘avanti’ e dopo seguirono dei passi. Il sorriso cordiale con cui Aranel voleva accogliere l’ospite si ghiacciò all’istante. Theo la fissava paralizzato al centro del soggiorno. Scott strinse delicatamente la spalla della sua amica e con la mano puntò il ragazzo dai capelli scuri.
“Aranel, ti presento Theo Raeken. E Theo, ti presento Aranel Jones.”“Piacere di conoscerti.” Disse Theo dopo qualche esitazione.
“Piacere.” Si limitò a replicare Aranel, e si chiuse improvvisamente a riccio.
“Veniamo alle cose serie. Cosa hai scoperto?” Mason svegliò lo stato di trance di Aranel, che deglutì e cercò di risultare impassibile.
“Ho avuto accesso alle copie di verbali e rapporti sui presunti attacchi di animale e sono tutti identici a quelli che risalgono ai tempi in cui Scott si è trasformato, perciò, tirando le somme, credo si tratti di un nuovo lupo.”
Scott lesse velocemente le carte e dovette convenire con Aranel. Era il veterinario di Beacon Hills e gli era capitato un fatto strano che accertava le circostanze.
“Un paio di settimane fa in ambulatorio una signora ha portato il suo gatto ferito da quelli che sembravano artigli. A questo punto direi che tutto torna.”
“Ed è anche abbastanza furbo da non farsi beccare!” aggiunse Malia, le dita che tamburellavano sul ginocchio, la bocca corrucciata. Aranel era felice che Malia e Scott fossero una coppia perché erano talmente diversi che insieme si completavano.
“Come facciamo a capire chi è? Non abbiamo indizi.” Fece Liam con lo scetticismo stampato in viso. Mason gli diede un pugno sul braccio.
“Abbiamo affrontato cose peggiori di un lupetto, ce la caveremo!”
Aranel non osava alzare lo sguardo, sentiva gli occhi di Theo piantati addosso e non riusciva neanche ad elaborare un pensiero logico. Era assurdo che il Theo sconosciuto con cui si era trovata bene fino ad ora era, in verità, una persona manipolatrice e malvagia. Scott agguantò il cartone della sua pizza e ne prese una fetta.
“Ce ne preoccuperemo domani, adesso mangiamo.”
“Io vado a lavarmi le mani!” disse Aranel.
“Io vado a prendere i tovaglioli!” disse Theo.
Si incrociarono nel corridoio buio che portava in cucina e si allontanarono da orecchie indiscrete. La prima a parlare fu Aranel.
“Non ci posso credere che tu sia Theo Raeken!”
“Oh, dovrei sentirmi offeso o onorato perché sono così famoso?”
Aranel lo spinse contro il muro per scansarlo da sé.
“Sei un idiota!”
“Stamattina mi porti in atelier e mi offri il caffè, poi mi tratti così? Ma certo, ora che sai chi sono e cosa ho fatto prendi le distanze. Ovvio!” gli occhi di Theo erano feriti e il tono della voce era nervoso, quasi triste. Aranel si sentì tremendamente in colpa. Adesso erano nella stessa squadra.
“Mi dispiace, scusa. Sono stata davvero sgarbata.”
“Lascia stare e lasciami stare!”
Theo la mollò da sola nel corridoio con le braccia incrociate come a volersi difendere dalla rivelazione delle loro identità.
Theo di dormire non ne voleva sapere. Si mise seduto sul letto quando erano ancora le due del mattino. La cena era stata un disastro, aveva dovuto fingere di non conoscere Aranel e si era sforzato di non guardarla più del dovuto. La sua mente non sembrava d’accordo e continuava a inviargli immagini di lei con il vestito rosso, del suo corpo perfettamente avvolto nella stoffa, del suo fare determinato. Affondò la faccia nel cuscino nella speranza di soffocare un urlo. Per due giorni si era illuso che qualcuno potesse conoscere la parte di lui che non mostrava mai, che qualcuno non lo giudicasse per l’essere mostruoso che era, ma era tutto sfiorito. Aranel lo avrebbe guardato con occhi diversi da lì in poi. Aspetta, non doveva andare per forza così, questa volta poteva scegliere di agire nel modo giusto. Quella donna lo intrigava e voleva farsi conoscere da lei per davvero. Digitò un messaggio e lo inviò.
Aranel bevve la seconda tisana della serata e non sortiva effetti. Il sonno non sopraggiungeva, Greg l’aveva tartassata di nuovo di scuse, e la cena a casa di Scott l’aveva destabilizzata. Si accese una sigaretta nella vana speranza che il fumo potesse offuscare quella serata.
Conosceva Theo Raeken attraverso i racconti di Stiles: sapeva dei giochetti per insinuarsi nel branco, dell’accusa a Stile per aver ucciso Donovan, del tentato omicidio di Scott, degli esperimenti che conduceva per i Dread Doctors, e sapeva anche che aveva ucciso sua sorella. Rabbrividì all’idea di essersi piacevolmente divertita con lui, però doveva anche ammettere che erano passati anni ormai e lui era di certo cambiato. Cosa le importava? Lei era lì solo momentaneamente; aveva un fidanzato che l’aspettava a New York; aveva un bel lavoro; aveva amici che le volevano bene. Eppure non riusciva dimenticare la stretta allo stomaco che le aveva causato quando le aveva fatto complimenti in atelier, quando le aveva chiesto cos’altro le piacesse oltre al thè, ai sorrisi maliziosi e agli sguardi diretti che le aveva regalato.
Sobbalzò quando avvertì il telefono tremare sul tavolo. Era un messaggio da un numero sconosciuto: “sono Theo. Vorrei scusarmi per come mi sono comportato stasera e vorrei anche restituirti qualcosa che stamattina ti è caduto dalla borsa, perciò domattina verso le sette farò un giro di corsa nei pressi di casa tua. Spero di riuscire a vederti.
Buonanotte.”
Aranel, non farlo!, si disse mentalmente. Poi lo fece.
Scrisse: preparerò due tazze di thè verde. A domani.
Era consapevole che se ne sarebbe pentita.
Salve a tutti! :)
Ecco che si comincia a scoprire qualcosa su Aranel.
Peccato che adesso la verità sia venuta a galla! Chissà cosa succederà.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.
Un bacio.
Ps. Perdonate eventuali errori di battitura.
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A touch of light || Theo Raeken
FanfictionQualcuno ha scritto che «il buio affascina, più è fondo, più è oscuro, più esso ci attrae, è un misterioso richiamo d'amore.» Aranel torna a Beacon Hills dopo anni di lontananza, ma al suo rientro le cose non saranno semplici. Il mondo soprannatura...