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Tra poche ore sarò di nuovo a casa, a New York, la città dove vivo da quando ho 18 anni, ossia da 8 anni

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Tra poche ore sarò di nuovo a casa, a New York, la città dove vivo da quando ho 18 anni, ossia da 8 anni.
Tornare a Miami, la città in cui sono nato, è stata una costrizione che avrei volentieri evitato ma, nella mia vita, all'improvviso, qualcosa non stava girando per il verso giusto e, allontanarmi per un po', giusto il tempo di fare calmare le acque, è stata l'unica soluzione possibile.
Avrei potuto scegliere un posto diverso, lo so, ma poi mi sono detto: ma si, sfruttiamo il vecchio figlio di puttana, l'uomo che tutti hanno il terrore di deludere, che vuole vedere soddisfatto ogni suo capriccio e desiderio, l'uomo che ha sempre fatto di tutto pur di farmi venire i complessi d'inferiorità, rifiutandosi di aiutarmi nei momenti in cui avevo bisogno di imparare qualcosa e terrorizzandomi quando sbagliavo. L'uomo dittatore, l'uomo che mi voleva a sua immagine e somiglianza, l'uomo che voleva buttarmi fuori di casa davanti alla mia ribellione, l'uomo felice di vedermi mangiare, un giorno, la merda e i vermi.
Sono sollevato al pensiero che i vermi ora si mangeranno il suo corpo che giace da un mese sotto terra. L'unico a piangerlo è mia madre, la sua prima vittima, l'unica donna, tra le tante che si è scopato, che sia riuscita a sopportarlo nonostante i suoi tradimenti, le sue bugie e le sue violenze.
Resta con me, mi ha supplicato quando ha visto che preparavo di nuovo la valigia.
L'ho guardata negli occhi, quegli occhi azzurri così identici ai miei, mi sono avvicinato, le ho lasciato un bacio sulla guancia e le ho detto: "Mi dispiace, non posso. Il lavoro mi aspetta. Manco da troppo tempo e non mi è più possibile condurre gli affari da qui".
Ho visto i suoi occhi riempirsi di lacrime ma il mio cuore è rimasto freddo come il marmo. Ho cancellato la mia famiglia, con il suo passato pieno di omertà e ipocrisia nascosta bene bene sotto al tappeto, quando per la prima volta ho trovato il coraggio di mandare al diavolo tutto e tutti e di inseguire i miei sogni.
Non è stato facile, si può dire che abbia mangiato veramente la "merda" visto tutto ciò che sono stato costretto a subire pur di riuscire a sopravvivere in una città come New York, con pochi soldi in tasca e tanti sogni nella testa. Ma sono felice perché ce l'ho fatta a non tornare indietro e a diventare l'uomo che sono. Sono felice perché oggi calpesto invece che essere calpestato.

Annoiato vago per l'aeroporto di Miami e, in attesa che parta il volo per New York, ogni tanto mi soffermo davanti alle vetrine dei negozi che riflettono non solo la mia immagine ma anche quella delle persone che mi passano accanto con lo sguardo puntato su di me. Sorrido davanti alla cosa , non perché mi sento figo, ma perché penso di conoscere il vero motivo di tanta attenzione: i tatuaggi che marchiano la mia pelle. Immagino già i pensieri che occupano la mente soprattutto delle madri: orribile, un mostro, un drogato, un delinquente. Le immagino ma non me ne frega un cazzo. Amo ogni millimetro del mio corpo, ogni segno inciso sulla mia pelle, per questo resto indifferente ai commenti che si creano intorno alla mia persona, brutti o belli che essi siano.
Guardo l'ora, manca ancora un po'. Infilo gli occhiali e, intanto che aspetto l'arrivo dell'aereo, faccio colazione in uno dei tanti bar dell'aeroporto. Un'ora dopo mi trovo di nuovo a guardare il rolex che ho al polso, ci siamo quasi. Mi allontano dal locale e dò corso alla solita routine che si ripete in un aeroporto:consegna del bagaglio da imbarcare, fila assurda al controllo di sicurezza, svuotamento delle tasche, togliersi l'orologio, fare attenzione al portafoglio e ai documenti che camminano sul nastro. Superato tutto ciò e riappropriatomi dei miei beni, raggiungo il gate e attendo pazientemente di essere imbarcato.
L'adrenalina ha occupato, nel frattempo, ogni centimetro del mio corpo. Amo volare. Amo sorvolare i cieli e vedere dal basso quello che pochi minuti prima era la terra con tutte le sue bellezze. Essere in sospensione mi fa sentire forte, sicuro, eccitato. Per questo, quando il comandante ordina di allacciare le cinture di sicurezza perché siamo vicini a New York, provo quasi un senso di fastidio. Okay, meglio non pensare, la vita di prima mi aspetta con ansia.
Percorro il tunnel a passo veloce e giungo al deposito bagagli.
Osservo le valigie transitare sul nastro girevole e, mentre attendo che spunti la mia, sento il telefono vibrare tra le mie mani. Rispondo alla chiamata del mio amico e, mentre parlo, mi porto vicino alla mia valigia che vedo sbucare tra decine e decine di bagagli.
L'afferro al volo e mi dirigo fuori sempre con il cellulare attaccato all'orecchio. Mentre parlo e ascolto, la mia attenzione è rivolta alla strada con la speranza di veder sbucare, da un momento all'altro, un taxi libero. Quando vedo l'auto gialla accostarsi al marciapiede, mi ci fiondo letteralmente dentro. In questo modo, ho evitato che la biondina con il braccio alzato, se ne potesse impossessare per prima.

Per tutto il tragitto parlo con il mio amico nonché socio in affari. In mezz'ora, vengo messo al corrente di tutto ciò che è accaduto in questi mesi di assenza.
"Kim?" chiedo, ad un certo punto, riferendomi alla ragazza che mi sono scopato fino al giorno prima in cui sono partito.
"Tutto a posto. Ogni tuo ordine è stato esaudito. Le ho trovato un appartamentino come mi hai detto di fare, e le ho detto chiaramente che, quando avrai voglia, ti farai sentire tu".
"Grazie amico, sapevo di poter contare su di te. Ci sentiamo più tardi per raccontarmi altre novità" e chiudo la telefonata.

Il taxi si ferma proprio davanti alla porta del mio appartamento, esco dalla vettura insieme al tassista, recupero il bagaglio e pago. Infilo la chiave nella toppa, apro la porta, poso la valigia a terra e controllo la posta che la donna delle pulizie mi ha lasciato sul mobile dell'ingresso. Fatto ciò, eseguo quella che io chiamo la prova del nove per vedere se le cose tornano: percorro tutto il salone con il dito indice che scivola sulla superficie di ogni mobile presente. Lo guardo, afferro il cellulare, compongo il numero e quando dall'altra parte una voce risponde: buongiorno, mi dica pure signore ignorando che la sto chiamando da New York, dico: "Elly, lei è licenziata".
Tutto sopporto tranne che essere preso per il culo. Non lo aveva capito, evidentemente, ma ora lo sa. Tutti i giorni per me significa tutti i santi giorni.
Infastidito mi reco in bagno, apro il rubinetto della vasca idromassaggio e mi libero dei vestiti. Aspetto che la l'acqua raggiunga il giusto livello e mi infilo dentro lasciandomi dondolare dai flutti mentre mi godo appieno le bollicine. Sento lo stress abbandonare il mio corpo per sentirmi più rilassato e riposato, ma, soprattutto, sento che sto riacquistando la pace e l'armonia mentale. Mi sento di nuovo carico di energia quando esco fuori dalla vasca e mi avvolgo l'asciugamano sui fianchi. Si, sono pronto già per uscire e incontrare i miei amici. Mi sono mancati e non vedo l'ora di incontrarli, dopo tanto, per sentirmi raccontare le ultime novità davanti ad un bel bicchiere di birra. Lancio un' occhiata allo specchio e porto la mano sul mento per toccare il filo di barba che lo avvolge. Ci vuole una passata di rasoio. A piedi nudi vado verso l'ingresso, afferro la valigia, la poggio sul letto, la apro e...incredibile! No, non è possibile! La richiudo, la riapro, la guardo. È rossa, è enorme, è mia. Si, sono sicuro che è mia, penso tirando fuori uno ad uno i vestiti. È mia...mia...ma...se è mia...perché sono impalato qui, di fronte al letto, con un perizoma di pizzo nero stretto nella mano destra e uno rosso nella sinistra?

🍀🍀🍀
Brave a tutte!
Ma era palese che la valigia fosse stata scambiata con il tatuato.
Chi indovina adesso come ognuno di loro rientrerà in possesso della propria valigia?
Alla prossima
Commenti e stelline
Smack💋💋💋💋💋💋
Ylenia

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