Capitolo 4: Lo Psicotromo

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Attraversammo un lungo corridoio bianco, sul lato destro del quale erano presenti altre celle contenitive dall'interno oscurato; sul sinistro invece c'era una grande, suggestiva vetrata, attraverso la quale era visibile il cielo. Il sole verde era meno luminoso del solito, mentre le cinque lune della dimensione F-034 riflettevano i suoi pallidi raggi. Il cambiamento fra giorno e notte in quella dimensione era molto graduale, e si poteva assistere a tramonti anche di sei ore. La durata di un giorno era di quarantotto ore, anziché ventiquattro.

Il profilo della capitale, Iriax, che si ergeva almeno cinquanta metri più in basso rispetto alla KonTron, era pervaso di sottili cunei luminosi, le abitazioni dei civili. In un angolino di quel cuore pulsante, nei bassifondi, c'era anche il Nightfonia. Mi chiesi come stessero Otello e Keiran. Speravo che la cacciatrice non li avesse colpiti con una scarica troppo forte. Erano stati gli unici a cercare di difendermi.

In quanto a Keaton e Molly, era meglio che restassero fuori da questa faccenda. Era già stato abbastanza difficile per loro vivere in un mondo dove erano loro i diversi: spesso accadeva che i passanti si fermassero a osservarli quando uscivano di casa e gli chiedessero da quale dimensione provenissero, sostenendo che somigliassero a delle indifese creature esotiche, con la loro pelle liscia e gli occhi di un banale marroncino o azzurro, i corpi privi di venature lucenti, bozzi, corna, organi supplementari o innesti tecnologici.

In quanto a Sumiko, doveva essere in preda all'angoscia più nera. Vivevo con lei ed Etienne all'interno del centro d'accoglienza creato dal medico. Avevo avvisato entrambi di non restare svegli se non fossi tornato presto, ma Otello e Keiran dovevano averli già avvisati del mio sequestro. Speravo che non decidessero di fare qualcosa di stupido, come cercare di liberarmi. I presidenti della dimensione F non sembravano molto permissivi, sotto quel punto di vista.

«Ragazzi, dove mi state portando? C'è tanta strada da fare? Sono un po' stanchino» mi lamentai, osservando la schiena di Ganner, dalla quale emergevano le impugnature di due pistole, bianche quanto la sua tuta. «E cos'è questa fissa col bianco? Mi fa male agli occhi. Ce n'è troppo, qui.»

Da Ganner provenne un grugnito di avvertimento.

«Non si preoccupi, capo Ganner, a lei la tuta bianca sta bene, in realtà. Fa un bel contrasto coi suoi capelli scuri. Da dove viene?»

Ganner grugnì un po' più forte.

«Perché è così misterioso? Non si possono fare neanche due parole, adesso?»

Mi voltai verso Raelich per quanto mi era consentito dalla direzione della nostra marcia e gli sorrisi. Lui mi pungolò con il manganello che portava lungo il fianco, ma non sembrava troppo convinto.

«Su, cammina, prigioniero.»

«Ancora quella brutta parola» borbottai. «Raelich, raccontami qualcosa tu. Vieni da una dimensione D, vero?»

«Come fai a saperlo?» esclamò lui. Il suo terzo occhio lo tradiva, osservandomi con interesse. Sembrava desideroso di chiacchierare con me. Forse il suo lavoro lo spaventava. In effetti tutto nei suoi atteggiamenti incerti faceva pensare a un novellino.

«Perché sono una potente creatura mistica.»

Raelich sembrò spaventato e io non riuscii a stare al gioco, scoppiando a ridere.

«Non fare quella faccia, stavo scherzando. Ho un amico che ti somiglia, tutto qui. Viene dalle tue parti» spiegai, facendogli l'occhiolino. «Come te, ha il terzo occhio.»

«Ah» farfugliò Raelich, con una risatina nervosa. «C-certo, come ho fatto a non pensarci.»

«Cosa ti ha spinto a lavorare alla KonTron?»

Esper - Oculus DiaboliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora