Capitolo 9: Il cimitero delle sabbie

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Al posto di blocco c'erano tre bizzarri figuri, dall'aspetto simile a quello di Etienne: alti e magri, con braccia e gambe sottilissime che in realtà era meglio non sottovalutare, perché nascondevano una grande forza. Indossavano delle lunghe tuniche nere dalla consistenza fumosa. Per essere delle guardie, sembravano pacifiche, e ci accolsero con un sorriso gentile.

«Salve» ci salutarono, alzando una mano per poi portarsela al petto e chinare il capo.

Aerix li imitò, così come Raelich-Polpo, sollevando un tentacolo. Io li guardai senza sapere che fare e mi guadagnai una gomitata dalla Cacciatrice.

«È il loro saluto!» sibilò.

«Okay, okay» balbettai, ubbidendo.

Le tre guardie ci guardarono con accondiscendenza, come se ci trovassero dei bambini dispettosi che facevano tenerezza. Era la stessa espressione che avevo scorto diverse volte sul viso di Etienne, solo che a loro mancava la luce ironica presente negli occhi del mio amico.

«Mostrateci i passaporti, per cortesia, o non potremo lasciarvi transitare» disse uno dei tre, inclinando leggermente la testa a sinistra.

Cominciavo a trovare inquietante la fluidità dei loro movimenti. Avevo la sensazione che potessero scattare da un momento all'altro e farmi a pezzetti, se solo avessero voluto.

«Guarda in tasca» ordinò Aerix.

Io ubbidii e ne estrassi un badge argenteo. Lo porsi agli esaminatori, che lo esaminarono da ogni lato e poi me lo restituirono con un sorriso.

«Perfetto. Puoi passare.»

Lo stesso accadde ai miei nuovi compagni, e i tre figuri ci accompagnarono silenziosi fino all'entrata delle dimensioni Z. Si trattava di una grande costruzione in pietra che mi fece pensare a un arco del trionfo, decorata dagli stessi motivi geometrici presenti sull'orlo delle loro tuniche color inchiostro. Forse quei simboli erano la loro lingua... mi sembrava di aver visto Etienne prendere appunti con quel sistema. L'unica cosa che avevo capito era che i simboli non stavano per lettere o sillabe, ma per intere frasi, comprensibili solo in base al contesto. Non sarei mai riuscito a imparare un linguaggio del genere.

L'atmosfera era surreale. L'arco si trovava nel vuoto più assoluto e, quando mi voltai indietro, anche la navetta mi parve sospesa nel nulla. Il pavimento era nero e lucido, del tutto privo di imperfezioni. Mi sentivo come se mi trovassi in un quadro di Dalì, e mi sorpresi di non vedere qualche orologio pendere come una crèpes dall'arco.

«Questa entrata l'ha costruita il grande Gouttard II, uno dei Grandi Saggi Demofi» mi sussurrò uno dei tre esaminatori, talmente vicino al mio orecchio che feci un mezzo salto per lo spavento. Non sapevo come gestire quel corpo enorme che Aerix mi aveva dato, e rischiai di perdere l'equilibrio, ma la guardia mi sostenne. Nonostante avesse un aspetto molto femmineo – non ero davvero in grado di determinare il sesso di quelle creature, sempre che ne avessero uno -, era dotata di una forza considerevole. «Attento a dove metti i piedi, ragazzo. So che l'Arcata è impressionante, ma non credo sia molto conveniente rompersi il naso a terra solo per contemplarla.»

Io emisi un risolino nervoso, guadagnandomi un'occhiataccia da Aerix e un "blublu" da Raelich-Polpo, la cui bocca tentacolosa non riusciva a emettere suoni che io potessi comprendere.

«Sei un giovane simpatico, per appartenere a una specie... come dire... un po' rozza» disse una delle guardie, con uno dei loro sorrisi calmi che mi cominciavano a farmi venire i brividi. Non sapevo perché li trovassi tanto inquietanti. Sembravano una versione distorta di Etienne, come se si sentissero troppo superiori a noi per poterci trattare da pari: ci parlavano come se fossimo dei curiosi scarafaggi parlanti. «Da dov'è che vieni?»

Esper - Oculus DiaboliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora