Capitolo IV

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4 ottobre 2010, ore 9.00

Si trovarono al bar-panetteria del paese per mangiare qualcosa e discutere sul da farsi.
«Chi mai avrebbe potuto compiere una tale azione?» chiese Gianna all'amica. Continuò: «Dimmi tutto quello che sai.»
«Non è prudente parlarne qui.» ribatté, «È meglio a casa mia. Cosa prendi?»
«Solo un caffè.»
«Sicura?»
«Sì»
«Neanche un cornetto?»
«...va bene.»

Un'ora dopo stavano di nuovo sedute sulle poltrone della sala. L'ambiente era freddo, e nel caminetto rimaneva soltanto della cenere. Del signor Virtone, nessuna traccia.
«Allora, io quella notte scopro il cadavere. Mi spavento a morte, corro in bagno, mi chiudo dentro e non esco più, fino al giorno seguente. Intanto, verso le sette, torna mio marito e gli mostro quell'orrore. Lui inizialmente non sa che fare, ma poi decidiamo di portare il corpo nei sotterranei, dove è stato fino a pochi giorni fa. Infatti l'ho trascinato sull'auto e l'ho portato al Muskos.»
«Cos'è il Muskos?»
«Niente...»

La biblioteca era freddissima, c'erano circa tre gradi. Le due signore, con guanti e cappotto, armate di torcia, avevano iniziato a far ipotesi su come fosse avvenuto l'omicidio.
«In questa sala c'è solo una grande finestra, che non si può neanche aprire» disse l'anziana, «perciò deve essere entrato per forza da un'altra stanza.» proseguì «E qui, di stanze, ce ne sono molte.»
«Chi potrebbe essere stato?» Chiese Gianna.
«Non so... è da molto tempo che non invito più nessuno a casa, nè mi ritrovo con qualcuno. E poi, perché uccidere tua figlia proprio a casa mia?»

4 ottobre 2010, ore 23.00

John rientrò in casa. Estrasse la chiave dalla tasca del giubbotto e aprì la porta.
Lo accolse un freddo invernale. Andò in salotto e accese al massimo i termosifoni.
«Che freddo» Sussurrò. Si mise il pigiama e si buttò sul letto. Era sfinito.

Si svegliò in piena notte. Guardò la sveglia: 1:23.
Sentiva un rumore provenire dal corridoio.
Aprì il cassetto e prese una pistola. Lentamente aprì la porta, accese la luce e si avviò verso la cucina.
Il rumore era sparito. Andò a controllare la porta principale del suo piccolo appartamento. Chiusa.
-È tutto normale- si disse, -sarà stato qualche vicino.-
Si diresse di nuovo in camera.
Chiuse la porta dietro di sé.
Il letto lo aspettava. Si sdraiò e si addormentò quasi subito, senza mai più risvegliarsi: infatti, dopo cinque minuti, un colpo d'arma da fuoco gli attraversò la testa.


3 settembre 1938, ore 23.10

La stanza era rettangolare, con molte colonne sulle quali erano appese delle torce.
Al centro, un tavolo con degli sgabelli, niente di più.
Degli uomini, di varie età, parlavano educatamente, rispettando le varie gerarchie.
«Il prossimo passo, è andare a far visita al nostro caro amico, Antonio, che ha scherzato un po' troppo.» disse l'uomo a capotavola.
Ad un suo cenno, un giovane si alzò, prese un coltello dal centro del tavolo e si avviò verso l'uscita.

Percorse il viale con una fiaccola, scese dalla collina e si diresse verso il villaggio.
Dopo cinque minuti, era davanti ad una piccola casa, circondata da un piccolo terreno incolto.
Cautamente, provò a spingere la porta  principale, ma era bloccata.
Girò attorno alla casa, finché fu sul retro.
Prese la rincorsa per sfondare l'entrata secondaria.
La stanza era buia. Lentamente andò in cerca dell'uomo, che trovò in camera da letto, mentre dormiva.
Quando gli fu accanto, la vittima si svegliò. «Chi sei?! Vai via!»
L'inviato estrasse il coltello.
«Non farmi del male!»
Avvicinò l'arma alla gola di Antonio.
«Nooo...»
Iniziò a spingere il coltello.
«Ah... no... non farmi... del male...»
Spinse di più l'arnese.
«Io... ho...quello...che...cerchi...»
La gola venne recisa.

5 ottobre 2010, ore 14.30

Le due vecchie amiche passeggiavano nel parco della villa, illuminate e riscaldate dal sole, che splendeva alto nel cielo.
«Quante disgrazie stiamo passando...»
«Già, non potrebbe esserci un periodo più brutto.» Disse Gianna.
Erano davvero giù di morale. L'anziana era rimasta senza il suo uomo, l'unico che durante la sua vita l'aveva sempre sostenuta, mentre l'altra l'aveva lasciata per sempre il resto della sua famiglia.
Camminarono ancora a lungo, una di fianco all'altra, mentre nelle loro menti si dipingevano pensieri, parole, gesta... un turbine di emozioni che si perdeva nei meandri dell'infinito.



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