Capitolo XI

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17 giugno 2011, ore 4.30

«Cosa... vuol... dire...?» balbettò Δ=β. Un Datidue, con voce profonda, rispose: «Siamo entrati nella villa, abbiamo sentito delle voci provenire da una stanza e ci siamo andati. La fonte era una vecchia televisione accesa. Il problema è che quando siamo entrati, due asce sono cadute dal soffitto, uccidendo loro due.»
Δ=β era mortificata. Non ci credeva. Erano riusciti a fuggire.

17 giugno 2011, ore 9.00

Avevano preso solamente il necessario: una valigia e niente di più. Sei ore prima avevano percorso il corridoio del sotterraneo, dove Anna era stata aggredita da Δ=β, e giunti alla botola che portava in superficie, erano usciti. Si trovavano in una radura, dalla quale una stradina di ciottoli portava al paese. Da lì presero un taxi (evento rarissimo che ce ne fosse uno) e partirono alla volta di Milano. Dopo due ore erano già in aereo, seduti su dei comodi sedili.

Adesso Augusto stava leggendo un giornale. Osservò incuriosito un'immagine, poi chiese sottovoce ad Anna: «Quanti soldi in contanti hai?»
«Spero di non aver esagerato... ne ho presi cinquantamila. Non si sa mai...»
«Ah, e la televisione? Ti sei ricordata di accenderla?»
«Certo.»

Verso mezzogiorno, passò il carrello del cibo. Pranzarono e subito dopo si addormentarono. Anna non avrebbe mai potuto dimenticare quel sogno...

Era sola, seduta su un ceppo di legna. Inizialmente sembrava essere circondata da un bosco, ma poi i tronchi degli alberi mutarono in statue bianche di uomini. Ad ognuna mancava qualche elemento: a chi una mano, a chi un occhio, a chi una gamba, a chi una testa...
Il ceppo si trasformò in una poltrona viola, e la stanza si riempiva sempre di più di statue, che parevano infinite, bianche come il sale.
Ad un tratto si materializzò davanti ad Anna la Donna Vestita Di Rosso. Teneva in mano una pistola, sempre la stessa: nera, lucente e abbastanza piccola.
La stanza divenne freddissima.
Al bianco delle statue si sostituì il nero.
A tutto si sostituì il nero.
Ora c'erano solo Anna e la donna.
La rossa presenza, rimasta fino ad allora come addormentata, spalancò gli occhi.
Un sorriso maligno si dipinse sul volto.
«Anna... chi... pensi... di avere... accanto...?»
L'ospite la guardò in silenzio.
«Chi... pensi... d'avere... accanto...?»
Anna non capiva.
La Donna Vestita Di Rosso alzò la testa.
«Chi pensi... di... avere accanto...?»
Dopodiché urlò: «CHI PENSI DI AVERE ACCANTO?!»
Alzò la pistola e le sparò in fronte.

Anna si svegliò di soprassalto. Le ci volle un attimo per capire che era sull'aereo. Accanto a lei, Augusto dormiva profondamente.
Ripensò al sogno. Non aveva mai sognato niente di simile. Era tutto così... strano. Chissà cosa voleva comunicare la Donna Vestita Di Rosso, e soprattutto: perché le aveva sparato?
Mentre Anna rimuginava su quel sogno, suo marito, con un colpo di tosse, si svegliò. Guardò l'ora: tre e un quarto di pomeriggio. Viaggiavano già da otto ore: tra pochissimo sarebbero atterrati.
Difatti, dopo cinque minuti, la quiete dell'aereo fu rotta dalla voce che avvisava i passeggeri dell'imminente atterraggio.
«Sai Augusto... sento già un po' nostalgia di casa.» disse Anna ridendo.

All'aeroporto i due presero un taxi e si avviarono verso la loro meta. Avevano affittato un piccolo alloggio, con cucina, camera da letto e bagno, nel Sud Dakota.
Anna guardava fuori dal finestrino, e così anche Augusto.
«Allora... belli gli Stati Uniti?» domandò l'uomo.
Anna continuava ad osservare l'ambiente oltre il vetro.
«Penso di sì.» rispose.

17 marzo 1979, ore 22.30

Forens era agitatissimo. Dopo che gli altri furono saliti in biblioteca, lui controllò che non ci fosse nessuno, per poi entrare nel proprio ufficio.
Di fretta accese la candela sul tavolo, aprì un cassetto e prese un mazzo di chiavi.
«Dannazione... adesso quale sarà?» Andò dalla parte opposta della stanza, tolse un quadro appeso al muro e una cassaforte venne alla luce.
Iniziò a provare le chiavi, fin quando trovò quella corretta, e aprì. Dalla cassaforte prese tutto: i gioielli, le monete antiche, vari fogli, un libro e una scatola. Richiuse tutto e poggiò il contenuto sul tavolo. Esaminò i fogli: quelli non servivano, c'era già il libro.
Trasportò tutto ciò d'importante nella Stanza Cox e lo posò sul tavolo. Alla fine andò verso un angolo della sala e iniziò a tastare il muro, finché trovò un interruttore, che schiacciò.
Con entrambe le mani sulla parete, iniziò a spingere.
Il muro girò su sé stesso, rivelando un passaggio, che scendeva in profondità. Molte ragnatele pendevano dal soffitto e Forens, con la sua candela, s'inoltrò nel buio fin quando giunse ad una cella.
«Fammi uscire! Ho detto fammi uscire!» gridò una voce rauca di donna.
«Ti porgo il mio ultimo saluto. Addio.» disse Forens.
«Guai a te! Apri questa cella o per te finirà male, molto male!»
Ma l'uomo se n'era già andato, pronto a salire in biblioteca.
La donna, nella cella, pianse e urlò ancora per molto. Non voleva restare dietro a quelle sbarre, sempre al freddo e nell'oscurità totale. Voleva uscire, rivedere il sole, gli alberi e gli uccelli. Non sapeva neanche più che giorno o che anno fosse.
E pensare che fuori, nel mondo, una donna malvagia aveva preso le sue sembianze, ingannando tutti, forse solamente per avere il controllo su quell'esercito di creature.
Che triste vita aveva la vera Δ=β, in quella cella...

L'amico del fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora