CAPITOLO DODICI

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Lindaen non aveva mai sentito tanta musica in città da quando era giunta. Nelle due settimane trascorse aveva notato che gli Elfi Silvani avevano abitudini molto musicali, certo, ma che tendevano a farle rimanere private. Non c'erano stati concerti o eventi aperti a tutti, solo intrattenimenti privati.
Mereth-en-Gilith, invece, era una grande festa rivolta a tutti. Lindaen stessa, che pure non conosceva quasi nessuno, ricevette almeno una decina di inviti a banchetti diversi, tutti all'esterno delle abitazioni, rivolti ai membri dei singoli vicinati. Dovette rifiutare, doveva presenziare al banchetto privato di re Thranduil: non le importava nulla di festeggiare, ma non poteva sottrarsi a un invito del re senza un motivo valido. L'unico inconveniente sarebbe stata la difficoltà di andarsene proprio sotto il suo sguardo: il re elfico non l'aveva persa di vista un solo momento, informato costantemente dei suoi passi in città dai suoi sudditi. Vederla andare via dalla sua festa forse non l'avrebbe messo in allarme, ma di certo non le avrebbe risparmiato il pedinamento.
Aveva trovato su una sedia della sua stanza un abito nuovo, al mattino prima della festa, di lana azzurra con decori blu sul fondo. Era più sontuoso del primo, ma non opulento come quelli che Thranduil era solito portare: tanto meglio, le serviva qualcosa di comodo per andarsene, metri di strascico e maniche a sbuffo le sarebbero stati solo d'intralcio. Non poté prendere la spada, fu costretta a lasciarla in camera: se si fosse presentata armata alla festa avrebbe destato ben più di un sospetto.
Non vide Bilbo per tutto il giorno, ma ormai avevano ripetuto così tante volte il loro piano a bassa voce da conoscerlo a memoria. Non c'era bisogno di ulteriori indugi.
Quando venne la sera, Lindaen si presentò al banchetto di re Thranduil con l'abito nuovo indosso e i capelli intrecciati. Non doveva mostrarsi a disagio per non far credere di star nascondendo qualcosa, ma nemmeno troppo contenta di essere lì, dato che fino a prova contraria tutti pensavano che non vedesse l'ora di andare via.
«Ah, cugina», la salutò Legolas al suo arrivo. Sembrava molto immusonito e parecchio distratto. «Quell'abito si intona ai tuoi occhi», disse in tono vago, disattento.
«Ho gli occhi verdi», lo corresse lei. «Il vestito è azzurro. Legolas, sei preoccupato?».
«Sto cercando Tauriel», disse in tono sbrigativo. «Per caso l'hai vista?».
«Non venendo qui, no».
«In questo caso, ti prego di scusarmi. Ci vediamo più tardi».
Senza aggiungere altro, Legolas si allontanò. Lindaen non rimase a rifletterci troppo, non doveva interessarsi a quelle faccende: aveva una fuga da orchestrare.
La sala dei banchetti di Thranduil era più ampia della sala da pranzo in cui avevano cenato: c'erano due lunghe tavolate rettangolari, intorno alle quali sedevano molti Elfi della corte intenti a bere, mangiare e ridere; in un angolo c'era una grande orchestra intenta a suonare musica vivace, allegra e soprattutto molto alta. Sarebbe stata l'ideale per coprire i suoi movimenti.
Thranduil sedeva a un tavolo separato, più piccolo, circondato da pochi Elfi fidati. Non si accorse del suo arrivo, era molto concentrato nella conversazione.
Lindaen prese posto. Fu lieta di notare che i presenti cominciavano già ad alzare il gomito. Ridevano, cantavano, festeggiavano. Non poteva sperare in niente di meglio.
Non toccò una goccia di vino, ma mangiò con entusiasmo. Doveva riempirsi la pancia ora, prima che ripartissero, o chissà quando avrebbe ingerito un altro pasto. Quel banchetto elfico era stato preparato con cura: a giudicare dalle tipologie di cibo, non avrebbe sentito i morsi della fame per alcuni giorni.
Il piano era ormai deciso: avrebbero atteso che la festa entrasse nel vivo prima di agire. Lindaen aveva davanti a sé alcune ore immersa nell'allegro cicaleccio dei convitati.
«Scommetto che a Imladris vi sognate una festa del genere!», le disse a un tratto un Elfo dai capelli argentati, seduto al suo fianco.
«Già», ironizzò lei, «certo, siamo una banda di noiosi».
Continuarono a mangiare; a un certo punto la musica cambiò, divenne più incalzante, rapida e molto più intensa e alcuni cominciarono a danzare nell'ampio spazio tra i tre tavoli. Lindaen rifiutò l'invito di un cavaliere e continuò a servirsi di arrosto di cinghiale e cipolline in agrodolce. Non poteva distrarsi, né allontanarsi dal suo posto. Era necessario che restasse lì.
A un tratto, quando ormai era seduta a quel tavolo da ore intere, si sentì battere sulla spalla.
Sarebbe stato il quarto invito a ballare che declinava. Iniziava ad essere un po' stanca.
«Sì?», fece voltandosi.
Non c'era nessuno. Eppure si era sentita colpire sulla spalla, una mano l'aveva toccata. Si guardò intorno, frugando tra la folla con gli occhi, ma non c'era nessuno nei paraggi.
«Sono io», bisbigliò una voce da sotto al tavolo.
Di scatto, Lindaen si girò di nuovo in avanti, gli occhi fissi davanti a sé. Non poteva rispondere o sarebbe sembrata un po' tocca, avrebbero tutti pensato che parlasse da sola. Finse di far cadere una forchetta e, maledicendo a gran voce la propria sbadataggine, si chinò.
Lo Hobbit non era sotto al tavolo, né sotto la sua sedia. Per un attimo le venne il dubbio che si fosse nascosto sotto la sua gonna, ma non era così sfrontato, conoscendolo sarebbe svenuto per l'imbarazzo prima ancora di provarci.
«Dove sei?», bisbigliò.
«Nascosto», rispose lui, evasivo, la voce che proveniva da lì vicino. «Andiamo, devi uscire adesso e venire con me».
Lindaen si rimise seduta. La porta era al di là del gruppo di ballerini. Si alzò in piedi, abbrancò il primo Elfo senza accompagnatrice e lo invitò a ballare, senza curarsi di ciò che poteva pensare di lei.
«Sei molto... sfrontata, signora», disse lui, ma ammiccò nella sua direzione in modo equivoco. «Sei l'ospite del re, quella arrivata con i Nani?».
«Sì, esatto». Lindaen gli afferrò le mani e prese a volteggiare a ritmo di musica.
Ignorò tutte le sue domande e finse di non notare le sue mani intorno alla vita; quell'Elfo doveva trovarla molto maleducata, ma non era importante. Non appena si furono spostati dall'altra parte della sala seguendo i passi di danza, Lindaen fece una piroetta e si divincolò, imboccando senza indugi la porta.
«Non credo ti abbia notata nessuno», disse Bilbo, sbucando da dietro una colonna. «A parte quel tizio, chiaro, ma forse le spie del re non ti hanno vista».
«Comunque sia, sbrighiamoci», disse lei.
Affrettarono il passo e percorsero i corridoi deserti e i ponti inondati di musica. Non c'era nessuno in giro, erano tutti intenti a divertirsi in vari luoghi della città.
«Hai le chiavi?».
«Proprio qui». Bilbo indicò la tasca del cappotto, ormai molto logoro dopo quel lungo viaggio. «Il custode a cui le ho rubate si è addormentato, era sbronzo completamente. Ecco, si scende per di qua...».
«Vicalion, vecchia canaglia, c'è rimasto poco da bere...», disse una voce.
«Di' quello che ti pare sul nostro irascibile re», schiamazzò un'altra. «Ha un gusto eccellente per il vino!».
Lindaen e Bilbo si fermarono di colpo, balzando dietro un angolo, e rimasero in silenzio finché la coppia di Elfi alticci passò a pochi metri da loro, sorreggendosi a vicenda. Sparirono dietro una porta, inghiottiti da un baccano allegro.
Tesi come archi, Bilbo e Lindaen ripresero la via; lo Hobbit le indicò una scala di pietra che si tuffava nel pavimento. La imboccarono e la discesero per un paio di rampe, sbucando in quella che aveva tutta l'aria di essere la prigione.
Era un unico ambiente ampio e arieggiato. Le celle non erano tutte sullo stesso livello, alcune erano più in alto o più in basso e le si poteva raggiungere con altre scale, ed erano scavate nella roccia. Erano contrassegnate da rune numeriche. Il rumore di una grossa cascata proveniva da poco distante: doveva essere il punto in cui il fiume entrava sottoterra, la loro via di fuga.
«Scommetto che il sole sta sorgendo», si stava lagnando Bofur ad alta voce. «Deve essere quasi l'alba».
Dalle altre celle si levò un sommesso brontolio petulante.
«Non raggiungeremo mai la Montagna, non è vero?», fece Ori, tutto sconsolato.
Bilbo quasi si lanciò contro la porta di una cella.
«Non chiusi qui dentro, di certo!», esclamò.
I Nani esplosero in incitazioni e commenti meravigliati.
Infilò la mano in tasca e tirò fuori un grosso anello pieno di chiavi di ferro, tutte diverse. Per sua fortuna non fu necessario provarle, perché ciascuna di esse recava incisa la stessa runa della porta corrispondente. Mentre tutti i Nani si agitavano e chiamavano Bilbo a gran voce, lo Hobbit cominciò a spalancare le porte.
«Silenzio!», intimò Lindaen. «Se ci scoprono, non avremo un'altra occasione!».
«Oh, Lindaen». Ori le si fece vicino, tutto rosso per l'emozione, e le strinse le braccia intorno alla vita – più in alto non ci arrivava. «Sono così felice che non sei morta».
«Perché avrei dovuto esserlo?».
«Credevamo che il re degli Elfi ti avrebbe uccisa per tradimento», disse Dori, che approfittò del momento per afferrare il fratello minore e scollarglielo di dosso.
«Sono ancora viva e vegeta. Forza, radunatevi, andiamo via subito», disse lei.
Bilbo finì di aprire l'ultima porta e liberò Gloin e Oin.
I Nani non avevano più alcun oggetto personale: erano solo in maniche di camicia, pantaloni e stivali, le loro armi, gli zaini e i loro oggetti erano stati sequestrati.
Lindaen sospirò. Erano tutti disarmati. L'unico ad avere ancora la sua corta lama era Bilbo: di quando in quando ne accarezzava il pomolo, soddisfatto.
«Quaggiù, seguitemi», li incitò lo Hobbit imboccando deciso le scale, non in salita, bensì nuovamente verso il basso.
«Perché scendiamo?», chiese Dwalin.
«Non c'è tempo, lo vedrai tu stesso», rispose Lindaen affrettando il passo.
Al contrario di Bilbo, anche lei come i Nani non era mai stata nelle cantine. Scoprì che erano ampie, piene di scaffalature stracolme di bottiglie dal contenuto scuro, color del sangue. C'erano anche enormi botti per spillare e casse intere di damigiane vuote, già travasate. Qua e là candele accese risplendevano, rischiarando l'ambiente di una luce dorata, calda.
Si fermarono di colpo quando videro alcuni Elfi seduti intorno a un tavolo, ma scoprirono che non c'era da preoccuparsi: le bottiglie ancora in mano, stavano russando piacevolmente con la faccia sul ripiano di legno. Dopotutto, chi mai poteva aspettarsi che i prigionieri scappassero per di là?
«Da questa parte», disse Bilbo.
La scala finiva lì, non c'erano altri piani più sotto. Lindaen saltò gli ultimi gradini per superare i Nani e si avvicinò ad uno degli Elfi dormienti.
Mi perdonerà, ne sono sicura, pensò, ma si sentì molto a disagio per quanto stava per fare.
Osservò le armi che l'Elfo portava: era un paio di pugnali gemelli, lunghi e dritti, che si incurvavano morbidamente prima della punta. Con attenzione, si inginocchiò e sganciò le fibbie della sua cintura, con i foderi che traballavano per il movimento. Attenta a non toccarlo, gli sfilò le armi di dosso e si allontanò.
Si stava assicurando la cintura rubata in vita quando i Nani cominciarono a brontolare.
«Non ci credo, siamo nelle cantine!», si lamentò Kili in un sussurro stizzito.
«Dovevate portarci fuori, non ancora più all'interno», mormorò Bofur, il cappello ancora saldamente sulla testa.
«Smettetela di protestare e muovetevi», bisbigliò Lindaen.
«Di qua», disse Bilbo.
Li condusse in una zona più appartata, tra le botti più grandi. Lì, ammassate l'uno accanto all'altro, stavano alcuni barili di legno e ferro, vuoti e senza coperchio. Sembravano pronte per essere riconsegnate al mittente. Lindaen guardò il pavimento: le assi di legno sembravano disunite, come tagliate in modo netto. Era chiaramente una botola, lunga almeno tre metri, e la leva per azionarla era in ferro, perfettamente in vista, perché chi avrebbe pensato di doverla nascondere?
«Entrate tutti nei barili», sussurrò Bilbo.
«Cosa?», bofonchiò Dwalin, molto offeso. «Sei impazzito? Ci troveranno!».
«No, no», assicurò Bilbo, molto agitato. «Ve lo assicuro! Vi prego, vi prego, dovete fidarvi di me!».
I Nani non risposero, fissandolo.
Bilbo, impotente, guardò Thorin.
«Fate come dice», ordinò il re, e tutti gli obbedirono senza esitare.
Lindaen cominciava ad avvertire una certa urgenza. Di certo alcune guardie erano di turno e dunque non ubriache, non potevano continuare a contare sul potere etilico del vino. Qualcuno avrebbe presto notato che mancavano tredici prigionieri all'appello. Agguantò Nori sotto le ascelle e lo buttò senza troppe cerimonie dentro una botte, poi aiutò Bilbo a fare lo stesso. Dwalin si fece largo e balzò nel barile più grosso. Balin sbuffò più degli altri e alla fine rovinò dentro una botte cadendo di testa, ma si raddrizzò in fretta.
«Adesso che facciamo?», chiese Bofur.
«Trattenete il fiato», disse Bilbo.
«In che senso?».
Lindaen afferrò la grossa leva di ferro e tirò.
La botola si aprì e le botti cominciarono a rotolare giù, tra le proteste rumorose dei Nani, ignari di cosa stesse succedendo. Poi cominciò a udire dei tonfi: il primo a cadere fu Bifur, seguito a ruota da tutti gli altri. Il suono dell'atterraggio nell'acqua le fece tirare un sospiro di sollievo.
Lasciò andare la leva e corse in avanti, gettandosi a terra e scivolando lungo il legno della botola. Sentì un tramestio alle sue spalle, qualcuno gridò: «Eccoli!» proprio mentre lo scivolo di legno finiva e lei cadeva giù. La botola, senza più peso a tenerla aperta, si richiuse con un suono secco.
Cadde per pochi metri. L'impatto con l'acqua arrivò in breve, gelida a contatto sulla pelle. Si ritrovò a dover scalciare per risalire, il vestito intriso d'acqua e i pugnali elfici che le pesavano sui fianchi. Si aggrappò alla botte di Fili, affondando le unghie nel legno per tenersi a galla.
«Complimenti per l'idea», stava dicendo Thorin, soddisfatto. «Forza, andiamo!».
Il fiume, in quel punto, procedeva piuttosto lentamente. Nel buio tunnel sotto la roccia, i Nani cominciarono a pagaiare con le mani per darsi velocità. Lindaen aveva le braccia impegnate e cominciò a sbattere le gambe per nuotare.
Dopo appena pochi minuti cominciò a diffondersi una luce sempre più nitida; più avanti davanti a loro videro un'apertura nella roccia, da cui entravano i raggi del sole. Dall'altra parte, le sponde del fiume si allargavano e Lindaen intravide alte pareti rocciose che lambivano l'acqua.
Thorin, che si era portato in testa, emise un urlo prolungato: «Tenetevi forte!».
Senza spiegarsi la ragione, Lindaen obbedì. Poi comprese: uno ad uno, i Nani e i loro barili parvero scomparire nel nulla, ma il fracasso che sentiva non lasciò dubbi sul motivo. Una cascata faceva scendere il fiume con un salto di alcuni metri.
Quando fu il suo turno si tenne salda alla botte. Per un attimo si trovò circondata dall'acqua, sopra, sotto e tutto intorno, e le mancò il fiato, ma subito venne spinta di nuovo in superficie dal fiume stesso.
Il sole era già alto. Nell'oscurità della cantina sembrava che fuori fosse ancora notte e gli improvvisi raggi solari li accecarono per qualche secondo.
Cominciarono a prendere velocità. Lindaen e Bilbo non avevano considerato che il fiume potesse essere così impetuoso, una volta all'esterno, e tutti dovettero fare enormi sforzi per non venire gettati in acqua e non sbattere contro le pareti rocciose intorno a loro.
«A-Aiuto!», urlò Ori.
«Fratello!», strillò Dori.
Lindaen scalciò per poter osservare meglio davanti a sé, ma ciò che vide non le piacque per niente: il fiume si allargava, più avanti, ma c'erano parecchi massi che ne intralciavano il corso. Dovevano fare attenzione.
Alle loro spalle risuonò potente un corno elfico.
«Che vuol dire?», esclamò Fili gettandole uno sguardo.
«Chiudono i cancelli», rispose lei. «Guarda là!».
Il fiume compì una curva: davanti a loro si dispiegò così il panorama di un posto di blocco, un semplice ponte in pietra controllato da un gruppetto di Elfi armati. C'era una grata sotto l'arcata del ponte, collocata lì apposta per far transitare i barili: il suono del corno diede il segnale di chiuderla.
Le loro botti, spinte dalla corrente, andarono a incagliarsi sotto il ponte, contro la grata bloccata.
«No!», urlò Thorin, frustrato. Cercò di colpire il ferro della chiusa con la spalla, ma ottenne scarsi risultati.
Completamente fradicia, ora che si erano fermati Lindaen faticava a restare a galla. Guardò in alto, verso gli Elfi, che li fissavano di rimando, senza muoversi, in attesa di ulteriori ordini.
Una freccia vibrò all'improvviso e trapassò da parte a parte il collo di uno dei guardiani. Lindaen urlò. Il corpo cadde sopra di loro e i Nani lo spinsero in acqua, dove affondò sotto il peso dell'armatura.
«Chi ha tirato?», gridò Oin.
La risposta piombò sul ponte: un Orco si gettò di peso su un altro Elfo e gli trafisse il corpo con la sua spada nera.
Devono averci seguiti fin qui, riuscì a pensare Lindaen, prima che altri Orchi sopraggiungessero. Arrivavano da ogni parte, dalle due sponde del fiume e da oltre il ponte. Ingaggiarono una lotta intensa con gli Elfi del posto di blocco, ma erano superiori di numero e non impiegarono molto a eliminarli tutti. Poi guardarono i Nani.
La colluttazione iniziò immediatamente, gli Orchi si buttavano sopra di loro con le lame sguainate, tentando di infilzarli o di affogarli.
Uno di loro piombò su Lindaen, spingendola sotto, e lei si ritrovò circondata dall'acqua. Non riusciva a risalire, le botti ammassate tutte insieme le impedivano di trovare uno spazio in cui emergere. Quando cominciava ormai a provare un intenso dolore al petto, una grossa mano orchesca la prese per i capelli e la tirò fuori.
Lindaen fu pronta: strappò dal fodero uno dei pugnali e lo piantò nella gola dell'Orco che l'aveva tirata fuori. Ritirò il pugnale e il corpo del nemico scivolò in acqua; Lindaen ebbe appena il tempo di attaccarsi di nuovo alla botte di Fili, tossendo, la gola in fiamme.
Gloin tirò una gomitata in faccia a un Orco che stava tentando di aggredire Bifur, facendolo svenire e cadere in acqua: Dwalin riuscì a strappargli la corta spada sbeccata dalle mani prima che il fiume se la portasse via.
Lindaen non sapeva più da che parte guardare. Dovevano trovare un modo per riaprire la chiusa o sarebbe stata questione di tempo prima che venissero trucidati.
Kili si arrampicò su Bombur e da lì riuscì a saltare verso il ponte, appendendosi con le mani e issandosi su. Dwalin gli lanciò la spada rubata all'Orco e con quella Kili cominciò a farsi strada verso un grosso argano in legno.
Fu allora che una freccia lo colpì, conficcandosi nella sua coscia. Kili si bloccò, stupefatto, e quando il dolore cominciò a risalire nel suo corpo si accasciò e prese a urlare.
«Kili!», urlò Fili, ma da lì non potevano aiutarlo.
Lindaen si guardò freneticamente intorno, in cerca di un modo per scappare, quando Legolas piombò inaspettatamente sul luogo del combattimento seguito da altri Elfi: dovevano essere partiti dalla città di Thranduil per inseguire i prigionieri. Tauriel giunse per ultima, scagliando frecce a gran velocità senza mancare neanche un bersaglio.
Di certo gli Orchi rappresentavano una minaccia ben più concreta di un gruppetto di Nani disarmati, così Legolas e i suoi si concentrarono su di loro, impegnandoli quasi del tutto. Kili, approfittando del momento di pausa, con un grugnito di dolore riuscì a rimettersi in piedi e si appese alla leva. Il suo peso la fece abbassare di scatto.
La grata cominciò a sollevarsi. Thorin, in testa al gruppo, fu il primo a passare. Kili si lasciò cadere di sotto, finendo nella propria botte vuota, ma nell'impatto la freccia si spezzò. Il Nano urlò dal dolore, ma riuscì a reggersi al bordo del barile.
Ripresero a navigare tra i flutti. Subito dopo la chiusa c'era un'altra cascata, ma era breve, nulla rispetto alla prima, e quando riemersero si stavano ormai allontanando a gran velocità dal luogo del combattimento.
Gli Orchi cominciarono a inseguirli quasi subito. Saltavano da un masso all'altro, correndo disordinati. I più avventati cercarono di buttarsi su di loro, ma il letto del fiume era ampio e la corrente molto forte: cadevano in acqua e venivano semplicemente sballottati contro le rocce.
«Attenti, davanti!», urlò Thorin.
«Orecchie a punta, tieniti!», sbraitò Dwalin.
Lindaen non vedeva niente, aveva gli occhi pieni d'acqua e schiuma, la bocca serrata per non annegare, ma obbedì e strinse la presa sul barile.
Pochi metri più avanti il fiume compiva un salto di sette metri almeno e c'erano altre tre cascate che si gettavano nello stesso punto.
Le quattro cascate rombanti li spinsero sotto la superficie. Lindaen trattenne il fiato e scalciò di nuovo, mentre la forza del fiume li risputava fuori, ma aveva le braccia a pezzi e la gonna dell'abito le si stava stringendo addosso, rischiando di farla affondare.
Gli Orchi non demordevano: non cercarono più di gettarsi su di loro, ma si armarono di archi e frecce e cominciarono a tentare di colpirli. Per fortuna, il fiume era troppo movimentato in quel punto e i loro barili venivano sballottati senza logica a destra e a sinistra; nessuna freccia andò a segno, quelle che giunsero più vicine ai bersagli si piantarono saldamente nelle botti senza fare danni. Lindaen pensò che non avrebbe mai più avuto una tale dose di fortuna, era totalmente scoperta e tuttavia era ancora viva.
A un tratto, gli Orchi cominciarono a urlare in modo diverso. Lindaen cercò di voltarsi e con la coda dell'occhio riuscì a scorgere un guizzo di capelli lunghi e archi elfici in avvicinamento. Frecce sibilanti colpirono gli Orchi.
A un certo punto, Thorin riuscì a strappare un grosso bastone dalle mani di un Orco caduto in acqua; voltandosi, il Nano lanciò il bastone a Oin, che lo lanciò a Balin, che lo scagliò verso Bifur, il quale lo lanciò a Fili che lo diede a Dwalin.
Mulinandolo con un muggito di rabbia, Dwalin cominciò a prendere a bastonate le gambe degli Orchi ogni volta che il suo barile si avvicinava a sufficienza alla sponda rocciosa, facendo volare in acqua ben più di un nemico.
«Davanti a noi!», li avvertì Bofur.
Un gruppo di Orchi aveva sradicato un albero e stava cercando di metterlo di traverso sulla sponda, come un ponte, decisi a saltare su di loro.
«Buttateli di sotto!», ululò Dwalin, paonazzo.
Lindaen non riusciva più a restare aggrappata, ad ogni scossone rischiava di venire sbalzata via.
Gli Orchi avevano ormai sistemato il tronco e vi si erano posizionati sopra, le armi sollevate e pronte per essere calate sulle loro teste, quando si udì un sonoro rumore di corteccia spezzata.
Il peso degli Orchi così armati e grossi spaccò il tronco proprio nel mezzo e i nemici volarono nel fiume appena prima che i Nani sopraggiungessero; Thorin e Balin riuscirono ad afferrare due delle loro asce da guerra prima che affondassero come i loro padroni.
«Bombur, prendi!».
Dwalin lanciò il bastone orchesco al Nano, che riuscì ad afferrarlo con la mano grassoccia e lo usò per colpire in testa un Orco che voleva gettarglisi addosso. Tuttavia il bastone si impigliò tra le rocce e Bombur e il suo barile vennero sbalzati a riva, fuori dall'acqua.
Bombur rotolò.
E continuò a rotolare.
Lindaen poteva vederlo solo a tratti, ma rimase molto impressionata dalla potenza letale del suo corpo adiposo: ad ogni rimbalzo, la botte ricadeva più pesante di prima sugli Orchi che incontrava, travolgendoli, schiacciandoli, buttandoli a gambe all'aria e precipitandoli nel fiume.
Quando infine Bombur fermò la corsa sgusciò fuori dal barile, lo fece rotolare di nuovo in acqua a tutta velocità – una velocità impensabile vista la sua mole – e lo ributtò nel fiume, tuffandocisi dentro e riprendendo la navigazione insieme ai compagni.
Apparentemente non aveva nemmeno un graffio.
Legolas balzò sulla scena, buttandosi verso il letto del fiume agitato, e piombò con i piedi sulle teste di Gloin e di Dori. I due Nani urlarono e si lamentarono, ma Legolas era leggero e volteggiò usandoli come base in movimento, scoccando frecce e uccidendo altri Orchi. Quando fu sicuro che non sarebbe riuscito a fare altro da lì, saltò di nuovo a riva e sguainò la spada.
Lindaen riuscì a vederlo mentre colpiva con tutta la sua forza i nemici. La sua spada si muoveva così rapida da scomparire alla vista. Poi un Orco gli si portò alle spalle e sollevò un martello, pronto a colpirlo. L'Elfo era impegnato contro altri due nemici, non ce l'avrebbe fatta contro un terzo.
«Legolas!», urlò Lindaen, sputando acqua.
Thorin, l'ascia orchesca ancora in mano, la sollevò con due mani e la scagliò con tutta la sua forza verso l'Orco. Legolas si voltò in tempo per vederlo cadere e balzò via senza alcun accenno di ringraziamento.
Il barile di Fili si inclinò e Lindaen finì di nuovo con la testa sott'acqua; quando riuscì finalmente a riemergere non vide più gli Elfi alle loro spalle.
Gli Orchi, invece, erano ancora all'inseguimento, ma li stavano finalmente distanziando. Il fiume si allargò, i dislivelli diminuirono e l'acqua prese velocità, portandoli sempre più lontani, verso est: entro pochi minuti i nemici scomparvero dietro una curva; potevano ancora sentirli, ma erano sempre più lontani.
«Non si fermeranno», riuscì a gridare lei.
«No, infatti!», rispose Thorin a voce alta. «Forza, gente, diamoci una mossa!».

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