EPILOGO

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Lindaen si sentiva un po' ridicola. Si osservava nello specchio da parecchi minuti, voltandosi e rigirandosi su se stessa per cercare quel qualcosa che rendeva l'insieme inadatto, ma non riusciva a trovare quale fosse il dettaglio fuori posto. Forse, fuori posto era tutta lei.
«Non sono sicura», concluse.
Lindir, appoggiato mollemente a una parete, continuava a lanciare occhiate sospettose a Tilda che, accovacciata sul pavimento, ritagliava pezzi di carta da intrecciare a forma di ghirlanda. Non sembrava ascoltarla, anzi pareva piuttosto annoiato.
Sigrid, invece, le si avvicinò e diede un forte strattone ai nastri che chiudevano l'abito sul seno. Lindaen quasi si strozzò e gli occhi si spalancarono.
«Ecco, che ne pensi ora?».
Riprendendo confidenza con l'ossigeno, Lindaen si studiò e annuì con lentezza.
«Meglio, decisamente». Spostò lo sguardo più in alto, sulla sua testa: la corona si rifletteva nello specchio in modo ambiguo. «Però non ha comunque senso. Lindir, che dici? Lindir?».
Si voltò, afferrò una calza spaiata dal bordo del letto e la scagliò contro il fratello. Lui sobbalzò e si riscosse.
«Sì? Oh, Lindaen, che vuoi che ti dica? Stai molto bene...».
«...ma?».
Lui fece una smorfia.
«Ma», concluse, «non ti ho mai visto con nulla del genere. Non mi fraintendere...».
«Pensi che sia un errore», disse in fretta Lindaen. «Oh, pensi che sia un errore! Sì, è così. Annulliamo tutto».
«Ho ritagliato fogli di carta per quattro ore», disse la vocina di Tilda. «Quindi no, non annulliamo niente».
Con un sospiro, Lindaen abbassò lo sguardo sulla più piccola. Quando lei e Bard avevano accennato alla cosa, lei si era subito dimostrata molto entusiasta. Bain era diventato violaceo, come se la sola idea lo mettesse molto in imbarazzo, ma era stato contento. Sigrid non si era mai espressa ed ora si muoveva per la stanza con fare pratico, come se l'evento non la riguardasse in alcun modo. Lavorava con serietà come se quello fosse un obbligo, come se fosse pagata per farlo. Lindaen credeva di sentirsi male ogni volta che la guardava.
Avevano deciso di non farlo subito. Non sarebbe stato il caso, c'era così tanto da ricostruire... Avevano lavorato alacremente per mesi e Lindaen non si era risparmiata, perché se davvero voleva un ruolo a Dale doveva guadagnarselo. Avevano battuto chiodi, piantato paletti, abbattuto muri, eretto scale. Ciò che non possedevano, lo avevano procurato gli Elfi di Thranduil. Il denaro mancante lo avevano ottenuto da Dain, il nuovo re di Erebor, in cambio di vantaggiosi accordi per il futuro.
Erano stati così distratti che per un po' la città non aveva avuto alcun governo: non c'era bisogno di nulla del genere, tutti seguivano Bard in un modo che lui definiva "fastidioso come un herpes in un orecchio". I lavori li avevano così rapiti che lui e Lindaen quasi non ne avevano più parlato: una persona più votata al romanticismo si sarebbe forse sentita offesa, ma lei aveva cercato di rimandare il più possibile il momento, perché Sigrid la spaventava parecchio sotto quell'aspetto.
Lindir si avvicinò e cercò di sistemarle i capelli in modo diverso, come se cambiare posizione alle sue lunghe trecce potesse far sembrare quella corona meno sciocca su di lei.
Il palazzo di Girion era stata l'ultima cosa che avevano ricostruito: Bard aveva deciso che, finché tutti non avessero avuto una casa, anche loro sarebbero rimasti senza. Era stato un inverno mite, un vero colpo di fortuna considerando quanto era successo, e in primavera Percy il doganiere – l'ex doganiere, in realtà – era stato mandato a sud insieme a una piccola delegazione di uomini, per negoziare nuovi accordi con gli altri regni. C'era bisogno di ricreare tutte le antiche alleanze, perché quelle di prima erano state stipulate dal governatore di Pontelagolungo, non dal re di Dale. I nomi erano fondamentali e occorreva ricominciare da capo. Quando avevano fatto ritorno, avevano riportato notizie buone e cattive insieme, perché non tutti avevano voluto fidarsi di un popolo che versava in condizioni così avverse, ma erano giunti in tempo per partecipare a un banchetto inaugurale alla fine dell'estate: le ricostruzioni si erano finalmente concluse.
I lavori, però, erano appena iniziati. C'era tanto da decidere. Che tipo di governo dare a Dale? Bard sarebbe stato un re o un altro governatore? Quanti dovevano sedere nel consiglio, e come sceglierli tra la popolazione? L'esercito doveva essere su base volontaria? E quali simboli adottare? Avevano passato giorni e giorni a riunirsi per decidere.
«No, così no», concluse Lindir. «Il fatto è che non riesco a vederti con una corona».
«Nemmeno io», ammise lei, sconsolata.
«Io sì», cinguettò Tilda, armata di pastelli.
Sigrid non rispose.
Il loro non era il primo matrimonio del nuovo regno. C'era stata una tale isteria gioiosa, dopo la disfatta degli Orchi nella piana, che parecchi giovani di Dale ne avevano approfittato per sfuggire al controllo dei genitori e sposarsi. Molti si erano conclusi con un'unione di fatto, vista la decisione dei ragazzi di convivere, ma altri avevano seguito un rito e Bard, in quanto futuro re, ne aveva celebrati alcuni: per tutta la funzione aveva avuto l'aria di chi vorrebbe essere ovunque, tranne che in una posizione simile, ma alla fine era stato tra i primi a battere le mani per le giovani coppie.
Lindaen cominciò a pensare di essere solo una sciocca ragazza. Non ce l'aveva con il vestito: non era troppo dissimile da altri che aveva già indossato a Gran Burrone. Era azzurro chiaro, un colore che le piaceva e la faceva sentire a suo agio, con ampie maniche decorate.
No, non era quello. Era la corona: era splendida, erano stati i Nani a farla. Avevano forgiato sia la sua, sia quella di Bard, e per entrambi avevano creato armature da parata che, per quanto inutili sul campo, servivano a legittimare il loro nuovo regno. Lindaen sapeva bene che per un sovrano i simboli sono tutto. Loro non avevano quasi avuto potere decisionale a riguardo – e quando mai si poteva averlo, con i Nani? Dwalin aveva ruggito dall'orgoglio quando lui e Balin, le barbe ben pettinate, avevano presentato loro le nuove effigi: il drago era ovunque, sulle corazze e sui bracciali; la corona di Bard era d'oro, con pietre rosse come le scaglie di Smaug, e quella di Lindaen era d'argento e aveva l'aspetto di un drago acciambellato.
Ora quel piccolo, magro draghetto sembrava dormire nel letto dei suoi capelli e sfidarla ad essere alla sua altezza.
«Smettila di grattarti, sorella».
Lindaen abbassò di scatto le mani, che continuavano a tormentarsi il collo.
«Scusate». Guardò il riflesso di suo fratello nello specchio, indaffarato a rifare le piccole trecce sulla sua testa. «Lindir, tu... tu sei contento? Per me, intendo».
«No», rispose lui a colpo sicuro. Tilda e Sigrid lo fulminarono con gli occhi, ma lui non si scompose e spiegò: «Non mi rende molto contento il fatto che tu diventi dirimpettaia di quei... quei...».
«Nani barbuti?», ridacchiò Tilda.
«Valorosi guerrieri?», rincarò Sigrid, finalmente abbozzando un sorriso scaltro.
«Quei maleducati individui», concluse Lindir.
Lindaen strinse le labbra, sorridendo.
Il funerale era stato difficile per tutti loro ed era giunto a sorpresa. Avevano dimenticato che c'erano dei morti da seppellire, Lindaen aveva creduto davvero che tutto si sarebbe risolto: quando le aquile erano piombate sul campo di battaglia non c'era stata una sola parte di lei che si era chiesta se avessero fatto in tempo. Quando avevano scoperto che così non era, si era sentita il vuoto sotto le scarpe. Ricordava ancora che era stato con Fili e Kili che aveva iniziato quell'avventura: era arrivata con loro a Casa Baggins e quella sera, durante la cena e le canzoni, avrebbe giurato che con loro avrebbe anche concluso la storia. All'epoca non avevano gradito la sua presenza. Ed erano morti pensando che lei li avesse abbandonati. Non aveva avuto modo di spiegarsi, di chiedere il loro perdono.
Thorin era morto con loro. Lindaen non aveva saputo nemmeno soffrire nel modo giusto per lui. Non aveva avuto alcuna parola, positiva o negativa che fosse, da dedicare alla sua salma, si era limitata a fissarla per ore prima che venisse inumata.
Non aveva osato pronunciare nemmeno una sillaba. Solo il silenzio poteva dire ciò che lei non era in grado.
Dain era diventato il nuovo Re sotto la Montagna. Quella grande avventura, la loro fatica e determinazione, erano valse la conquista di Erebor e nulla di più. Avevano attraversato mezzo mondo, svegliato un drago e distrutto una città, ma Thorin era morto lo stesso. Lui e Azog si erano distrutti a vicenda. In un certo senso, non avrebbe potuto essere altrimenti, ma Lindaen l'aveva trovato tanto ingiusto...
Lindir mise l'ultimo cilindro d'argento nei suoi capelli, fermando l'ultima treccia. Ora aveva una bella chioma, i capelli fluenti sulle spalle e sulla schiena, e trecce adeguate all'evento sulla nuca. La corona sembrava spuntare in modo più naturale dal suo capo.
«Fatto», disse deciso. «Non potresti volere di meglio. Tu stai composta, spalle dritte...». Le prese le braccia e la costrinse a tenere una postura più rigida. «Bene così. Certo, credevo che con il tuo caratteraccio saresti rimasta sola per tutta la vita...».
«Lindir!», esclamò Lindaen, offesa e divertita allo stesso tempo. Sigrid e Tilda ridacchiarono.
«...però ammetto che sono abbastanza lieto di vedere mentre ti sposi. Era ora che ti sistemassi da qualche parte».
Lindaen non rispose. All'arrivo di Lindir avevano parlato a sufficienza del fatto che lei si stesse sposando con un uomo e non con un Elfo. Per lui era stato incomprensibile, anche dopo aver conosciuto Bard non era rimasto particolarmente impressionato. Né si era detto contento del fatto che lei volesse "appollaiarsi quassù come un qualsiasi corvaccio".
Non era sempre facile capire suo fratello, Lindaen lo sapeva. Aveva sempre l'aria di non gradire l'odore che lo circondava. Spesso era caustico e solo gli Elfi gli piacevano davvero – forse. Lei, però, lo conosceva più di tutti. Lo conosceva da tutta la vita. Se non fosse stato contento, lo avrebbe capito. Il fatto stesso che non l'avesse piantata in asso non appena aveva cominciato ad agitarsi per le nozze significava che, dopotutto, voleva esserle accanto.
Ora mancava una cosa solamente.
«Posso avere due parole con Sigrid, per favore?».
La ragazza la guardò inarcando un sopracciglio, di nuovo seria, ma non protestò.
Tilda afferrò una manciata di colori e un paio di fogli, lasciando tutto il resto sul pavimento, e allungò con ostinazione una mano verso Lindir.
«Sì?», chiese lui.
Tilda non si lasciò intimidire, lo afferrò per un lembo della veste e marciò a testa alta verso la porta; per non cadere, lui fu costretto a seguirla. Prima che la soglia si chiudesse dietro di loro, Lindaen lo udì borbottare: «Sei così bassa...».
Sigrid aveva le spalle rigide. Lei e Lindaen si squadrarono per qualche momento, in piedi, immobili e silenziose. Entrambe sapevano quale tipo di conversazione stava per iniziare, ma nessuna delle due aveva voglia di cominciarla.
«Io devo...». Lindaen scosse il capo, cambiando idea. «No, scusa. Io vorrei chiederti una cosa».
«Vuoi chiedermi se mi sta bene che sposi mio padre».
Lindaen annuì lentamente. La voce di Sigrid non era aspra, ma nemmeno conciliante. Non lasciava trasparire nulla di negativo, ma neppure di positivo.
«Sì», ammise. «Quando abbiamo parlato di questa ipotesi, settimane fa, tu non hai detto niente. Abbiamo ascoltato le vostre opinioni, ma tu non ti sei espressa. Non è tardi. Non siamo ancora sposati, si può ancora tornare indietro».
In realtà Lindaen non voleva affatto tornare indietro. Se era stato difficile decidere di rimanere, ora che aveva trascorso quasi un anno intero in loro compagnia le sarebbe stato impossibile andarsene.
Dei bambini, Tilda era stata la più facile da raggiungere: aveva legato molto con la più piccola, che le trotterellava spesso intorno come una paperella intorno alla mamma oca. Bain era stato difficile da scalfire, era un ragazzo più timido di quanto sembrasse e si imbarazzava facilmente, ma dopo le prime settimane era diventato il più affettuoso: cercava spesso uno sguardo di approvazione, da chiunque fosse disposto a concederglielo, e se Bard non c'era allora andava da lei. Anche Sigrid era diventata un pezzo importante della sua vita: era quella più silenziosa, era una giovane riflessiva, preferiva ascoltare che parlare. Quando apriva la bocca, però, dimostrava molta più intelligenza di certi adulti. Lindaen aveva fatto ricorso più volte al suo consiglio.
Non voleva lasciare nessuno di loro. E non voleva lasciare Bard, non più.
Era sempre stata indipendente, ma così facendo non aveva mai concesso a se stessa di capire quanto fosse importante, di quando in quando, lasciarsi sostenere da qualcun altro. Si era sempre occupata di se stessa e non credeva di poter concedere ad altri il privilegio di prendersi cura di lei. Bard era un uomo silenzioso quanto Sigrid, parlava poco e solo se necessario e, quando non sapeva di essere osservato, assumeva un'aria pensierosa e un po' cupa. Lindaen l'avrebbe osservato per ore, le piaceva vedere come i suoi occhi si distendessero o si aprissero in base a quale ragionamento gli attraversava la mente. Se all'inizio aveva trovato strane le sue attenzioni – e un po' impacciate a dirla tutta – alla fine si era abituata, vi si era acclimatata come l'acqua che si accomoda nel letto del fiume, e ora erano diventate parte del suo quotidiano.
Il quotidiano: non ne aveva mai voluto uno, lo aveva evitato, ed ora non voleva più allontanarsene.
Tuttavia non sarebbe mai stata capace di affrontare una vita dovendosi confrontare giorno dopo giorno con il malcontento di Sigrid. Le voleva troppo bene per poter sopportare la sua disapprovazione.
La ragazza emise un profondo respiro e rilassò le spalle, come ricordandosi di averle tese. Fissò Lindaen con aria seria.
«Affezionarmi a te è stato facile», cominciò. «Sei un Elfo, praticamente incarni le eroine dei miei libri, e quando quella sera ti sei fermata a cena chi pensava sarebbe stato permanente? Credevo sarebbe stato per poche ore e mi andava molto bene avere un tale ospite».
Lindaen strinse i denti. Sentiva che stava arrivando qualcosa di spiacevole.
«Poi il drago ha attaccato e tu ci hai protetti». Sigrid guardò fuori dalla finestra, gli occhi che in realtà non vedevano oltre il vetro. «Ti sei spesa per noi. Hai rischiato di farti ammazzare, il giorno della battaglia. Me lo ricordo», aggiunse, tornando a guardarla. «Noi ti abbiamo distratta e hai rischiato di essere uccisa, se nostro padre non fosse arrivato».
Il cuore pesante, Lindaen non rispose.
«Io mi rammento di mia madre», disse allora Sigrid. «Me ne rammento molto bene. Quando è morta, ho sentito un vuoto così grande che credevo sarei impazzita di dolore».
«Non voglio sostituire tua madre...».
«Non potresti», fece Sigrid, un po' crudele, ma Lindaen accettò la durezza nella sua voce. «Però mi piaci». Le rivolse un sorriso dolce, delicato. «Sei una persona buona. Pensavo che gli Elfi se ne stessero sulle loro, prima, ma è chiaro che mi sbagliavo. Sei buffa, a volte», aggiunse.
Lindaen non si mosse. Anche se Sigrid stava sorridendo, non voleva fidarsi se poi rischiava di restare delusa.
«Va bene, ecco cosa penso». La giovane prese un respiro ancora più profondo, sbuffando l'aria fuori dalle narici con notevole energia. «Io penso... Ecco, non so bene come spiegarmi».
«Provaci», disse dolcemente Lindaen.
«Penso che mio padre sia rimasto da solo per troppo tempo. Mia sorella e mio fratello hanno bisogno di qualcun altro, qualcuno che non sia lui, non so se capisci che intendo, e papà ha bisogno di qualcuno che non siamo noi».
Annuendo, Lindaen mormorò: «Sì, capisco».
«Io non posso considerarti una madre», disse Sigrid. Sembrava che ogni parola le costasse parecchio. «Però ti voglio bene. Mi mancheresti, se andassi via, e se per tenerti qui devo lasciarti sposare mio padre, allora va bene».
«Le matrigne sono tutte malvagie, nelle storie», commentò Lindaen.
«No», sorrise Sigrid. «Non sempre».
«Non sarà strano?», indagò lei.
«All'inizio sarà estremamente strano», fece l'altra, «ma è strano anche vivere in un palazzo e venire chiamata da tutti "mia signora". L'unica che mi chiama ancora col mio nome è Marta».
«Sì, dubito che le cose cambieranno, per lei».
«Lo spero, mi manca la vecchia me che cuciva reti da pesca a Esgaroth». Sigrid si lisciò la gonna del vestito con fare pensieroso. «Sono contenta di averti qui, Lindaen. Dico davvero. Tu, però, smettila di avere quell'aria da "scusate se esisto", d'accordo?».
Soffocando una risata, lei protestò: «Non faccio così!».
«Certo! È da quando avete annunciato il matrimonio che vai in giro come se qualcuno ti dovesse cacciare a pedate. Piantala, va bene? Nessuno ti odia, quindi smettila. Consideralo il mio primo ordine da figlia del re».
Lindaen sorrise. Non si aspettava che alcuno dei ragazzi la considerasse una madre, né avrebbe mai voluto sostituire qualcuno di così importante e che viveva nei loro ricordi. Ciononostante aveva bisogno di quelle parole da Sigrid.
«D'accordo», accettò mestamente.
«E non avere quell'aria afflitta, ti stai sposando, non stai per impiccarti».
«Mi dispiace, hai ragione, mi dispiace...».
Sigrid le si avvicinò e la abbracciò. Lindaen fu colpita da quanto quella stretta fosse diversa da quelle, ancora infantili, che si erano scambiate fino a qualche tempo prima. La Sigrid che la stava abbracciando ora era più grande e sicura di sé. Non aveva più bisogno di farsi confortare, ora regalava conforto agli altri. Lindaen si passò le mani sugli occhi e scacciò le lacrime, anche se per il groppo doloroso alla gola non poteva fare molto.
«Forza, andiamo subito fuori o a tuo fratello verrà un infarto con solo Tilda a fargli compagnia».
«Ci manca solo che lo chiami "zio Lindir"...». Lindaen fece l'occhiolino. «Grazie, Sigrid».
La cerimonia sarebbe stata privata, mentre al banchetto avrebbero partecipato tutti. Quello che Lindaen sapeva, avanzando con Sigrid lungo il corridoio che portava alla sala del trono, era che il concetto di "privato" era stato lasciato molto all'interpretazione di Bofur, che si era offerto di organizzare tutto.
Per questo non si sorprese quando vide la stanza gremita di Nani e uomini.
«Oh, wow», disse Sigrid.
C'era Bofur, naturalmente, a braccetto di una Nana che Lindaen non conosceva; aveva lavato il cappello per l'occasione e sembrava molto tronfio nel suo ruolo di organizzatore. Balin aveva la barba bianca intrecciata e suo fratello Dwalin aveva la pelata lucida e linda. Oin non c'era, era a Gran Burrone per studiare medicina, ma c'era Gloin con la moglie e il figlio Gimli, il quale aveva l'aria di voler essere ovunque tranne che a un matrimonio elfico. Bombur stava già mangiando qualcosa, ma nascose in fretta il cibo dietro la schiena al loro arrivo. Bifur, che in qualche modo era riuscito a togliersi l'ascia dalla fronte, se ne stava tutto impettito in prima fila. Ori, Dori e Nori confabulavano tra loro non lontani dal tavolo dei vini.
Re Dain aveva mandato una delegazione molto numerosa.
Da Bosco Atro non era andato nessuno, ma non importava: Thranduil aveva inviato un araldo con doni per gli sposi, dando la sua benedizione senza doversi scomodare dal suo trono. Lindaen non ne avrebbe sentito la mancanza. Da Gran Burrone era arrivato Lindir, che avrebbe rappresentato sia la sua famiglia sia il loro sovrano: lei non desiderava altri. Dai regni degli uomini erano arrivati messaggeri e simboli, nulla di più: era giusto così, Dale era un regno piccolo e avere molti ospiti non sarebbe stato appropriato.
Lindaen però notò due mancanze: Bilbo e Gandalf.
Lo stregone non aveva dato spiegazioni per la sua assenza, ma lei non se l'era presa a male. Gandalf presenziava ai grandi eventi del mondo: da un certo punto di vista, era lieta che il suo matrimonio non rientrasse in quella categoria o avrebbe significato che c'erano guai in vista. Era sparito senza dire addio, ma prima o poi sarebbe ricomparso.
Bilbo... Bilbo era un'altra questione.
Aveva cercato di andarsene via senza nemmeno salutare. Lindaen era stata avvisata da un concitato Dori ed era riuscita a raggiungerlo appena in tempo. Stranamente non si era sentita triste, alla partenza: Bilbo desiderava casa sua, voleva la pace di un buon tè caldo davanti al camino, era giusto che vi facesse ritorno.
La cosa strana, si era resa conto, era che quell'avventura sembrava destinata a durare in eterno: aveva sempre avuto un che di indefinito, di perenne. Non sapevano, inizialmente, quanto a lungo sarebbe durata. Poi di colpo era finita e i saluti erano sembrati così strani da apparire meno difficili. Aveva abbracciato Bilbo con la sensazione che fosse solo un arrivederci.
Certo che la sua corrispondenza era molto, molto frequente: lo Hobbit si diceva molto fiero del servizio postale della Contea e scriveva così spesso che a volte Lindaen non aveva alcuna novità da raccontargli nelle risposte. Insieme mandava fiori essiccati, disegni ad acquerello, sassolini dalla forma strana, qualche volta aveva spedito un libro o due per i ragazzi. Aveva portato a casa dalla Montagna due forzieri d'oro: poteva permettersi tutti i francobolli del mondo. Lindaen non aveva fatto nemmeno in tempo a sentirne la mancanza. Almeno quel giorno, però, avrebbe voluto vederlo.
In fondo, vicino ai due troni di legno costruiti apposta per il nuovo palazzo, stavano in piedi alcuni uomini e donne di Dale. Marta, con i capelli così in ordine, aveva l'aria strana e diversa. Percy, l'officiante, portava appuntata sul petto una ciocca di capelli intrecciata: l'ultimo ricordo della sua Ilsa. Bain lanciava occhiate preoccupate a Lindir, non lontano, e Tilda aveva un bell'abito viola nuovo di zecca.
In piedi con loro c'era Bard.
Lindaen gli sorrise, raggiungendolo, e gli prese la mano. Non c'era esattamente una tradizione da rispettare: alcuni avevano proposto di mantenere il rito di Pontelagolungo, ma altri avevano suggerito di cambiare del tutto. Come se il drago avesse rappresentato una cesura nel tempo.
Solo una parte di lei diede ascolto a Percy, che nel suo nuovo ruolo di Custode dei Cancelli di Dale sentiva l'obbligo morale di tenere una predica piuttosto lunga; in realtà era più concentrata a guardare di sottecchi Bard.
Lui si ostinava a dire di non avere l'aria regale, ma il suo sangue era molto più nobile di quello di Lindaen. Se prima di indossarla aveva effettivamente l'aria da pescatore, con la corona d'oro nanico sul capo cambiava totalmente aspetto. Era qualcosa che aveva ereditato in modo inconsapevole, qualcosa che Johanna e Girion avevano posseduto. Una regalità latente, che aspettava solo di uscire. Ora, in piedi lì accanto vestito di blu scuro, sarebbe sembrato un vero signore se non fosse stato per l'aria ansiosa.
Sembrava preoccupato almeno quanto lei.
Quando Percy finì di parlare, però, si rilassò. Venne portato un libro grosso e totalmente nuovo – c'erano annotati solo pochi matrimoni e un unico decesso per vecchiaia. Il vecchio registro era bruciato tra le fiamme ed erano stati i Nani a donarne uno nuovo alla comunità.
I loro testimoni – Sigrid e Lindir per lei, Bain e Tilda per lui – porsero loro penne e inchiostro. Firmarono il registro e l'applauso che seguì fu molto moderato.
«Dovremmo davvero pensare a qualcosa di più eccitante, come cerimonia», fu il commento di Marta, rimasta poco impressionata. «Percy, sei stato una gran noia!».
Tutti risero – anche Percy – e molti dei Nani si lanciarono in sguaiati ghigni divertiti. Lindaen, la tensione finalmente smorzata, si trovò a stringere più forte la mano di Bard. L'unico a non trovarlo molto divertente fu Lindir, che si limitò ad un sorriso educato.
Più tardi, mentre il sole d'autunno calava oltre le montagne e la delegazione dei Nani ritornava verso Erebor, mentre gli ultimi che ancora festeggiavano danzavano intorno al falò nella piazza centrale e qualche bambino si abbuffava con la torta, Lindaen e Bard si trovarono da soli per la prima volta dall'inizio di quella giornata.
Avevano sempre trovato qualcosa di cui parlare ed ora Lindaen si sentiva un po' a disagio, come se trovare qualcosa da dire fosse difficile.
Bard fu il primo a spezzare il silenzio, posandole una mano tra le scapole e fissandola dall'alto.
«Ti sembra strano essere sposati?».
Con un sorriso, lei annuì.
«Un po'».
«La cerimonia è stata...». Bard guardò davanti a sé, verso il falò, alla ricerca della parola giusta. «Direi imbarazzante».
«Io direi tragica», fece Lindaen. «La cosa meno romantica a cui potessi pensare».
«La ricorderanno tutti, però», commentò lui.
«Sì, ormai è famigerata».
Si scambiarono uno sguardo nella semioscurità. Di colpo Lindaen pensò che, dopo tutto ciò che era successo negli ultimi due anni, non avrebbe voluto un matrimonio in pompa magna. Erano morte tante persone, amici, vicini e parenti; troppi fiori non sarebbero stati rispettosi. Il regno che volevano costruire non doveva essere tutto oro e denaro come quello del governatore di Esgaroth. Doveva essere un luogo giusto. Felice, sì, ricco, ma equo. La predica di Percy cominciò a sembrare molto più brillante di quanto non fosse stata.
«È stato un giorno perfetto», mormorò guardando suo marito con orgoglio. «Abbiamo trovato il nostro posto».

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