CAPITOLO VENTIDUE

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La mattina dopo ci fu molto a cui pensare e Lindaen non ebbe tempo di parlare con Bard. Non ci furono sguardi imbarazzati o gesti inquieti da parte di nessuno dei due, perché c'era troppo da organizzare: occorreva essere pratici. Lindaen fu quasi grata che ci fosse una battaglia incombente: almeno non avrebbe dovuto dare alcuna risposta. Si sentiva come una ragazzina ansiosa e se ne vergognava un po'.
Nella piazza antistante il palazzo di Girion, la stessa in cui il giorno prima era piombato Gandalf a cavallo, si erano radunati tutti gli uomini e le donne abbastanza in forze da poter collaborare. I bambini e gli anziani erano in disparte, oltre il colonnato e dentro gli edifici smembrati, dalle cui finestre li osservavano con interesse. Solo i feriti erano rimasti isolati in un vecchio magazzino, lontano da lì. Bilbo non c'era, ma forse era rimasto nascosto. Gandalf gli aveva consigliato di andarsene, ma Lindaen aveva la sensazione che sarebbe rimasto a Dale fino alla fine.
Tutti i presenti, dal primo all'ultimo, fissavano lei e Bard, in piedi sulla fontana.
C'era il sole, il sole freddo e stanco dell'inverno, e la neve era quasi del tutto scomparsa: solo qua e là, negli angoli più freddi e ombrosi, rimanevano mucchietti di nevischio ghiacciato.
«Tra pochi minuti ci dirigeremo alla Montagna Solitaria», disse Bard a gran voce. «Non sappiamo come si concluderà questa giornata, ma siete stati preparati ad ogni evenienza dai nostri alleati del Reame Boscoso. Vi chiedo di fare attenzione. Niente colpi di testa, niente mosse spavalde».
Lindaen non trovava plausibile che gli uomini che aveva davanti compissero azioni ardite: sembravano spaventati dalle loro stesse armi, alcuni le tenevano in mano in modo così rigido da sembrare scolari in difficoltà.
Tentò di confortarli: «La strategia di Thranduil vi vuole al centro del loro esercito, sarete protetti su ogni lato».
«Proprio così», disse Bard annuendo. «Gli ordini li riceverete da me, da Lindaen o da Mithrandir». Con un gesto indicò lo stregone, in piedi accanto alla fontana e ben visibile con il suo cappello appuntito. «Se in qualsiasi momento avvertirete il desiderio di andarvene, non vi tratterrò».
Invece, qualcuno nella folla gridò: «Non ce ne andremo!».
«Sì, questa città è casa nostra, adesso!», esclamò la voce di Percy.
«Esatto, marito, fatti valere!». Da qualche parte Ilsa cominciò ad applaudire, immediatamente seguita da altre donne. In breve diedero vita a un coro di incoraggiamento.
Bard levò di scatto una mano e tutti tacquero. Non avevano il tempo per grandi manifestazioni di coraggio, non con gli Orchi che forse erano in arrivo.
«Dov'è Marta?», chiese Lindaen a voce alta.
«Sono qua, ragazza!».
Pur non vedendola nella folla, Lindaen udì la sua voce e si rivolse in quella direzione.
«Tutti i bambini, e gli anziani andranno con Marta, Ilsa e le altre donne», ordinò. «Trovate un posto protetto e restate tutti insieme, non lasciate nessuno da solo. Andate».
Si vide un movimento disordinato di coppie che si salutavano, di gonne e grembiuli in agitazione, di teste dai lunghi capelli che si muovevano. Dalle case intorno emersero i ragazzi e gli anziani. Il gruppo si assiepò in modo vago e confuso al di fuori della piazza e presero a sciamare lentamente lungo la via principale, Marta e Ilsa in testa.
Bain, Sigrid e Tilda andarono per ultimi, trattenendosi a guardare nella loro direzione per qualche istante in più. Lindaen si portò una mano alle labbra e con l'altra salutò, consapevole che Bard stava facendo lo stesso. Ricevettero in cambio sorrisi tristi e poi li guardarono andare via.
Infine restarono solo loro, Gandalf e gli uomini armati. Non erano molti, forse un centinaio, ma alcuni erano ragazzi giovanissimi ed altri avevano maneggiato più spesso cordame e canne da pesca che non picche e spade.
«Tutti gli uomini che ieri sono stati armati si radunino alla torre di osservazione», ordinò Bard. «Ci muoviamo».
Lindaen e Bard si portarono in testa al gruppo e percorsero una lunga e tortuosa strada che conduceva alle mura. Lì, non lontano dalla porta di accesso rivolta alla Montagna, c'era la torre più alta ancora in piedi: dall'alto della sua cima si doveva godere di una vista spettacolare, fino al Lago Lungo. Tuttavia nessuno stava in piedi lassù, nessuno voleva guardare le rovine di Esgaroth in fondo alla valle.
Ad attenderli in groppa al suo maestoso cervo bianco, Thranduil era in tenuta da battaglia, come il giorno prima. Splendeva alla luce del sole, freddo, solenne e determinato. Aveva una luce vivace negli occhi, sprezzante e boriosa. Il suo diadema d'argento brillava sul suo capo, il mantello sembrava una colata di gemme preziose e splendeva alla luce del sole.
«Buongiorno», salutò. «Bellissima giornata, non trovate?».
Aspettandosi che Gandalf replicasse con stizza, Lindaen si guardò intorno, ma non c'era traccia dello stregone da nessuna parte. Immaginò che sarebbe saltato fuori quando avesse considerato necessaria la sua presenza.
«Prego, montate». Il re degli Elfi indicò due cavalli legati ad un anello nella parete della torre. «Destrieri delle mie stalle. Faremo sfigurare quel pugno di Nani».
Bard e Lindaen si guardarono di sottecchi: non apprezzavano quell'atteggiamento derisorio di Thranduil, lo rendeva poco vigile e non adatto ad una battaglia. Tuttavia slegarono i cavalli e montarono in sella.
Lindaen accarezzò la criniera del proprio animale: non aveva una passione particolare per i cavalli, li trovava bestie utili e nulla più, ma quelli erano chiaramente di una razza superiore. Sembravano percepire i movimenti delle briglie prima ancora che lei muovesse le mani.
Partirono al passo. Quando uscirono dalla città in testa agli uomini di Dale, Lindaen trattenne il fiato.
Vedere gli Elfi di Thranduil sparsi per la città non le aveva consentito di quantificarli con precisione. Ora poteva vederli in regolari squadroni tutti in formazione, in piedi, in assetto di guerra. Dovevano essere almeno settemila: non credeva che il regno di Thranduil ospitasse tanti sudditi, ma i suoi occhi non mentivano. Settemila Elfi, accecanti nelle loro armature dorate e maestosi nei loro mantelli rossi. Era come osservare un mare d'oro puro.
Percorsero in silenzio la strada che li separava dall'esercito; quando ebbero raggiunto le retrovie, gli Elfi si mossero per farli passare: sembravano conoscere i movimenti a memoria, fu come se un complesso e perfetto meccanismo di orologeria si mettesse in moto davanti a loro. Si spostavano, arretravano e si scambiavano, per poi ritornare al proprio posto non appena l'ultimo degli uomini di Dale li aveva superati.
Vennero inglobati dagli Elfi di Thranduil come un boccone ingoiato da un mostro. Quando giunsero quasi in fondo a quell'oceano di armature ed elmi, Bard diede l'ordine ai propri uomini di arrestarsi. Lindaen controllò la loro posizione: abbastanza vicini da udire i loro ordini, protetti su tutti i lati, ma con scarse possibilità di ritirarsi senza che gli Elfi si facessero da parte. Non un granché, ma non c'era altro modo.
Lei, Bard e Thranduil proseguirono per portarsi in testa all'esercito. Lindaen si sforzò di assumere un aspetto deciso, raddrizzò le spalle e strinse i denti. Era il momento della resa dei conti.
Non aveva davvero pensato al suo incontro con i Nani fino ad allora, ma immaginava che non avrebbero avuto parole gentili per lei. Serrò le dita intorno alle redini.
Quando infine emersero e le prime file di Elfi ebbero ripreso la loro posizione, si costrinse a guardare in alto.
I Nani dovevano aver saccheggiato le antiche armerie: in piedi sulla balconata da cui lei stessa era fuggita, li osservavano da sotto elmi pesanti. Indossavano cotte di maglia e pettorali d'acciaio sopra i cappotti, il che dava loro un aspetto tanto buffo quanto solido e pesante. Più delle loro armi, però, furono i loro sguardi a sorprenderla.
Guardavano i tre cavalieri in avvicinamento con rammarico. Lindaen li studiò uno ad uno: dodici volti bellicosi, sì, ma non iracondi. Non li guardavano con disprezzo. Sembravano combattuti, in lotta con se stessi.
L'unico a osservarli con atteggiamento bilioso era Thorin. Li squadrava con la corona sul capo e lo spesso mantello nero sulle spalle: somigliava a un grosso orso incoronato. Un re dei Nani malvagio. Era ben lontano dal Thorin che aveva conosciuto.
A separarli c'erano cumuli di neve e il torrente bloccato, il ponte distrutto dai Nani stessi per impedire loro di avvicinarsi. Lindaen mantenne lo sguardo saldo, ma dentro di sé provava una grande tristezza.
All'improvviso, prima che il colloquio iniziasse, Thorin raccolse da terra un grosso arco nanico e scagliò verso di loro una freccia, che andò a rimbalzare sul sentiero proprio a pochi centimetri dagli zoccoli del cervo di Thranduil. Bard e Lindaen si volsero di scatto: il re degli Elfi guardò i Nani con occhi sgranati.
«La prossima ve la conficco negli occhi», annunciò Thorin.
I Nani intorno a lui si lanciarono in esclamazioni, cori e grida di battaglia. Thranduil non si scompose, abbozzò un sorriso e sollevò una mano.
Alle loro spalle, le prime due file di Elfi estrassero a loro volta i propri archi e incoccarono le frecce con movimenti fluidi, come un solo uomo, puntando la Montagna senza tirare.
I Nani tacquero di colpo e si abbassarono, riparandosi dietro il parapetto. Solo Thorin restò in piedi: lui e Thranduil si scambiarono sguardi infiammati.
Bard, stanco di quella dimostrazione di forza, guardò il sovrano di Bosco Atro con una certa impazienza. Thranduil ricambiò con un'occhiata divertita, ma con un cenno della mano diede ordine ai suoi di abbassare le armi.
«Siamo venuti a dirvi», fece allora Thranduil con calma, tornando a rivolgersi ai Nani, «che il pagamento del vostro debito è stato offerto e accettato».
Lindaen e Bard guardarono Thorin, studiando la sua reazione.
«Quale pagamento?», chiese il Nano. «Io non vi ho dato nulla. Non avete nulla».
Thranduil, allora, girò il capo verso Bard.
Lui si mosse con lentezza: era chiaro dalla sua espressione che quel piano non gli andava a genio, ma non avevano altra scelta. Infilò la mano nel cappotto ed estrasse l'Arkengemma, sollevandola poi in alto perché tutti la vedessero.
«Abbiamo questa», disse a voce alta.
La pietra brillava ancora più intensamente alla luce del mattino, risplendendo come se lei stessa fosse responsabile del calore del sole. Una piccola stella fredda.
I Nani esplosero, tra lamenti, ruggiti e insulti.
«Ladri!», urlò Kili. «Come avete ottenuto il cimelio della nostra casata? Quella pietra appartiene al re!».
«E il re può averla», disse Bard senza agitarsi, «con la nostra benevolenza».
Fece volteggiare in aria l'Arkengemma e la rimise in tasca, al sicuro tra il cappotto e la cotta. Lindaen poteva solo immaginare cosa provassero i Nani nel vedere un estraneo che maneggiava il loro tesoro più prezioso con la leggerezza con cui avrebbe sballottato una mela.
La loro reazione era prevedibile: urlarono e si arrabbiarono, batterono i pugni sulla pietra del parapetto e sputarono a terra. Ciò che invece la sorprese fu l'espressione di Thorin: non furioso, ma incredulo. La sua mente non riusciva nemmeno a pensare che qualcuno potesse avergli sottratto il suo prezioso cimelio. Li fissava con occhi spiritati, quasi fuori dalle orbite per la sorpresa del loro gesto. Era sconvolto.
«Vi ridaremo l'Arkengemma», continuò Bard, la voce di colpo cavernosa, «ma prima il re deve onorare la sua parola».
Ci fu un attimo di tensione e silenzio. Thorin disse qualcosa ai Nani, sussurrando, in modo che loro non sentissero, ma il suo volto esprimeva al meglio il suo stato d'animo: non credeva a ciò che aveva davanti. Il fatto che l'Arkengemma fosse nelle mani di qualcuno che non fosse lui era per Thorin un'ipotesi così inconcepibile da non poter in alcun modo essere vera.
«L'Arkengemma è in questa Montagna!», gridò alla fine il re dei Nani, guardandoli con rabbia. «È un trucco!».
«N-No, non è, ehm, un trucco», disse una voce sottile, ma perfettamente udibile.
Lindaen sobbalzò e trattenne il fiato; il suo cavallo percepì la sua agitazione e morse il freno scuotendo il muso.
«Bilbo...», mormorò lei.
«Cosa?». La voce di Bard era un sussurro. «Cosa gli è venuto in mente? Tornare lì è un suicidio».
Tutti i Nani si voltarono lentamente verso lo Hobbit, che avanzava verso di loro sulla balconata. Doveva essere svicolato fuori da Dale al mattino, mentre loro si organizzavano ed essere rientrato nella Montagna grazie al suo anello magico, come se non se ne fosse mai andato.
«La gemma è vera», continuò. Non sembrava entusiasta di dover confessare il suo tradimento.
«Questo non era nei piani», disse Lindaen, agitata. Non aveva messo in conto elementi imprevedibili. Certo non si aspettava che Bilbo commettesse una simile imprudenza, ma con il senno di poi era perfettamente in linea con il suo modo di comportarsi: onesto fino in fondo, anche a proprio rischio.
«Gliel'ho data io», proseguì Bilbo.
«Tu...», sibilò Thorin, incredulo.
Lo Hobbit sospirò, le spalle curve sotto il peso delle sue azioni, e replicò: «È la mia quattordicesima parte».
Dopo quelli che a tutti parvero secoli, Thorin parlò di nuovo, la voce bassa e profonda.
«Tu mi deruberesti?».
«Derubarti? No». Bilbo quasi rise quando lo disse. «No, sarò uno scassinatore, ma mi piace pensare di essere onesto». Guardò Thorin con insolita spavalderia. «Sono disposto a lasciare che sia la mia unica pretesa».
Lindaen deglutì, la mascella così serrata da avere male ai denti, ma non si mosse. Un qualsiasi intervento da parte sua avrebbe potuto spingere Thorin ad attaccare Bilbo, non poteva correre rischi.
«La tua unica pretesa», ripeté Thorin. Si abbandonò a un sorriso di scherno e rabbia. «La tua pretesa. Non hai alcuna pretesa su di me, miserabile mezza tacca!». La sua voce si trasformò in un urlo che fece sobbalzare anche i Nani.
«Avevo intenzione di dartela», ammise Bilbo. «Molte volte volevo farlo, ma...».
«Ma cosa, ladro?». La voce di Thorin somigliava sempre più a quella di Smaug, tombale e potente.
«Tu sei cambiato, Thorin!», esclamò Bilbo.
Si stava scavando la fossa da solo. Lindaen sentì un sommesso ghigno provenire dalla gola di Thranduil. Lei e Bard lo guardarono storto, ma non dissero nulla.
«Il Nano che ho conosciuto a Casa Baggins non si sarebbe mai rimangiato la parola», continuò lo Hobbit, «non avrebbe mai dubitato della lealtà dei suoi familiari!».
Thorin cominciò ad avanzare verso di lui lentamente, un passo alla volta, lo sguardo sempre più invasato.
«Tu non venirmi a parlare di lealtà». L'ultima parola venne come sputata fuori dalla sua bocca indignata.
Si guardò intorno, osservando i volti degli altri Nani, ma loro avevano perso ogni animosità. Se poco prima dell'arrivo di Bilbo si erano dimostrati furiosi e pronti a buttarsi su di loro per il furto della loro gemma, ora sembrava che le parole dello Hobbit li avessero fatti riflettere. Perfino Dwalin e Kili, i più sanguigni e iracondi tra loro, avevano gli occhi bassi ed evitavano di guardare il loro re. Balin, in piedi in disparte, sembrava sgomento.
Thorin, non trovando alcun consenso tra i suoi, iniziò ad agitarsi. Era il momento che Lindaen temeva di più: un pazzo, quando si crede incompreso, può commettere i gesti più scellerati e inattesi.
Allora il re della Montagna gridò: «Gettatelo giù dal bastione!».
«No...». Lindaen strattonò le briglie per far avanzare la sua cavalcatura, ma la mano di Bard si serrò intorno al suo polso.
«Aspetta», disse lui.
Tutti parvero fermarsi, come sospesi in una bolla di tensione. Perfino Thranduil ora tratteneva il fiato.
Thorin si infuriò.
«Non mi avete sentito?», urlò, afferrando Fili per un braccio e cercando di trascinarlo verso Bilbo. Il Nano si divincolò a fatica e ritornò al suo posto, guardando suo zio come se non lo conoscesse.
A quel punto, Thorin si diresse verso Bilbo a grandi passi.
«Allora lo farò da solo!».
I Nani si affrettarono a circondare Bilbo per proteggerlo, ma Thorin pareva dotato di ancora più forza del solito. Agguantò lo Hobbit per il bavero del cappotto e lo trascinò al parapetto, sbattendolo contro la pietra e tentando di ribaltarlo giù. I Nani gli furono addosso, riuscendo a trattenerlo, ma non a portarlo via. Per un momento ci fu uno stallo.
Lindaen, la voce tremula, urlò: «Fermati, Thorin! Non stai ragionando!».
Si sentiva impotente, anche più del solito. Era troppo distante, non aveva modo di arrivare lassù abbastanza in fretta da impedirgli di scaraventare giù Bilbo. Le mancava il respiro.
Poi, come spuntato dal terreno stesso, Gandalf comparve alle sue spalle facendosi largo tra gli Elfi e fermandosi a gambe larghe davanti alle loro cavalcature. Il cervo di Thranduil batté il terreno con uno zoccolo, ma non si mosse.
«Se non ti piace il mio scassinatore», disse a voce stentorea, il bastone in una mano e Glamdring nell'altra, «ti prego di non danneggiarlo. Restituiscilo a me».
L'improvvisa comparsa di Gandalf parve lasciare Thorin come tramortito. Non si aspettava di rivederlo, non dopo tutto quel tempo. Sapeva di non poter competere con uno stregone.
«Non stai facendo davvero una splendida figura», continuò Gandalf, «come re sotto la Montagna, dico bene, Thorin figlio di Thrain?».
Le forze di Thorin parvero venire meno e Bilbo ne approfittò per rimettersi in piedi. Lindaen vide Kili e Bofur accorrere da lui e sospingerlo da una parte, verso una fune: la stessa fune che lei aveva usato per fuggire appena il giorno prima. Kili la srotolò e Bofur aiutò Bilbo ad afferrarla.
Lindaen non attese oltre e spronò il proprio cavallo, che superò Gandalf al trotto ed entrò con gli zoccoli nell'acqua fredda e bassa del torrente ormai fermo. Quando Bilbo ebbe percorso tutta la discesa, Lindaen lo afferrò per un braccio e lo aiutò a montare sulla sella davanti a sé.
«Mai più farò accordi con gli stregoni!», ululò Thorin. «Né con i vermi della Contea o con gli Elfi!».
Nessuno rispose. Lindaen strinse Bilbo con un braccio, determinata a tenerlo al sicuro. Tornarono al loro posto senza voltarsi indietro.
«Abbiamo risolto?», chiese alla fine Bard. «La restituzione dell'Arkengemma per ciò che è stato promesso».
Thorin cominciò a lanciare occhiate ad est, verso il sole in ascesa, alle colline brulle che segnavano le pendici dei Colli Ferrosi. Camminò avanti e indietro tra i suoi.
«Perché dovrei ricomprare quello che era mio di diritto?», sbraitò.
A rigor di logica non aveva tutti i torti, rifletté Lindaen, ma anche il denaro per gli uomini del lago e le gemme di Thranduil erano promesse infrante, erano appropriazioni senza diritto. Di quel passo non avrebbero risolto nulla.
«Tieni la pietra», suggerì Thranduil a Bard con un sorriso incoraggiante. «Vendila. Ecthelion di Gondor pagherà una bella somma per quella».
«Vi ammazzo!», urlò Thorin, paonazzo per l'ira. «Vi ammazzo tutti! Lo giuro!».
«Il tuo giuramento non vale niente!», rispose Thranduil.
«Perché Thorin continua a guardare ad est?», mormorò Lindaen. Bard e Gandalf le lanciarono uno sguardo, poi si voltarono anch'essi verso i Colli Ferrosi. Non c'era nessuno, ma il re dei Nani continuava a osservare speranzoso quelle terre.
Poco interessato, Thranduil si raddrizzò in groppa al cervo.
«Ho sentito abbastanza», decise.
«Un momento», lo pregò Gandalf.
Il re elfico lo ignorò e cominciò a sbraitare ordini: «Uthed noi failas!», gridò, e i suoi Elfi, tutti quanti questa volta, ripresero in mano gli archi e incoccarono. Settemila frecce furono puntate contro i tredici Nani arroccati a Erebor.
«Thorin!». Gandalf batté il bastone a terra. «Deponi le armi! Apri le porte, o questo tesoro comporterà la tua morte!».
Lindaen avvertì Bilbo fremere a quella profezia nefasta. Guardando in alto, videro Balin avvicinarsi a Thorin e bisbigliare qualcosa al suo orecchio. Il re della Montagna era incerto, non sapeva cosa fare: combattere voleva dire morire e condannare i propri Nani, ma arrendersi sembrava un'ipotesi da non considerare nemmeno.
«Dacci la tua risposta», incalzò Bard, ormai esausto di quella conversazione. «Avrai pace o guerra?».
Thorin appoggiò le mani al parapetto, sospirando. Lindaen si morse il labbro: stava per arrendersi.
Poi un corvo planò su di loro e si appollaiò su uno spuntone di pietra proprio accanto alla testa del re dei Nani. Lui guardò l'animale con stupore, poi con gioia.
«Avrò guerra!», tuonò.
Guardò di nuovo ad est e Lindaen si voltò seguendo i suoi occhi. Come lei, anche Gandalf, Bard, Bilbo e Thranduil si voltarono verso le colline.
Allora, tutti loro cominciarono a nutrire dei dubbi sull'esito di quella giornata. Spiegati lungo le curve delle colline, centinaia di Nani armati fino ai denti si muovevano in formazione, in silenzio; erano arrivati non visti, mentre Thorin parlava con loro e tratteneva la loro attenzione su di sé.
Un Nano in groppa ad un grosso caprone da guerra aveva ancora il braccio sollevato per far spiccare il volo al suo corvo. Portava sul capo una corona di ferro ed osso e aveva la barba decorata in modo regale. Assicurata alla schiena aveva un'ascia enorme. Sarebbe stata una buffa visione, così bardato di tutto punto in groppa a un caprone, ma Lindaen sapeva bene che non era saggio ridere di Dain Piediferro.
L'esercito nanico si arrestò di colpo: con loro portavano catapulte, grandi lance del vento caricate su carri e altre armi pesanti. Solo Dain continuò ad avanzare.
«Hey, Thorin!», lo salutò urlando.
Alla loro vista, i Nani di Erebor cominciarono ad esultare, intravedendo uno spiraglio di vittoria. Si udì la voce di Bofur che sovrastava le altre: «È arrivato Piediferro!».
Thranduil fece voltare in fretta il suo cervo e cavalcò tra i suoi soldati, per portarsi sul fianco destro delle sue forze e comandarlo contro i Nani.
«Andiamo, Bard», disse Lindaen.
Gandalf montò dietro l'uomo del lago e partirono al seguito di Thranduil, mentre gli Elfi cominciavano ad eseguire le manovre per voltarsi e avanzavano compatti verso i nemici.
«Quello chi è?», chiese Bilbo. Anche Bard le lanciò uno sguardo interrogativo.
«Dain II Piediferro», spiegò Lindaen. «Signore dei Colli Ferrosi e cugino di Thorin».
«Si somigliano?», chiese Bard.
Gandalf rispose con una certa ironia nella voce: «Ho sempre trovato Thorin il più ragionevole dei due».
Raggiunsero la testa dell'esercito. Con un certo sgomento, Lindaen notò che cambiando formazione gli Elfi avevano spinto gli uomini di Dale in prima linea, proteggendoli solo su tre lati. Tutto era così inaspettato che non c'era tempo di organizzarsi in altra maniera.
Affiancarono Thranduil e Gandalf balzò a terra. Bilbo scalciò e si agitò finché Lindaen non gli diede una mano a smontare, poi lo Hobbit raggiunse lo stregone. Lindaen non si oppose: sarebbe stato molto più al sicuro con Gandalf che con lei. Dietro di loro, gli uomini di Dale avevano impugnato le loro lance e le tenevano puntate verso i Nani, proprio come era stato loro insegnato, ma tremavano sotto il loro peso. Una carica nanica li avrebbe dispersi in meno di un minuto.
Dain continuò ad avanzare trotterellando sul suo caprone con allegria e tranquillità. Si arrestò a pochi metri da loro, da solo, come a voler gridare al mondo che un mucchio di Elfi non lo avrebbe mai messo in fuga.
«Buongiorno!», salutò. «Come andiamo, tutti?».
Nessuno rispose. Thranduil, accanto a loro, lo guardava fisso e senza emozione.
«Ho una piccola proposta», continuò Dain, «se non vi dispiace concedermi qualche momento del vostro tempo. Potreste considerare... di andarvene in malora?».
L'ultima frase, gridata con rabbia, ebbe l'effetto desiderato solo sugli uomini di Dale, che tentarono di indietreggiare, ma gli Elfi intorno a loro non si mossero di un passo e così furono costretti a restare dov'erano.
«Sì, tutti voi!», insistette Dain. «Proprio ora!».
Bard, la spada in pugno, urlò: «Non reagite!».
Percy, proprio alle spalle di Lindaen, emise un sospiro sconsolato e come lui molti altri.
Deluso di non aver messo in fuga nessuno, il re dei Colli Ferrosi sbuffò.
«Oh, avanti», tuonò Gandalf, «mio signore Dain».
«Gandalf il Grigio!», fece lui. «Di' a questa marmaglia di andarsene, o annaffierò il terreno con il loro sangue!».
«Per tutte le trote del lago», pigolò un ragazzo di Dale.
Gandalf, tutto offeso per aver ricevuto un ordine da un Nano, avanzò a larghi passi, il cappello appuntito che ondeggiava ad ogni movimento.
«Non c'è bisogno di una guerra tra Nani, uomini ed Elfi!», esclamò. «Una legione di Orchi giace sulla Montagna! Sono in arrivo! Ritira la tua armata».
«Non mi ritirerò davanti a un Elfo qualsiasi», rispose Dain sprezzante, guardando Thranduil con sfida. «Tanto meno questo indifferente folletto dei boschi! Non desidera altro che sfortuna per il mio popolo. Se sceglie di mettersi fra me e i miei familiari, gli spacco quella testolina in due!».
Lindaen guardò Thranduil. Sorrideva: finalmente aveva davanti un Nano che lo sfidava con un vero esercito. A giudicare dal suo sguardo, non aspettava altro.
«Vediamo se dopo ghigna ancora», sbottò Dain.
Fece voltare il caprone e galoppò alla massima velocità consentita verso i suoi soldati.
«Hey, aspetta!», urlò Gandalf.
«Che avanzino!», lo sfidò Thranduil. «Vediamo fin dove arrivano!».
Senza smettere di allontanarsi, Dain fece risuonare la sua voce nella piana: «Credi che mi importi un cane morto delle tue minacce, principessa dalle orecchie appuntite?».
Ora adirato per l'insulto, Thranduil divenne ancora più pallido del solito. Cominciò a dare ordini ai suoi, mentre in cima alle colline Dain faceva la stessa cosa con i propri Nani.
Poi, Thranduil si rivolse a Bard: «Fa' ritirare i tuoi uomini, ci penso io a Piediferro e alla sua marmaglia».
Bard rimase a fissare il re degli Elfi cavalcare alla testa del suo esercito, che si limitò a fluire intorno agli uomini di Dale come fossero un ostacolo naturale.
«Tutti voi!», gridò allora facendo voltare il cavallo. «Arretrate, raggiungete le retrovie!».
In maniera sorprendentemente ordinata, il manipolo di uomini si voltò e cominciò a procedere in senso contrario rispetto agli Elfi, portandosi sulle retrovie dell'esercito di Bosco Atro. Quando ebbero raggiunto la loro nuova posizione, si fermarono.
Lindaen e Bard restarono con loro, rimanendo ad osservare il campo di battaglia. Gli Elfi avevano di nuovo gli archi in mano, immobili come se le loro armi non avessero peso, mentre dalle schiere di Piediferro erano emerse altre capre, cavalcate da Nani armati di lance.
«Thranduil!». La voce di Gandalf risuonò da chissà dove. «Questa è una pazzia!».
«Leitho!», ordinò il sovrano elfico, ignorandolo.
Tutti i soldati scoccarono le proprie frecce. Erano in controluce e perfino gli occhi di Lindaen non riuscirono a distinguerle in volo, ma tutti le udirono sibilare nell'aria, pronte a uccidere i Nani a decine.
Da lontano, anche Dain diede un ordine.
Accadde qualcosa che Lindaen non aveva mai visto. Da oltre le prime file dell'esercito nanico, molto lontane dalla cavalleria caprina in avvicinamento, vennero scagliate grazie alle lance del vento delle specie di lunghe armi rotanti. Lindaen non avrebbe saputo dire cosa fossero, ma vorticavano in aria come trottole. Quando incontrarono le frecce elfiche, in alto nel cielo, le sminuzzarono come fossero fatte di carta, vanificando l'attacco di Thranduil.
Tuttavia le armi dei Nani non si arrestarono: proseguirono compiendo un semicerchio sulle loro teste e, quando atterrarono in mezzo alle forze del Reame Boscoso, falciarono gli Elfi a manciate. Un rumore sinistro di armature spaccate e di carne trafitta di propagò insieme al tonfo delle armi naniche. Polvere, terriccio e detriti si sollevarono e atterrarono di nuovo.
Lindaen si sollevò sulle staffe, scossa.
Era la sua gente. Per quanto Thranduil fosse un re dalla mente chiusa, egoista e iracondo, quelli erano Elfi come lei. Lindaen deglutì. Erano appena morti senza neanche sapere il nome della cosa che li aveva uccisi.
Di rado gli Elfi muoiono. Le malattie difficilmente li uccidono, solo le armi o la loro stessa volontà sono in grado di portarli alla morte. Era qualcosa di assurdo...
«Non si doveva arrivare a tanto!», sbottò Bard. «In quanti sono morti?».
«Sono nelle Aule di Mandos, adesso...», mormorò Lindaen. La sua voce era bassa, non la percepiva come propria. Le sembrava quasi che venisse da fuori di sé, perché come poteva trovare la forza di parlare in un momento simile?
Thranduil ordinò di scoccare altre frecce e di nuovo i Nani risposero con quelle strane armi piroettanti.
Lindaen questa volta non ebbe la forza di guardare e si voltò verso Dale, ma i suoni di morte e devastazione la raggiunsero ugualmente. Si sentiva fragile. Spesso le era stato detto che gli Elfi portano con sé una debolezza che gli uomini non hanno. Sapeva benissimo cosa fosse: il confronto con la morte.
Non c'era più tempo per altre frecce, la cavalleria di Piediferro era quasi addosso agli Elfi, che cambiarono la propria formazione per portare in prima linea gli armati di scudi e lance. L'impatto, quando avvenne, emise un suono secco, metallo contro metallo.
Molti Nani furono abbattuti dalle lance elfiche, ma altri riuscirono grazie ai balzi delle loro capre a scavalcare quelle prime linee e a piombare nel mezzo dell'esercito: doveva essere una tattica nanica nota, perché Thranduil non dovette nemmeno dare ordini che i suoi stavano già adeguandosi agli eventi: invece di attaccare subito i Nani si allargarono come grosse ali, lasciando loro uno spazio aperto intorno, e così li circondarono con spade, lance, scudi e frecce, picche e pugnali. La cavalleria di Dain non sarebbe andata da nessuna parte.
La lotta iniziò.
Poi Lindaen non riuscì più a distinguere niente. C'era polvere che si levava da terra, scudi ed elmi di entrambe le fazioni che volavano via, grida di battaglia e di dolore, uniti ad un assembramento di corpi che si accalcavano gli uni sugli altri.
«Spero che il tuo amico stregone abbia portato il Mezzuomo in salvo», commentò Bard, nervoso.
Lindaen annuì.
«Gandalf è saggio. Avrà portato Bilbo al sicuro».
Alle loro spalle gli uomini di Dale erano taciturni: osservavano la battaglia come rapiti. Sembravano aver dimenticato di trovarsi in pericolo, erano troppo concentrati nell'osservare. Non avevano mai visto nulla di simile, probabilmente.
Poi qualcosa fece tremare la terra: una, due, tre volte. Un sordo rumore di roccia e terreno si diffuse tra loro, sovrastando il fragore dei soldati e il clangore delle armi. Molti dei combattenti si arrestarono. Perfino Thranduil e Dain smisero di urlare ordini. Anche gli ultimi soldati si fermarono, attoniti. Calò il silenzio, rotto solo da quel rumore sinistro.
«Un altro drago!», esclamò qualcuno degli uomini di Dale.
«Non è un drago». Lindaen si sforzò di non apparire spaventata, ma era difficile mentire. Solo un'altra volta aveva udito lo stesso suono e non era finita affatto bene.
«Cos'è?», esclamò Bard. «Lindaen, cosa senti? È un terremoto?».
Il suono non era un terremoto: prima che Smaug attaccasse Pontelagolungo, il suoi movimenti dentro la roccia della Montagna avevano causato scosse e tremori, ma questo era diverso. Era un suono di mandibole e denti. Il mondo scricchiolava come se qualcuno lo divorasse.
«Sono i Mangiaterra», rispose Lindaen.
Come se quel nome li avesse evocati, dai Colli Ferrosi alle spalle dei Nani provennero delle esplosioni di terra e pietra: qualcosa aveva sfondato la superficie dall'interno. I soldati smisero di combattere, uomini, Elfi e Nani guardarono a est.
Enormi e orrendi, i Mangiaterra emersero. Erano simili a vermi, ma erano giganteschi. Una sola di quelle creature avrebbe potuto divorare una decina di uomini in un unico boccone. Erano ciechi e pallidi per via della loro abitudine di vivere nel terreno ed una delle estremità, la loro testa, era una gigantesca bocca colma di grossi denti, smussati e sbeccati ma in grado di staccare massi enormi dalle montagne.
Tuttavia non attaccarono. Una volta scavati i solchi che dalle profondità dei Colli sbucavano a breve distanza dalla battaglia, si ritirarono nuovamente nella terra, sparendo alla vista con un suono di risucchio.
C'era solo un motivo per una simile azione.
«Gli Orchi», intuì Lindaen. «Sono qui».
Fu allora, nel silenzio che seguì la scomparsa dei Mangiaterra, che udirono il suono di un corno. Tutti si voltarono ad ovest della Montagna e rimasero senza fiato.
Mentre loro erano impegnati a combattersi l'un l'altro, una manciata di Orchi, non vista, aveva raggiunto una sommità chiamata Collecorvo e ne aveva preso il controllo. Da lassù avevano osservato la battaglia, in attesa del momento giusto, e nessuno di loro se ne era accorto. Da quanto li studiavano?
Lindaen strinse gli occhi e aguzzò la vista.
«Quello è Azog il Profanatore», lo riconobbe. «Bard, non possiamo restare qui, dobbiamo...».
Un secondo corno squarciò l'aria, interrompendola. Era l'ordine: dai solchi creati dai Mangiaterra cominciarono a sciamare file di Orchi urlanti. Sembrava che il terreno stesse ributtando fuori la peggior feccia della terra dalle sue profondità.
«Le orde dell'inferno sono su di noi!», urlò Dain Piediferro dal centro del campo. «Facciamo vedere a quella massa fetida chi è che comanda qui!».
I Nani abbandonarono la lotta con gli Elfi e cominciarono a correre incontro agli Orchi, ancora lontani. Thranduil non diede alcun ordine e i suoi restarono dove si trovavano.
Gli Orchi emersi dai vari tunnel si incontrarono e si unirono, formando una compatta massa nera di soldati armati e urlanti. Lindaen sentiva gli uomini scalpitare alle sue spalle: volevano andarsene.
I nemici erano migliaia: i Nani di Piediferro non avrebbero retto il confronto, erano meno di un quarto delle forze orchesche. Se Thranduil non fosse intervenuto, sarebbero stati distrutti.
Se conosco Thranduil, pensò Lindaen con sgomento, lascerà che i Nani e gli Orchi si scannino tra loro e poi combatterà quelli che rimangono.
Era una prospettiva tremenda, ma Thranduil non era un re misericordioso.
I Nani si arrestarono laddove il terreno lo permetteva: formarono un muro di scudi compatto, intervallato da lance tese, ma avrebbe fatto ben poca differenza.
Poi Thranduil diede l'ordine.
Migliaia di Elfi con i loro piedi veloci corsero alle spalle dei Nani e, proprio quando gli Orchi stavano per abbattersi sul muro come un ariete, balzarono a sorpresa oltre gli scudi. Perfino i Nani non li avevano sentiti arrivare. Gli Orchi furono colti completamente alla sprovvista. Una fila alla volta, ogni Elfo superò la barriera dei Nani e prese a combattere con spade e lunghi pugnali. Allora, i Nani si riorganizzarono e ingaggiarono un combattimento intenso.
Alle spalle degli Orchi cominciarono a emergere dal suolo dei grossi Troll, tutti armati e inebetiti dalle torture e dalle droghe; alcuni Orchi li guidavano da una sella sulle loro spalle e li usavano come catapulte e arieti di sfondamento. In risposta, i Nani fecero avanzare i loro carri, le armi e l'artiglieria pesante.
Dall'alto di Collecorvo, Azog e i suoi davano ordini usando i corni da guerra, suonando più volte usando un codice.
Fu dopo un prolungato suono acuto che una parte dell'esercito nemico si staccò dal gruppo principale: Orchi e Troll cominciarono ad avanzare verso Dale a passo di marcia, ordinati per soddisfare il loro comandante.
La città, senza di loro, era indifesa.
«Ritirarsi a Dale!», ordinò Bard. «Subito!».
Lui e Lindaen si misero in testa e galopparono alla massima velocità. Dietro di loro, gli uomini del lago correvano. Il pensiero delle loro famiglie nascoste e indifese fece tenere loro una velocità e una costanza che difficilmente dei reduci da un attacco di un drago avrebbero potuto avere.
«Catapulte!», urlò Lindaen.
Alle loro spalle, alcuni Troll con catapulte sulla schiena scagliarono grossi massi verso le mura di Dale. Alcuni pietroni non riuscirono a raggiungere la città, ma altri riuscirono a sfondare le merlature e la sommità di alcune torri, piombando in città con tutto il loro peso.
C'erano donne, bambini, anziani e feriti dentro le mura. Non c'erano soldati, solo civili. Lindaen spronò il cavallo ancora di più, dovevano arrivare prima degli Orchi.
Lei e Bard raggiunsero il lungo ponte sul fiume nel momento in cui un grosso Troll, con in testa una specie di elmo di pietra, raggiungeva le mura difensive. Senza arrestare la propria corsa, si gettò di testa contro la cinta: cadde immediatamente, svenuto o morto per l'impatto, ma riuscì ad aprire una breccia. Allora gli Orchi presero a correre, ansiosi di entrare in città e uccidere.
Non appena ebbero varcato la porta d'entrata, Lindaen e Bard raggiunsero la piazza davanti al palazzo di Girion e si gettarono giù dai loro animali.
Intorno a loro c'era il delirio: la gente urlava e scappava di corsa. La maggior parte dei superstiti di Esgaroth erano rimasti in città quella mattina ed ora si riversavano nelle strade nella confusione più totale. La parte orientale della città doveva essere stata invasa.
Bard sguainò la spada, Lindaen i propri pugnali, e cominciarono a correre in direzione opposta rispetto ai fuggitivi. C'erano donne e vecchi, pochi bambini e nessuno dei feriti. Ciascuno fuggiva pensando per sé, sprofondato nel panico e nella paura.
Ovunque la gente urlava.
«I miei figli?», gridava Bard ai passanti. «Dove sono i miei figli?».
«Tilda! Sigrid!», urlava Lindaen. «Bain!».
Una donna di mezza età, imbacuccata in strati e strati di abiti, caracollò al loro fianco.
«Io li ho visti!», disse senza fermarsi. «Erano giù al vecchio mercato!».
Lindaen e Bard si scapicollarono in quella direzione, ma avevano svoltato appena un paio di volte nelle strade quando vennero quasi travolti da un gruppo degli uomini armati di Dale. Percy, la spada in mano e il volto congestionato per l'emozione e il freddo, era in testa.
«Bard!», esclamò fermandosi di colpo. Tutti gli altri si rimbalzarono addosso l'un l'altro per l'arresto improvviso. «Gli Orchi attaccano sulla strada rialzata!».
Bard si guardò intorno con frenesia, alla ricerca di una soluzione, ma non c'erano scorciatoie, potevano solo combattere.
«Porta gli arcieri al parapetto est», decise infine. «Trattienili fin quando puoi!».
Percy sollevò la spada, che si sbilanciò e rischiò di cadergli di mano, ma lui era spavaldo e carico di adrenalina.
«Arcieri, da questa parte!», strepitò lanciandosi nella direzione da cui era venuto. Una parte degli uomini lo seguì correndo come forsennati.
Lindaen e Bard ripresero la corsa verso il mercato vecchio, seguiti da chi non aveva fatto dietro front con Percy. L'aria era di nuovo gelida e stava riprendendo a nevicare, fiocchi molto più piccoli del giorno precedente, ma anche molto più decisi a restare ancorati al terreno.
Un uomo giovane con una gamba ferita si trascinò su per un vicolo più velocemente che poteva e si aggrappò a Bard quando li vide.
«Tornate indietro, tornate indietro!», gridò.
«Perché?», chiese Lindaen. Sentiva la punta delle orecchie rossa e calda per l'agitazione.
«Hanno preso Via delle Pietre», fece lui gesticolando. «Il mercato è invaso!». Senza aspettare una risposta riprese a barcollare verso la salvezza.
Bard sbiancò e Lindaen sentì un sapore acre in bocca. Si guardarono per un attimo. Se il mercato era invaso... Era troppo sperare che fossero fuggiti in tempo?
«Tutti voi!», esclamò Bard. «Seguitemi!».
Si misero tutti a correre di nuovo. Cominciavano a sentire un suono sempre più forte, come di decine di piedi pesanti che pestavano il terreno. Lindaen non aveva dubbi: erano Orchi, alti, grossi e pesanti, soldati corazzati e armati di picche e lame affilate. Gli uomini di Dale non avevano la loro preparazione né il loro equipaggiamento, ma avevano la determinazione di chi sa che con la propria vita può salvare quella delle persone amate.
Svoltarono per le vie secondarie per permettere a chi fuggiva di percorrere la strada più veloce e, infine, emersero in una piazza più ampia. Come ebbero girato l'angolo, si scontrarono con i nemici.


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