Capitolo 19

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31 dicembre...

È passata una settimana da quando Jason mi ha lasciato, dall'ultimo lavoro assegnatomi da Scott, da quando quella strana idea si è insinuata nella mia malvagia e insana mente.
Ci ho riflettuto tanto, ho pensato a tutti i possibili pro e contro e alla fine l'ho attuata.
Quel piccolo bagliore, quella piccola luce in fondo al tunnel si è trasformata nella mia salvezza.
Stasera sarà la svolta, non si può più tornare indietro. Ormai la decisone è stata presa, non c'è più via di fuga.
Sono stata risucchiata da un vortice chiamato mafia all'età di quattordici anni, ma sono stata nuovamente risucchiata in un vortice ancora più potente chiamato amore.
Avete capito bene: mi sono innamorata, mi sono innamorata di qualcosa di molto più grande di me, di qualcosa di molto più potente di me.
E l'amore è una brutta bestia, l'amore ti spiazza, ti fa provare cose nuove e terrificanti allo stesso tempo.
Ti senti impotente davanti a lei, non puoi sconfiggerla. Puoi solo assecondarla.
Puoi solo arrenderti alla sua forza, puoi solo inginocchiarti davanti alla sua magnificenza.
E lei ti porta prigioniera, ti rinchiude in un buco nero pieno di altre bestie più piccole, ma non meno spietate chiamate "sentimenti".
I sentimenti sono la causa della debolezza dell'uomo, i sentimenti sono il motivo dei tipici sbalzi d'umore, del sorriso ebete che si appropria delle labbra della vittima.
I sentimenti mi stanno distruggendo, i sentimenti mi stanno rendendo debole, dolce, vulnerabile...
I sentimenti mi stanno portando verso la follia e lei mi accoglie abbraccia aperte.
La follia, la pazzia è complice dell'amore, lavora per lei. La follia è crudele, è fredda con le sue vittime. Ecco perché va tanto d'accordo con l'amore: sono simili.
Sono come la neve e il gelo.
Sono come il lampo e il tuono.
Sono come il fuoco e la benzina: esplosive.
Uno scoppio, un rumore sordo e al suo seguito la sua conseguenza, come un rullare di tamburi.
Un nome, due sillabe, cinque lettere.
Un concetto che mi tormenta, un volto protagonista di ogni mio pensiero, ogni mio sogno. Degli occhi, un colore così intenso, così chiaro...
Jason. Jason. Jason.
Il martellare ritmico di un picchio.
Jason. Jason. Jason.
I conti lineari di un tango.
Jason. Jason. Jason.
Degli occhi color cioccolato che popolano la mia mente.
Non riesco a dimenticarlo, non riesco a smettere di pensare a lui.
È più forte di me, mi ha catturato.
Ha dimostrato di potermi sconfiggere, mi tiene in pugno. La mia sanità mentale dipende da lui.
Delle sere sento che anche solo la sua lontananza potrebbe portarmi sul baratro tra normalità e follia.
E questo mi spaventa. Esatto, avete capito bene: sono spaventata.
La grande Shira, la temibile criminale, la futura padrona di San Francisco e di gran parte degli affari della California ha paura. Ha paura di innamorarsi, di donare anima e corpo ad un ragazzo, di rimanerne delusa, di soffrirne e di chiudersi di conseguenza sotto una lastra di ghiaccio ancor più spessa.
Una delle cose più semplici al mondo, uno dei sentimenti più ricercati dall'umanità mi spaventa.
L'amore, anche solo la parola mi provoca i brividi, ma poi il suo viso, quegli occhi color cioccolato appaiono e si fanno largo tra i miei pensieri. E subito una pace interiore, una tranquillità immensa si appropria del mio essere.
Socchiudo gli occhi e mi godo questa sicurezza che tanto ho atteso, una sicurezza che presto se ne andrà, che presto mi abbandonerà. È lascerà posto all'ansia, alla paura, all'insicurezza.
E l'insicurezza è il mio peggior nemico, l'unica cosa che può bloccarmi.
Sono sempre stata una ragazza coraggiosa, non ho mai avuto motivo di preoccuparmi.
Fino a poco tempo fa potevo compiere azioni senza risentirne del benché minimo senso di colpa. Ora invece non ci riesco più.
Mi sono rammollita, Jason mi ha rammollita. Ma amo il modo in cui l'ha fatto.
Amo il modo in cui riesce a comunicarmi i suoi pensieri con un solo sguardo, amo il modo in cui mi rimprovera quando sbaglio. Amo il modo in cui tenta di calmarmi quando vengo insultata o umiliata e l'adrenalina si insinua nelle mie vene, la voglia di rispondere, di rendere giustizia.
È strano per una come me parlare di giustizia, una ladra, una persona che sottrae ingiustamente denaro e oggetti preziosi ad altri.
È strano per una come me parlare anche di amore. All'inizio non credevo fosse questo tipo di sentimento. All'inizio credevo fosse solo gelosia, poi ho cominciato a provare veri sentimenti per lui. Ho cominciato a godere della sua compagna e piano piano mi sono innamorata del suo carattere, dei suoi pregi e dei suoi difetti.
Mi sono innamorata del fatto che sia bipolare, che cambi umore da un momento all'altro, che alle volte si chiuda in sé stesso. Mi sono innamorata del suo essere dolce, sensibile e romantico, ma anche severo, responsabile e maturo allo stesso tempo.
Non gli ho mai detto ciò che provo, non mi sono mai osata. Non ho mai pensato di confessargli i miei sentimenti e soprattutto nell'ultima settimana. Dopo la nostra litigata, non mi ha più cercata e neanche io l'ho fatto. Non andando a scuola non ho più avuto la possibilità di incontrarlo, ma l'ho visto al campo da basket con Zac, Samuel, Luis e Dylan. Ho chiesto a quest'ultimo come stava Jason e lui mi ha detto che non è proprio in forma. Mi ha riferito delle volte che devono trascinarlo giù dal letto per farlo uscire un po', mi ha riferito delle sere che passa in discoteca senza proferir parola. Mi ha anche detto che non si ubriaca, ma che tenta di dimenticarmi. Ovviamente ha omesso il fatto che per dimenticarmi utilizzi altre ragazze, ma non ho voluto indagare oltre.
Possibile che una semplice litigata lo riduca così?
Possibile che per ogni piccolo mio errore lui vada a "divertirsi"?
Possibile che abbia così tanto potere sui suoi sentimenti?
Non voglio più vederlo soffrire, non voglio più essere la causa di tutto ciò.
Sapete: è facile dare la colpa al mio carattere, è facile dare la colpa alle mie circostanze, è facile dare la colpa a Scott. Ma non è così semplice e scontato invece rendersi conto che noi siamo la causa della maggior parte dei nostri problemi. Noi decidiamo, noi siamo gli unici artefici del nostro destino. Non c'è nessun fato, non esiste nessuna forza superiore che decide cosa è meglio per noi e cosa non lo è.
Le decisioni le prendiamo noi, noi abbiamo le piene responsabilità delle nostre azioni.
Mi sono resa conto di tutto ciò troppo tardi: al posto di chiedere veramente aiuto, ho dato la colpa della mia solitudine a Scott, a Noah, a mio padre...
Quante volte ho ripetuto l'espressione 'Se solo'.
Se solo non avessi mai incontrato Jason.
Se solo non mi fossi innamorata dei suoi occhi color cioccolato.
Se solo non avessi mai incontrato Mary e John.
Se solo non fossi entrata in contatto con Scott.
Se solo non fossi entrata in contatto con la sua gang.
Se solo non avessi derubato la mia prima villa.
Se solo Noah non mi avesse detto di mio padre.
Se solo non avessi rischiato tutto per lui.
Se solo non me ne fossi andata da quell'orfanotrofio.
Se solo i miei genitori non mi avessero abbandonato.
Se solo non fossi nata in una famiglia criminale.
Se solo non fossi mai nata.
Non ho mai amato commiserarmi, non ho mai amato piangermi addosso. Non l'ho mai fatto solo perché penso che sia una perdita di tempo: al posto di rimuginare su ciò che è successo, sul proprio passato, bisognerebbe agire per cambiare il proprio futuro.
Non ho mai neanche amato rimanere tanto sola con i miei pensieri.
Ma nell'ultima settimana ho dovuto farlo, ho dovuto riflettere molto e mi sono ritrovata a domandarmi come fossi arrivata fin qui.
Chissà se i miei ne sarebbero fieri? Chissà se loro sarebbe orgogliosi di ciò che sto facendo per la nostra famiglia.
Mentre rifletto su queste cose il mio cellulare comincia a squillare incessantemente. Lo ignoro per qualche secondo, ma poi sono costretta a rispondere.
"Che vuoi?" Chiedo maleducatamente senza neanche leggere il nome sul display.
"Ti stanno cercando." La voce di Scott mi sembra preoccupata, è questo è strano.
"Chi? La polizia?" Chiedo confusa.
"No, alcuni scagnozzi di Farewell, ti ricordi? Quella volta a Los Angeles, hai derubato le casse della GDLA e poi ho fatto uccidere il loro capo, ricordi? Abbiamo bruciato il suo cadavere, Shira, cerca di seguirmi." Mi sgrida cercando di farmi ricordare.
"Sì, ci sono." Lo rassicuro aspettando impazientemente ciò che ha da dirmi.
"Bene, sono risaliti a te. Ti danno la caccia, Shira."
Quelle parole mi spiazzano, ma non mi faccio prendere dal panico.
"Cosa sanno?" Chiedo con un fil di voce.
"Che abiti in California."
"E poi?" Chiedo nervosamente.
"Nient'altro. Non sanno ancora dove. Devi andartene da lì, immediatamente." Comanda.
"Ma come? Ti ricordo che sono in una casa famiglia, Scott. Non posso prendere e andarmene quando mi pare. E poi sono controllata, ma cosa ti sei fumato stamattina, eh?" Urlo arrabbiandomi.
"Non urlare e ascoltami. Posso farti scappare in qualche mese..." dice vago.
"Ho bisogno che tu sia preciso." Ordino decisa.
"Non lo so, data la tua situazione, calcolando i tempi del tribunale..."
"Tribunale?"
"Sì, dobbiamo testimoniare che i tuoi tutori sono inadatti."
"E come pensi di farcela, sentiamo. Scott, Mary e John sono fin troppo bravi. Sfido qualunque tuo sporco avvocato a trovare anche un solo difetto nella loro famiglia." Lo avviso.
Conosco bene la casa nella quale sono capitata, ho cercato di trovare in loro qualche pecca, qualche difetto, un qualsiasi loro errore. Ma non ne hanno.
Se la perfezione non esiste, beh, il loro matrimonio è un argomento a sfavore di questa tesi.
"Se le cose stanno davvero come dici, allora... non sarai fuori di lì prima di giugno." Calcola.
"Che cosa?" Urlo furiosa.
"Ti ho detto di non urlare."
"Giugno? Allora perché non inviar loro indirizzo civico con tanto di gps, eh?" Dico senza nemmeno badare alla sua risposta.
"Lo so, ma non è colpa mia se questi Mary e John sono tanto buoni e bravi. Shira, sto cercando di aiutarti."
"Sono sei mesi, sei mesi durante i quali quelli della DGLA avranno modo di trovarmi, pianificare la mia morte e farmi fuori."
"Non so che dirti, non so davvero da dove iniziare."
"Ti do io una mano: inizia col cercarmi un eccellente avvocato, dopodiché informalo su ogni cosa e poi passami il suo contatto." Ordino autoritaria.
"Mi dovrai pagare per tutto ciò, lo sai?" Mi chiede e posso scommettere che stia sorridendo beffardo in questo momento.
Gli chiudo la telefonata in faccia.
Mi porto le mani ai capelli, trattengo le pure tra le mie dita e le tiro fino a farmi male. Come è possibile? Come faccio a fuggir loro?
Tante domande si insinuano nella mia mente e tante paure le accompagnano.
Devo trovare il modo di andarmene il più in fretta possibile: non posso contare su Scott e sul suo lento avvocato. Me la devo cavare da sola.
Bene, per prima cosa devo capire come racimolare più soldi possibile: il mio piano consiste nel lavorare il triplo di quanto lavori adesso, guadagnarmi i soldi che mi mancano, sostenere un esame anticipato, liberare mio padre, scappare insieme a lui e andarcene il più lontano possibile da qui.
Non mi è mai piaciuto fuggire dai miei problemi e se c'è una lezione che ho imparato nei miei primi due anni e mezzo di vita è quella di affrontare sempre le proprie paure e i propri problemi. Non è solo questione di onore, ma anche di rafforzamento del carattere e dell'arricchimento del bagaglio di esperienze che ognuno di noi si porta con sé.
Ma questa volta è diverso: non posso prepararmi ad affrontarli e sperare di farla franca. I DGLA sono una delle gang più potenti sul piano militare ed economico dei quartieri più pericolosi di Los Angeles. Hanno magazzini che straboccano di armi, i loro membri sono molto addestrati e le loro tattiche sono infallibili.
Quella volta, a Los Angeles, quando Scott uccise il loro ex capo, non era premeditato: le nostre intenzioni erano quelle di accordarci per un colpo veramente importante, ma lui non voleva scendere a compromessi. Così Scott mi ordinò di derubarlo, poi, a mia insaputa, lo uccise e mi costrinse ad aiutarlo a sbarazzarsi del suo corpo, bruciandolo.
Io non volevo che le cose andassero a finire così, ma Scott non voleva sentire ragioni.
Ho semplicemente eseguito gli ordini, ho semplicemente obbedito contro la mia volontà.
Ma ora loro sono risaliti a me: non so come, non so perché, ma ci sono riusciti. Adesso non sono solo io ad essere in pericolo, ma anche Mary, John, Jason e Bella: loro sono le persone alle quali tengo di più e so già che saranno i primi a essere presi di mira. Non voglio che capiti loro niente di brutto, quindi prima me ne vado, prima saranno tutti e quattro al sicuro.
Stasera è Capodanno, ci saranno i fuochi e Jason mi ha invitato: ha deciso di lasciarci i nostri problemi alle spalle almeno per questa sera e di iniziare l'anno nuovo in maniera migliore. Raggiungerò lui e i suoi amici verso le nove, ma ora sono solo le sette. È ancora presto. Ho tutto il tempo per organizzare il da farsi.
Primo punto in agenda: chiamare la segreteria e organizzare il mio esame anticipato. Questo metodo non è molto utilizzato qui, ma in questo caso è l'unica soluzione: quando sarò in Canada con mio padre dovrò lavorare in qualche modo e nessun buon datore di lavoro mi offrirebbe un posto se non possedessi nemmeno il diploma. Quindi devo tirarmi su le maniche e mettermi a studiare per la prima volta in vita mia.
Chiamo la segreteria e accosto al microfono una piccola radiolina in grado di convertire il mo timbro vocale con quello di mio padre: è un aggeggio che ho comprato da piccola in un vicolo scuro in uno dei quartieri più sporchi e lugubri di Seattle. L'avevo comprato per potermi giustificare tutte le volte che non volevo andare a scuola, ma poi non l'ho più usato.
"Abraham Lincoln High School, San Francisco, mi dica." La voce monotona e annoiata di una segretaria mi risveglia dai miei pensieri.
"Sono John McClain, il padre dell'alunna Shira Drake frequentante l'ultimo anno. Vorrei poter usufruire dell'esame anticipato per mia figlia, come dovrei procedere?" Chiedo meravigliandomi che la radiolina funzioni ancora a dovere.
"Bene, aspetti un attimo: la metterò in contatto con la preside al più presto." La voce di questa donna mi sembra una preghiera talmente è lagnosa. Aspetto pazientemente senza scatti d'ira, come si addice ad ogni un padre che si rispetti.
"Abraham Lincoln Hight School, San Francisco, sta parlando con la preside, mi dica." La voce della preside mi ricorda di quella volta che finii in presidenza e non feci altro che risponderle in malo modo per poi essere cacciata in detenzione ad intagliare zucche.
"Sono John McClain, il padre dell'alunna Shira Drake frequentante l'ultimo anno. Vorrei poter usufruire dell'esame anticipato per mia figlia." Ripeto come un registratore.
"Bene, la prassi la conosce?" Mi chiede lei senza scomporsi.
"In realtà no."
"La signorina Drake dovrà sostenere degli esami scritti e orali, come d'altronde faranno anche il resto degli alunni al termine del quadrimestre. Dopodiché dovrà affrontare un esame orale durante il quale dovrà esporre una tesi che sarà oggetto di domande da parte di ogni docente. Ora, vorrei sapere quale data volete proporre."
"Pensavamo il prima possibile, se non è un problema, naturalmente."
"Va bene, secondo i vari impegni dei docenti e tenendo conto della quantità di materiale da studiare... le proporrei una data approssimativa, magari per fine gennaio."
Cosa? Fine gennaio? È come faccio a studiare tutto per fine gennaio?
"Può essere più specifica? Quando ci saranno gli scritti e quando gli orali?" Chiedo sentendo l'ansia cominciare a salire.
"Va bene, gli scritti potrebbero essere venerdì ventisei gennaio e gli orali il giorno successivo, ossia sabato ventisette." Propone.
"Perfetto, la ringrazio per la sua pazienza."
"Prego, arrivederci."
Chiudo la chiamata e mi lascio cadere sul letto. Fine gennaio, fine gennaio. Come faccio? Bene, so che il professore che mi controllerà durante l'esame sarà esterno e di conseguenza non conoscerà il mio volto. Quindi posso ingaggiare qualcuno per affrontarlo al posto mio. Gli orali invece saranno un vero e proprio massacro, ma devo farcela.

F.I.R.E.W.O.R.K.S. [SOSPESA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora