~Capitolo 6~

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"Non c'è problema così terribile
a cui non si possa aggiungere
un po' di senso di colpa
per renderlo ancora peggiore"
Cit. Bill Watterson

Mi sveglio e apro gli occhi.
Ricordo solo in parte quello che è successo ieri sera, solo alcuni particolari.
Andrew mi ha baciata e poi ho litigato con Erika.
Sto malissimo e la testa mi martella.
Avverto un bruciore espandersi sulla pianta del piede. Mi tasto il punto in cui sento male e mi accorgo che è fasciato da una benda.
Sono seriamente perplessa, non ricordo cosa e come sia successo. All'improvviso avverto la necessità di rimettere.
La nausea è terribile.
Corro in bagno, mi chino davanti al gabinetto e incomincio a vomitare.
Fumo, droga, alcol... tutto quello che non avrei dovuto.
Mentre rigurgito tutta quella roba mi sento come se stessi rigettando l'anima.
Tutto quello che ho dentro sta uscendo fuori, sotto forma di schifezza.
Sì, esatto schifezza. Proprio il termine adatto per descrivere quello che sto vivendo, o che ho vissuto. Quello che mi sento: uno schifo.
E vomito, e vomito.
Debole come sono, tento più volte di alzarmi invano. Rimango seduta con la schiena al muro, le gambe piegate al petto e la testa appoggiata sulle ginocchia. E piango.
Piango per un tempo interminabile.
Mi sto distruggendo da sola. O forse no?
Forse è quello che vogliono farmi credere tutti loro. Forse sono loro che mi stanno devastando lentamente.
E quando dico "loro" non parlo di Jenny o di Clare, o di tutti gli altri. Parlo di quelli che ci sono stati prima e che se ne sono andati, parlo dei ricordi.
Parlo di Ethan, di Erika, Aiden, o Melissa, o di tutti quei bastardi che frequentavo a New York, quando ancora ci vivevo.
Penso che sia a causa loro se mi sono ridotta così. Sono stata sola così tanto tempo che non appena ho trovato qualcuno con cui stare mi sono buttata troppo in là, ho superato i limiti, mi sono fatta trascinare.
Mi sento come un'ombra all'interno di un'altra, invisibile agli occhi degli altri.

Mi chiedo se mamma e papà si siano mai accorti di come sto. Mi dicono sempre che non parlo mai, che non esco di casa, che fisso sempre il vuoto. Ma si sono posti il perché?

Sento il telefono suonare.
Lo squillo proviene dalla mia cameretta, ma non ci vado.
Chiunque sia sicuramente non ha da dirmi niente di importante.
Del resto, per chi sono mai stata importante?

Decido di farmi un bagno caldo, così mi alzo dal pavimento e barcollante mi dirigo verso il rubinetto della vasca.
Apro l'acqua e aspetto che si riempia per versarci il bagnoschiuma.
Mi immergo nell'acqua e chiudo gli occhi, appoggiando la testa sulla ceramica fredda della vasca.
Mentre osservo la schiuma dissolversi non fanno altro che venirmi alla memoria dei flashback.
I miei vecchi amici che mi offendevano, i falsi pettegolezzi che giravano su di me a scuola, la gente che mi derideva quando passavo per i corridoi.
Ora è passato quasi tutto, ma io ricordo. Ricordo sempre, non dimentico.

Incomincia a vorticare tutto un'altra volta, quando il telefono squilla di nuovo.
Sofferente, mi alzo dalla vasca, mi infilo l'accappatoio e vado a prenderlo.
È Jennifer.

《Pronto?》rispondo.

《Ehi, Cammie》dice lei. 《Tutto bene? Ieri siamo andate giù di troppo, mi sa.》

《Diciamo di sì.》

《Che hai?》mi chiede preoccupata.

《Non ho retto l'alcool》dico seria.

《Oddio, mi dispiace. Conosco molto bene i postumi da sbornia, non è per nulla piacevole》afferma mortificata.

Mentre Jennifer parla mi sento mancare.
Mi appoggio sul letto con ancora l'accappatoio addosso.

《Ieri in discoteca c'era Erika...》cambio argomento.

Voglio solo informarla subito su quello che è successo, non sto bene e non ho voglia di parlare.
Non le dico nient'altro, le lascio immaginare il resto.

Come Una ConchigliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora