Capitolo quindici

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For angels to die

Le sue mani tremavano mentre armeggiava con i lacci dello zaino. Ci gettò dentro la sua giacca, anche se faceva incredibilmente caldo e non c’era alcun bisogno di una giacca. Nel caso piovesse, pensò. Le sue mani tirarono fuori dal cassetto il rotolo di banconote, e lui infilò anche quelle nella borsa. Come ultima cosa, si diresse verso il bagno, e le sue dita lunghe e sottili si avvolsero attorno ai due flaconi di pillole. Il suono incessante di pugni dati alla porta d’ingresso lo distrasse per un attimo, e poi gettò le pillole nello zaino e strinse i lacci un’ultima volta prima di infilare le braccia nelle cinghie e attraversare il soggiorno, dirigendosi verso la finestra. 

La finestra lo ipnotizzò per un attimo, e lui si immobilizzò mentre i ricordi gli invadevano la mente. Preparare lo stesso zaino, una giacca, i soldi, ma nessuna pillola. E la finestra, il piccolo quadrato nel muro che gli aveva offerto una via di fuga da tutto. Allora era stato un freddo giorno di Ottobre. Quasi due anni prima. Aveva lasciato un biglietto per Gemma, dicendole che sarebbe andato a Londra a vivere con alcuni suoi amici. Ora ti puoi trasferire, aveva scritto con una calligrafia affrettata e disordinata. Non dovrai più preoccuparti di lasciarmi con Ralph e potrai concentrarti sull’università e andare a stare con i tuoi amici nel dormitorio. Io starò bene. Ti chiamo quando arrivo a Londra. Ovviamente aveva mentito sugli amici a Londra, ma Gemma si era trasferita, aveva cambiato scuola, e Ralph non l’aveva più infastidita. Era più di quanto Harry avrebbe potuto sperare.  

Ripiombò nel presente quando i pugni sulla porta si fecero più forti. Si passò una mano tra i capelli, cercando di calmarsi. Riusciva a sentire il sangue che gli pulsava nelle vene, il suo petto era pesante e si sentiva come se stesse soffocando. Le sue gambe stavano tremando, e le sue ossa divennero come gelatina quando guardò in basso, verso la scala antincendio. Gli girava la testa, invasa da ‘ti amo’ e rasoi e sangue e lividi e Ralph e sua madre; le cose si mischiavano tra loro, schiacciandolo completamente. Aveva bisogno di uscire, aveva bisogno che tutto si fermasse. Dalla porta provenne un singhiozzo strozzato, e per un attimo tutto si fermò davvero. Harry voltò la testa e fissò lo sguardo sulla porta. 

“Harry––ti prego.” 

L’espressione di Harry si contorse in una smorfia di dolore. Lui voleva Louis. Ma era stato anche troppo egoista. Non meritava Louis, non lo aveva mai meritato. Louis meritava di meglio. Louis avrebbe trovato di meglio. Cercò di non pensare ad un Louis distrutto. Non ti troveranno finchè non sarà troppo tardi, si disse. Starà bene. È forte. Andrà avantiNon ti ama davvero. Non ––può.

“Harry!” Fu il grido più sofferente e tormentato che Harry avesse mai sentito. La voce di Louis si incrinò mentre lui urlava con tutto il fiato che aveva in gola e batteva i pugni contro la porta. Tutto tremava mentre i pugni di Louis si infrangevano sul legno. Harry era immobile, spaventato, col respiro irregolare. Il suo corpo voleva attraversare la stanza e raggiungere la porta, ma qualcosa di più grande dentro di lui non lo permetteva. Non poteva permettersi di attraversare la stanza e aprire la porta. Non riusciva a muoversi. Per un po’ rimase seduto sul davanzale della finestra e pianse, sfogandosi, con le dita tra i capelli, tremante. Gli venne la voglia improvvisa di buttarsi in quel momento…ma poi pensò che non sarebbe stato un bel modo di morire. E doveva vedere sua madre, prima. Doveva fare le cose per bene. 

Harry uscì dalla finestra e si calò giù per la scala antincendio prima che potesse cambiare idea. E poi camminò. Camminò e camminò, camminò con gambe tremanti e cercando con tutte le sue forze di continuare a respirare, perchè l’aria estiva era troppo pesante. Camminò per mettere quanta più distanza possibile tra sè e Louis e Lego House e qualsiasi cosa. Camminò con una chiara destinazione in mente. 

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