Capitolo tredici

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Addicted//I love you

Per Louis fu una notte senza riposo, passata a voltarsi e rigirarsi e con nodo allo stomaco che si stringeva ogni volta che si svegliava di soprassalto per via di un incubo. Quando Zayn era tornato senza Harry, Louis si era arreso. Aveva saltato il lavoro––non che a quel punto gliene importasse qualcosa, e con il numero delle sue assenze, stava praticamente chiedendo di essere licenziato––e si era rannicchiato sul divano di Harry e Zayn, coprendosi con la trapunta di Harry, aspettando pazientemente che Harry tornasse a casa. Forse non avrebbe dovuto restare, forse avrebbe dovuto andare a casa, forse era questo quello che facevano le persone normali quando i loro ragazzi uscivano per andare a letto con degli estranei. Ma lui non poteva andarsene, perchè Harry non stava bene, nonostante le sue bugie, e Louis doveva essere lì quando lui sarebbe tornato a casa. 
Harry non tornò a casa. 
Non tornò a casa e la cosa spaventò Louis. Spaventò anche Zayn. 
Louis rimase rannicchiato sul divano per il resto della giornata, rosicchiandosi le unghie e immaginando ogni situazione in cui Harry avrebbe potuto trovarsi. Zayn rimase a casa, facendogli compagnia quando Niall uscì per andare a lavoro, assicurandosi che Louis mangiasse, e pulendo il suo vomito quando Louis si sentì male per la preoccupazione. Non parlarono molto, erano entrambi persi nei propri pensieri, ma la compagnia che si facevano a vicenda era abbastanza perchè capissero di non essere completamente soli. 
Quando il cielo si oscurò e Harry non era ancora tornato, Louis non tornò a casa e dormì nel letto di Harry, girandosi e rigirandosi, pieno di angoscia per le immagini che la sua mente continuava a mostrargli come un disco rotto, ancora e ancora, immagini di Harry ferito e sanguinante, che lo chiamava. 
Quando non ce la fece più, Louis rinunciò a dormire, uscendo dalla camera da letto e recandosi in cucina dove non fu sorpreso di trovare Zayn, con gli occhi gonfi e una tazza di caffè. La luce soffusa della cucina proiettava ombre ovunque, concentrandosi su Zayn, che alzò la testa, strofinandosi gli occhi e facendo un cenno a Louis. 
“Caffè?” chiese Zayn, con voce stanca. 
Louis scosse la testa, sedendosi accanto a Zayn. 
“Non hai un po’ di the?” provò Louis, speranzoso. Ne aveva davvero bisogno. 
Zayn strinse le labbra. “Mi sa di no. Tu sei un tipo da the, lo avevo dimenticato,” mormorò, alzandosi. “Possiamo uscire a comprarlo, se vuoi.” 
Louis lanciò un’occhiata all’orologio sopra il forno. “Sono le 5:42 di mattina,” protestò. 
Zayn sospirò. “Non puoi semplicemente stare seduto ad aspettare per sempre. Muoviti, andiamo a prendere il the,” disse Zayn, dando una pacca sulla schiena di Louis e guidandolo attraverso il corridoio. “Dammi un minuto per vestirmi e andiamo.” 
Zayn scomparì dietro la porta della sua camera da letto e Louis aprì lentamente quella della camera di Harry, entrandovi con passi pesanti. Si infilò le sue TOMS sgualcite e prese il suo cellulare dal comodino. Per la forza dell’abitudine, controllò se ci fossero nuovi messaggi, prima di realizzare: Harry non aveva mai comprato un cellulare nuovo dopo che il suo era stato distrutto dall’incendio. Non ce ne era stato bisogno visto che era stato con Louis tutto il tempo, ma ora era lì fuori da qualche parte, e non aveva nemmeno un cellulare per contattare Louis, o chiunque altro, se gli fosse accaduto qualcosa di grave. Se questo pensiero non lo avesse terrorizzato tanto, Louis avrebbe realizzato che questo significava anche che Harry non poteva aver alcun ‘appuntamento’ se non aveva nemmeno un cellulare che i clienti potessero chiamare. 
***
Louis e Zayn si trovarono in una caffetteria buia e  soffocante un quarto d’ora dopo. Louis si strofinò gli occhi stanchi col dorso delle mani e Zayn crollò sulla sedia di fronte a Louis, posandogli davanti un piccolo vassoio di cartone con le loro ordinazioni. Louis si allungò a prendere il suo the––che non era buono come quello che faceva lui, ma andava bene––e fece qualche sorso esitante. Il suo stomaco si stava rivoltando fastidiosamente, e lui aveva un nodo alla gola, portato dalla preoccupazione e dall’ansia. Non gli piaceva quella sensazione, la conosceva anche troppo bene. Era la stessa sensazione che lo aveva portato sul tetto di Lego House con una bottiglia di Vodka, due settimane prima. In realtà, la cosa spaventava Louis, perchè non voleva tornare a quella vita, ma il bisogno era troppo forte in quel momento. Non pensava di poter riuscire a combatterlo ancora a lungo. 
Il suo cellulare cominciò a vibrare, e immediatamente la sua mano volò verso l’apparecchio che giaceva tremante sul tavolino. Zayn guardò attentamente i suoi gesti frenetici. Sapeva che Louis aveva sperato fosse Harry, così quando ignorò la chiamata, capì che era qualcun altro. Qualcuno con cui Louis non voleva parlare.
Dopo un po’, Zayn si schiarì la gola e si sporse un po’ in avanti. “Chi era?”
Louis fece un sorso del suo the prima di agitare una mano. “Nessuno di importante.” 
Zayn alzò le sopracciglia. “Louis, andiamo. Puoi parlare con me…se non stai bene. Qual è il problema––a parte quello che è ovvio?” 
Louis alzò le spalle, mentre il suo labbro inferiore cominciava a tremare. “E’ solo che non credo di essere forte abbastanza per questo,” disse a voce molto bassa. 
Lo sguardo di Zayn si addolcì, e la sua mano si strinse attorno al polso di Louis. “Hey, so che è difficile, e so che hai anche i tuoi problemi, ma––tu seiforte. Non conosco nessuno che sarebbe riuscito ad affrontare tutto questo come stai facendo tu.”
Louis deglutì, ma questo non alleviò affatto il nodo che gli stringeva la gola. Non voleva ricadere in quelle cose. Doveva essere forte per Harry. Aveva qualcuno per cui essere forte. Ma non poteva farlo da solo. Sarebbe stato stupido a credere di potercela fare senza aiuto. “E’ che—non vado dalla mia terapista da due settimane,” ammise Louis, piano. “E con tutto il casino con Harry…i miei livelli di ansia sono alle stelle. E io—ho bisogno di una dose. Non voglio, ma è come se il mio corpo stesse andando contro di me,” Louis fece un respiro profondo, dato che quello che aveva appena confessato lo aveva lasciato senza fiato. “Non so cosa fare.” 
Zayn strinse un po’ di più il polso di Louis. “Hey, non sei solo, ok? Sai che siamo tutti qui anche per te. Non solo perchè tu e Harry state insieme. Sei nostro amico anche tu, non lo dimenticare.” 
Louis annuì, facendo un altro sorso di te. Dopo un po’, la voce bassa e roca di Louis ruppe il silenzio. “Credi che stia bene?”
Zayn si sentì svuotato, appoggiandosi allo schienale della sedia, e non riuscì nemmeno a fingere per Louis. “Non lo so,” mormorò, portandosi la sua tazza di caffè amaro alle labbra. 
“Io lo amo,” disse Louis senza pensare, abbassando lo sguardo sulle sue mani. 
“Lo so.” 
***
Lego House era silenziosa. Insolitamente silenziosa. Era un silenzio quasi lugubre, che gli fece accapponare la pelle mentre saliva le scale. Forse quel silenzio pressante era solo frutto della sua immaginazione. Forse lo stava immaginando perchè sentiva che non fosse rimasto nessuno al mondo a parte se stesso. O forse era semplicemente un giorno molto tranquillo in quell’edificio colorato. Si guardò intorno, aspettando che qualcuno facesse capolino da dietro una porta, aspettando che qualcuno lo fermasse. Ma Lego House era silenziosa. 
Faceva caldo e c’era umido, il tipo di afa che soffoca, che si attacca a qualsiasi cosa, che non fa respirare. Quella che fa proprio perdere la voglia di respirare, i polmoni rifiutano l’aria pesante, ogni respiro è pesante e sgradevole. 
Raggiuse il terzo piano, con i polmoni gli facevano male per l’aria che voleva smettere di respirare, e camminò fino alla terza porta a destra. Anche lì dentro ci sarebbe stato silenzio? Sperava di sì. 
La sua mente era completamente annebbiata. Non riusciva a credere di essere ancora vivo. Avrebbe potuto morire qualche ora prima, ma qualcosa lo aveva spinto a lottare. Ma ora era lì, a desirare di essere morto con ogni passo che faceva. Che spreco, pensò. Aver avuto una seconda occasione, essere riuscito a scappare, solo per poi uccidersi. 
Harry Styles, il gigolò inutile, stupido e disgustoso, presto sarebbe morto. 
Non era solo perchè era ormai stanco di vivere, quella era solo una parte. E un’altra parte era che era stanco di ferire le persone, di essere una delusione. Ma la parte più grande, la parte che aveva segnato il suo destino, era che aveva dimenticato. O quasi. 
Ma Ralph glielo aveva ricordato. 
Ralph gli aveva ricordato della data a cui mancavano solo due giorni ormai. La data che era completamente passata di mente a Harry. 
Sarebbe stato morto per quella data. 
Se dall’altro lato della porta ci fosse stato silenzio, allora sarebbe morto solo qualche ora dopo. 
Harry girò la maniglia ed entrò, pronto alle persone che gli sarebbero corse incontro. Pronto per Louis che sarebbe scoppiato in lacrime, pronto per Danielle che si sarebbe preoccupata del suo collo livido e del suo corpo sanguinante, pronto per Zayn che avrebbe imprecato, lo avrebbe abbracciato, gli avrebbe fatto qualche domanda e avrebbe imprecato ancora. 
Ma l’appartamento era silenzioso, e Harry si rassegnò al suo destino. 
Entrò nell’appartamento, nella casa che non gli era mai sembrata una casa. Barcollava, pronto a cadere in qualsiasi momento. Le voci gli rimbombavano in testa, e lui chiuse gli occhi, intrecciandosi le dita tra i capelli, cercando di dimenticare, ma senza successo, e la notte precedente gli invase la mente. 
“Sei una puttana––” 
“S-smettila…ti prego.” 
“Sei. Una. Puttana. E ti piace esserlo.” 
Per la forza dell’abitudine––un’abitudine vecchia, infantile––Harry si trovò rannicchiato sotto la trapunta di sua madre, aggrappandosi al tessuto e gridando, stringendo i pugni, mentre tutto gli ritornava alla mente con devastante chiarezza.
Ralph era davanti a lui, sorridendogli malizioso, stringendo delle corde tra le mani grandi e callose. “Ora ti comporterai bene per me, Harry.” 
Le labbra di Harry tremavano e lui non si sentiva più un diciottenne. Si sentiva troppo piccolo. Si sentiva come un bambino, e aveva paura. 
Le corde bruciavano, erano troppo strette, gli tagliavano la pelle e gli intorpidivano i polsi. Harry rimase legato per ore mentre Ralph gli faceva cose orribili. Perse la cognizione del tempo, perse tutta la sensibilità del corpo, mentre lacrime silenziose gli rigavano il viso. 
Quando Ralph cominciò a scoparlo, veloce e aggressivo e senza nessuna preparazione, Harry cominciò a gridare per il dolore. Lo sapeva, sapeva che pianti e proteste rendevano solo Ralph più furioso, ma non riusciva più a trattenersi, voleva che quel dolore finisse, supplicò Ralph di fermarsi. Voleva che Louis lo stringesse dolcemente. Voleva tornare a casa. Casa. A casa da Louis. A casa da Zayn. A casa da Dani e Josh e Sandy e Rebecca e Lily e Mary e Matt e persino Eleanor. 
“Urla ancora una volta e ti giuro che ti uccido.” 
Harry voleva tornare a casa. Quindi rimase in silenzio. 
Pensò a Louis tutto il tempo. Pensò a quello che aveva provato la sera prima sul tetto. Pensò a come aveva volato con Louis. Pensò a quella sensazione che aveva sentito. Pensò a quel sentimento. Pensò alle parole che Louis aveva provato a dirgli, le parole che Harry aveva evitato perchè non avrebbe sopportato di sentire. Ma mentre Ralph lo distruggeva, pensò che c’erano cose peggiori dei ‘ti amo’.  
Avrebbe resistito ancora, avrebbe cercato Louis e gli avrebbe chiesto aiuto e gli avrebbe sussurrato le parole che sapeva di sentire dentro. Avrebbe fatto tutte quelle cose, se Ralph non avesse parlato della data imminente. La data che Harry aveva dimenticato. 
Ralph la usò a suo vantaggio. Vide gli occhi di Harry alzarsi di scatto quando nominò la data. Vide le sue sopracciglia aggrottarsi quando realizzò di averla dimenticata. E Ralph lo usò. Lo usò per distruggere Harry completamente, per demolirlo, per portare via ogni briciolo di speranza che c’era in lui. 
Ralph si assicurò che Harry si sentisse in colpa per averla dimenticata, si assicurò che quel sentimento si insediasse dentro di lui. Perchè Ralph era un uomo brutale, un uomo brutale con una malata ossessione per Harry, un desiderio malato di vederlo soffrire. Ralph sapeva che stava uccidendo Harry, lentamente con le sue parole e i suoi abusi. E Harry avrebbe dovuto combattere di più, avrebbe dovuto pensare a Louis, avrebbe dovuto ricordare occhi azzurri e pelle morbida, avrebbe dovuto resistere più a lungo. 
Ma Ralph si era insediato nel suo cervello, Ralph aveva piantato il seme che avrebbe distrutto Harry. Nessuno lo avrebbe capito. Harry era stupido a preoccuparsene così tanto, ma lo aveva dimenticato. Lo aveva dimenticato! Come poteva averlo dimenticato? 
“Come puoi averlo dimenticato, Harry?” ghignò Ralph. “Una data così importante, e tu la dimentichi?” Fece schioccare la lingua e poi tirò forte i capelli arruffati di Harry. “Troppo impegnato a divertirti col tuo ragazzo?” disse tra i denti, e Harry trattenne il respiro perchè––Louis. “Non credere che io sia stupido. Ti ho visto con lui. Quel piccolo esserino fragile, piccolo e delicato. Un vero e proprio finocchio,” sputò, e Harry sentì il suo sangue ribollire mentre Ralph continuava ad insultare Louis. Il suo Louis. 
“Nessuno deve mai scoprirlo,” continuò Ralph con voce bassa, minacciosa. “Nessuno deve scoprire chi ha appiccato l’incendio. Nessuno deve scoprire che tu lavori per me. Perché se qualcuno lo viene a sapere, ciao ciao al tuo fidanzatino.” 
Harry deglutì. La sua testa divenne leggera, aveva la bocca secca e non riusciva a respirare. Tutto quel tempo, tutto quello che aveva fatto, lo aveva fatto per proteggere Louis. Aveva mantenuto le distanze, aveva cercato di non gettarsi troppo in quella relazione, aveva mentito e custodito segreti solo perché Louis potesse essere al sicuro. Ma ora Ralph sapeva di Louis. E c’era una nuova minaccia a spaventare Harry. E all’improvviso non voleva più vivere. Non voleva ferire nessun altro. Voleva solo scomparire….
Harry giaceva sul letto, senza fiato, a guardare il soffitto con un piccolo rivolo di sangue che gli colava dal braccio. Era uno di quei momenti, quei momenti in cui il mondo smette di girare, e non c’era nessuno a parte Harry. Solo Harry, in un appartamento silenzioso, in un giorno troppo caldo per Londra, con una decisione in mente che sembrava un tradimento. Era uno di quei momenti in cui fioriscono brillanti metafore e pensieri profondi, se solo si prova ad analizzare la complessità della vita.
Le vite, rifletté Harry––sospeso nella sua piccola bolla silenziosa, distaccato dal resto del mondo––sono fragili. Il mondo è così fragile; vite costruite con cura, elementi intrecciati tra loro in modo indissolubile, fantasie mescolate su un unico pezzo di stoffa. Questa è la vita. Apparentemente può sembrare semplice, solo un pezzo di stoffa, messo insieme senza sforzo, ma guardando solo un po’ più a fondo, improvvisamente si possono distinguere le frange, i fili protesi in avanti, a raccontare una storia, l’intera vita di una persona, scritta lì, in un caos di filamenti. 
Harry tirò un filo che fuoriusciva dall’angolo della sua trapunta. Ci giocherellò, guardando il soffitto senza concentrarsi. Tirò un po’ troppo forte, e il filo si snodò tra le sue dita, diventando sempre più lungo, separando le toppe. Guardò l’insieme di fili tra le sue dita, e all’improvviso, senza alcun avvertimento, un singhiozzo gli attraversò il corpo e lui iniziò a piangere. Perchè anche le sue toppe si stavano separando, il suo pezzo di stoffa si stava trasformando in un ammasso di fili. E sapeva che ormai non avrebbe più potuto ricucirlo. Era la sconfitta. Sapeva di essere finito. 
Harry non si preoccupò di chiudere a chiave la porta del bagno. Infatti, non la chiuse nemmeno del tutto. 
Dopo che i ricordi della sera precedente gli avevano invaso la mente, abbassò lo sguardo per vedere il suo braccio sanguinante, tagliato nella disperazione causata dai ricordi. 
Lasciò sanguinare il suo braccio mentre si spogliava dai suoi vestiti. Si guardò allo specchio, un’ultima volta. I suoi occhi tracciarono ogni singola linea sul suo corpo. Quello era lui. Quella persona che lo stava guardando. Era strano, guardare se stesso nello specchio, quello che vedeva non gli sembrava nemmeno reale. Coperto di lividi, con gli occhi spenti, il viso pallido. Era solo il vuoto guscio di una persona. Si sentì completamente distaccato dalla persona nello specchio, quella persona tradiva ciò che aveva dentro. Quella persona sapeva come fingere, sapeva come sembrare felice, anche quando la persona al suo interno si sentiva distrutta e senza speranza. Ma ora, ora la persona all’interno stava uscendo fuori, disseminando lividi ovunque, inaridendosi finchè entrambi gli individui si erano fusi in uno, un perfetto estraneo che Harry non riconosceva più. E così quando si allungò verso l’armadietto dei medicinali, estraendo due flaconi di pillole, non si sentì molto in colpa per l’omicidio che stava per commettere sull’estraneo che lo guardava dallo specchio. 
Distolse lo sguardo dallo specchio per abbassarlo sulle sue mani. Sonniferi e antidolorifici. Non voleva pensare a nessun altro, ma mentre cercava di non pensare ai loro volti, questi apparvero ancora più nitidi nella sua testa. Si sentì egoista, egoista perchè si sarebbe lasciato Louis alle spalle, egoista perchè avrebbe lasciato Zayn, e Danielle. Egoista perchè anche mentre pensava a loro, il flacone di pillole rimaneva saldo tra le sue mani, e la sua decisione irremovibile. 
Non che non amasse Louis. Non che volesse essere ancora più egoista e provocare ancora più dolore con la sua morte. Ma in qualsiasi modo guardava la situazione, non riusciva comunque a vedere una possibilità che le toppe potessero riunirsi. Ormai non poteva più essere aggiustato. Anni di sofferenza si erano accumulati, come una lama che si era affilata con ogni terribile esperienza che aveva affrontato. E ora quella lama aveva trafitto i delicati legami che tenevano Harry insieme. Vi era passata attraverso con un colpo secco. E non c’era modo di aggiustarli. Il pezzo di stoffa era ormai distrutto e doveva essere gettato via.
Harry guardò di nuovo i due flaconi di pillole. Sonniferi e antidolorifici. Voleva dormire. Voleva far andare via il dolore. Prendi le tue medicine, gli diceva sempre sua madre, ti fanno stare meglio quando stai male.
Beh, Harry stava molto male, quindi aveva bisogno di una dose extra di medicine. 
Iniziò a svitare entrambi i coperchi; era tempo di salutare. 
C’era un biglietto, scritto settimane prima a Louis, nascosto nel suo armadio. Louis lo avrebbe trovato prima o poi, quando Zayn o chiunque altroavrebbero frugato tra le sue cose. Sperò che Louis lo avrebbe perdonato. O forse sperò che Louis lo avrebbe odiato, in modo da andare avanti più velocemente, non rimpiangere troppo Harry, che non aveva mai meritato Louis. 
Inclinò il flacone di antidolorifici verso il palmo della sua mano proprio quando un leggero rumore ruppe il silenzio dell’appartamento. Lo scatto di una serratura e poi una serie di passi. Harry sentì il sangue raggelarsi nelle sue vene, e impallidì mentre i passi si avvicinavano sempre di più. Ebbe giusto il tempo di posare i flaconi, e poi i suoi occhi si alzarono verso lo specchio, spalancati e terrorizzati. E nel riflesso, Louis lo stava guardando con la stessa espressione. 
Harry era consapevole del suo braccio sanguinante, attraversato da linee rosse. Sapeva che il suo corpo danneggiato era terribile, soprattutto agli occhi di Louis. I lividi coprivano ogni centimetro di pelle. Non c’era niente di bello nel suo aspetto. Era troppo magro, troppo pallido, aveva gli occhi troppo scavati, e la pelle troppo macchiata. Chiunque avrebbe indietreggiato alla vista, avrebbe provato repulsione. Ma Louis non era chiunque. Harry gli stava ancora dando le spalle, lo vedeva solo dal riflesso nello specchio. Ma vedere il suo viso crollare era altrettanto doloroso, anche attraverso lo specchio. 
“Harry….” sussurrò Louis, spingendosi oltre la soglia e barcollando in avanti finchè il suo petto incontrò la schiena di Harry e le sue braccia avvolsero la sua vita nel modo più delicato possibile. Sotterrò la testa nel collo di Harry e Harry riusciva a sentire le lacrime di Louis sulla sua pelle. Rimase immobile tra le braccia di Louis, guardando i loro riflessi nello specchio. Estranei, pensò Harry, sentendosi più staccato che mai da se stesso. Non riusciva a riconoscere le persone nello specchio. Non riusciva a ricordarsi di essere mai stato bene. Non riusciva a ricordare di essere stato bene con Louis. Ogni cosa, tutti quei sentimenti, erano annebbiati, sotterrati troppo in basso da tutte le altre cose, e la cosa spaventava Harry, lo spaventava tantissimo, perché non riusciva a sentire. Louis lo stava stringendo, e stava piangendo, e gli stava baciando il collo, e lui non riusciva a sentire niente. Voleva gridare. 
Gridò. 
Gridò e non se ne rese conto finchè non si trovò seduto sul pavimento del bagno insieme a Louis, Louis inginocchiato davanti a lui, con entrambe le mani premute sul suo viso, cercando di calmarlo. “Va tutto bene, Harry, ascoltami,” disse Louis, con forza, ma funzionò, e le urla di Harry si affievolirono finchè non fu lasciato con nient’altro che respiri pesanti che i suoi polmoni cercavano di rifiutare. 
Harry guardò Louis, i loro occhi si cercarono furiosamente, azzurro a verde, come avevano fatto innumerevoli volte. Ma invece di perdersi in quegli occhi, Harry non riuscì a vederli del tutto. Era come se potesse attraversarli, passare completamente attraverso Louis, incapace di aggrapparsi a lui. Ma Louis continuò a guardare Harry, e quegli occhi verdi non erano mai stati così devastati. Erano luccicanti di lacrime, e rossi tutto attorno. Il naso di Harry era rosso e bagnato dal pianto, e lui sembrava così piccolo e indifeso, schiacciato contro gli armadietti sotto il lavandino. 
“Harry, ti prego,” disse Louis, esaminando il volto di Harry, cercando di farsi riconoscere. “Io sono qui, andrà tutto bene. Parlami, cos’è successo?” 
Le labbra di Harry tremarono e lui abbassò lo sguardo sulle sue dita irrequiete, mentre piccole lacrime gli scivolavano dalle ciglia. Scosse leggermente la testa, e poi tornò a guardare Louis, con occhi silenziosamente supplicanti, anche se non sapeva bene cosa stesse chiedendo. Aveva solo bisogno di qualcosa, aveva bisogno di sentire qualcosa, perché era spaventato a morte. 
“Va tutto bene,” ripeté Louis, avvolgendo di nuovo Harry tra le sue braccia. E Harry lo strinse, anche se la pressione non era abbastanza forte, e non era del tutto sicuro che il corpo di Louis fosse davvero lì. Gli sembrava di stringere aria. 
Poi, Louis curò le ferite di Harry, e Harry continuò a piangere silenziosamente; dopo un po’ finirono sul divano, e Harry si avvolse nella sua trapunta rattoppata, e Louis intrecciò le dita con quelle di Harry, e chiese ancora una volta a Harry di parlare. 
Ma non importava quanto Harry tentasse, le parole non riuscivano ad uscire. 
Ma questo non scoraggiò Louis. Certo, si era sentito debole e sconfitto, schiacciato dalla preoccupazione, solo qualche ora prima, ma quello era prima, quello era quando Harry era ancora scomparso. Ma Harry era lì, era seduto accanto a lui, e Louis doveva essere forte per lui. Harry aveva bisogno di lui, e lui avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per farlo sentire di nuovo bene. 
Harry era livido e sanguinante, steso sul divano, con Louis che lo guardava, ed era tutto così familiare. Solo Quattro mesi prima, Louis era stato dov’era ora Harry, disteso sul divano a quel tempo sconosciuto, con Harry che si prendeva cura di lui. Harry, così forte e sicuro di sè, aveva rassicurato Louis che avrebbe trovato un modo per uscirne, che sarebbe stato bene. Louis non ci aveva creduto allora, ma avrebbe volute farlo. E in parte erano state le parole di Harry ad aver portato Louis in riabilitazione. 
Erano strano pensare che erano passati solo quattro mesi da quel giorno di febbraio. Quattro mesi sembravano un nulla,   quattro mesi possono passare in un batter d’occhio. Ma i loro quattro mesi sembravano essere durati un’eternità. In quattro mesi Louis era cambiato del tutto, e anche Harry. E ora i ruoli erano invertiti, ed era Harry ad essere sul fondo del burrone e Louis doveva tirarlo su, doveva farlo. 
“Harry,” disse Louis, schiarendosi un po’ la gola. “Harry, so che è da molto che non stai bene, ma io sono qui per te, questo lo sai. E ti aiuterò a superare questo periodo,” Louis si fermò, perchè sembrava che Harry fosse sul punto di parlare, ma quando la bocca di Harry si richiuse, Louis continuò, parlando e parlando perché era l’unica cosa che poteva fare. “Supereremo questo insieme, tu lo supererai,” e all’improvviso Louis cominciò a pensare ai labirinti simbolici a cui aveva pensato all’inizio della sua riabilitazione. “Troverai il modo di uscire da questo labirinto, Harry. So che lo farai. Tu sei forte, Harry. Qualsiasi cosa tu stia passando, io credo in te, so che ce la puoi fare,” e Harry ricominciò a piangere, coprendosi la bocca con una mano tremante mentre nuovi singhiozzi lo scuotevano, e l’altra mano stringeva più forte quella di Louis, cercando di rimanere lì, facendo del suo meglio per non volare via. 
Louis smise di parlare, avvolgendo ancora una volta le braccia attorno al suo ragazzo e stringendolo forte, mentre i loro cuori battevano insieme, uno pieno di amore e preoccupazione, l’altro battendo troppo velocemente e troppo violentemente, scatenando una guerra, pompando freneticamente battito dopo battito. 
Louis accarezzò la schiena di Harry, e sentì le parole farsi strada dentro di lui ancora prima che Harry cominciasse a parlare. Le parole che sentiva il bisogno di dire da tempo, le parole che sapeva che Harry aveva bisogno di sentire. Si stavano facendo strada, arrivando alla punta della sua lingua, ma Harry parlò per primo, con un caos di parole scomposte interrotte da violenti singhiozzi.  
“Ho dimenticato––e lui sa di te––e non riesco a sentire niente––e mi, mi––mi dispiace tantissimo,” disse freneticamente, senza smettere di singhiozzare. 
Louis era del tutto confuso, ma Harry stava parlando, ed era una cosa positiva, voleva che continuasse a farlo, quindi lo strinse più forte, accarezzandogli dolcemente la schiena. “Va tutto bene, Haz. Fai uscire tutto, ci sono io. Sono qui. Sono proprio qui.” 
Il petto di Harry sussultò con un singhiozzo particolarmente forte, e lui pianse ancora di più, stringendo le dita attorno alla stoffa della maglia di Louis. “Non riesco a sentire niente, Louis. Non riesco––Sono vuoto, Lou. Non sono—niente.” Singhiozzò. 
E poi Louis lo disse, lo disse perchè il cuore gli faceva male e voleva che Harry stesse bene. Fu impetuoso e agitato, e fu abbastanza per distruggere Harry, perchè non poteva sopportarlo, non poteva gestirlo. Era troppo. 
Tirandosi indietro quanto bastava per appoggiare la fronte a quella di Harry, naso contro naso, gli occhi di Louis decisi e sinceri, quelli di Harry umidi ed insicuri, Louis disse quelle parole con sicurezza. “Harry, tu non sei affatto niente. Tu sei tutto. Sei tutto per me. Ti amo, Harry. Ti amo tantissimo.” 
Il cuore di Harry si fermò. Il suo petto smise di sollevarsi ed abbassarsi. I suoi occhi si spalancarono, congelati. La sua gola si annodò. E lui si allontanò. Chiudendosi fisicamente in se stesso, come era abituato a fare. Rifiutando l’amore che credeva di non meritare. 
E poi all’improvviso sentì qualcosa. Dolore. Un peso che gli schiacciava il petto, e le sue mani tremavano quando le premette contro le orecchie, e le sue labbra si incresparono e i suoi occhi si annebbiarono per le lacrime. “No,” gracchiò, scuotendo la testa, guardando Louis come se lo avesse tradito. “No, no, no.” 
Louis si allungò verso Harry, sfiorando la sua pelle con una mano esitante, ma Harry si tirò indietro, alzandosi sulle gambe barcollanti. 
“Harry, ti prego…” 
Harry si ritirò ancora di più, mettendo sempre più distanza tra loro. “Non farmi questo,” singhiozzò Harry. “Non lo merito e lo so.” 
Louis saltò in piedi, avvicinandosi lentamente a Harry. “Tu meriti tutto l’amore del mondo, Harry,––” 
“No, non è vero!” gridò Harry, urtando il muro con la schiena. “Smettila! Non vedi che questa cosa mi sta uccidendo?” 
A quel punto Louis smise di muoversi. Da qualche metro di distanza i due si guardarono, questa volta Harry riusciva a vedere Louis, e si perse in quegli occhi azzurri. “Mi sta uccidendo,” mormorò di nuovo Harry, con le labbra tremanti e le lacrime che cadevano libere dai suoi grandi occhi verdi. 
Louis fece un passo avanti, ma Harry alzò le mani per fermarlo. “Non-. Ti prego.” 
Anche le labbra di Louis cominciarono a tremare, ed era troppo. “Harry, ti prego, voglio solo aiutarti. È tutto quello che ho sempre volute fare. Permettimelo.” 
Harry abbassò gli occhi al suolo e tirò su col naso, scuotendo leggermente la testa. “Non posso,” disse piano. “Non capisci? Non avresti dovuto rimanermi vicino, Lou. Non era così che doveva andare!” 
“Beh, l’ho fatto! E mi sono innamorato di te. E farò tutto quello che posso per aiutarti a stare meglio.” 
Harry alzò la testa di scatto, “E se non volessi stare meglio?” 
Gli occhi di Louis vacillarono, riempiti da preoccupazione e sofferenza. “Tu starai meglio, Haz,” gemette, avvicinandosi e appoggiando una mano sulla guancia di Harry. 
Si sporse per baciarlo, ma Harry voltò la testa e tolse la mano di Louis dalla sua guancia. Louis non capiva. Harry non sentiva nulla. L’unica cosa che riusciva a sentire era dolore. E voleva smettere di sentirlo. Louis non capiva che per quanto lo amasse, questo non risolveva niente. Louis non capiva che il fatto che lo amasse peggiorava persino la situazione. 
 “Non posso più continuare con te,” disse Harry piano. Perchè doveva spezzare il cuore a Louis. Doveva farlo in modo che Louis se ne andasse. 
Ma aveva sottovalutato Louis. 
“Non me ne vado.” 
“Devi farlo. Non posso continuare. Devi andartene!” 
Harry era sull’orlo di una crisi, e aveva smesso di pensare razionalmente molto tempo prima. Iniziò a spingere Louis verso la porta, ed essendo il più forte e il più alto dei due, riuscì davvero a farlo arrivare fino alla soglia, nonostante le sue proteste. 
“Non ti lascio, Harry! So cosa stai facendo e non ti lascio di nuovo. Non lascerò che tu ti ferisca di nuovo!” 
Harry stava gridando una serie di parole confuse e stava singhiozzando e Louis era davvero terrorizzato. Terrorizzato per la rabbia di Harry, in cui era evidente tutto il suo dolore, in bella mostra. I tagli e i lividi e le lacrime e le cicatrice e i singhiozzi strozzati e le urla. Harry stava cadendo a pezzi. E quei pezzi stavano fluttuando attorno a lui. Le cicatrici si stavano aprendo, e lo stavano distruggendo. 
“Harry, ti prego––” 
Le parole di Louis furono interrotte da labbra violente e aggressive che si scontrarono con le sue, e lui barcollò all’indietro. E poi troppo velocemente, Harry si allontanò, e gli chiuse la porta in faccia. 
Quando Louis cercò di abbassare la maniglia scoprì che era chiusa a chiave. Il cuore gli salì in gola, e il panico si diffuse nel suo corpo. Pensò alle lame in bagno. Pensò ai coltelli in cucina. Pensò all’alcol e alle pillole che erano nascosti da qualche parte nell’appartamento. Picchiò i pugni contro la porta gridando il nome di Harry. Non si aspettava che gli rispondesse, quindi tirò fuori il suo cellulare dalla tasca e digitò velocemente il numero di Zayn. 
Zayn rispose dopo qualche squillo, respirando pesantemente. “Lou? Che succede?” 
“Harry è tornato a Lego House, l’ho trovato che si tagliava, e poi––ehm––gli ho detto che lo amo, e lui è andato fuori di testa e mi ha sbattuto fuori e la porta è chiusa a chiave e ho paura che possa fare qualcosa!” disse Louis senza prendere fiato. 
Dall’altro lato ci furono una serie di rumori, “Sto arrivando. Rimani lì. Parlagli attraverso la porta, fai qualsiasi cosa. Tienilo occupato.” 
“Ok.” La chiamata terminò, e Louis si rivolse di nuovo verso la porta, picchiando i pugni sulla superfice dura, senza nemmeno rendersi conto che le mani cominciarono a fargli male dopo un po’. I pugni di Louis erano l’unico suono che si sentiva in tutta Lego House. Era uno strano silenzio per la casa solitamente piena di vita, e Louis non poté evitare di paragonarla a Harry. 
***
La porta era l’unica cosa che li separava. 
Solo una porta. 
I pugni di Louis risuonavano in tutto l’appartamento, Harry riusciva quasi a sentire la stanza tremare. O forse era solo lui. 
Perchè lui non aveva smesso di tremare. Anche dopo aver preso la sua decisione, anche mentre preparava lo zaino con le poche cose che gli sarebbero servite, non riusciva a smettere di tremare. 
Era finita. Quella era la fine. 
Harry sapeva che Louis non lo avrebbe mai lasciato. Sin dall’inizio era sempre stato Harry ad andarsene. Louis non poteva lasciarlo. Louis correva sempre verso di lui. Quindi era compito di Harry farla finita. Doveva andarsene. Doveva porre fine al dolore e alla sofferenza. Doveva proteggere Louis. Un ultimo atto di protezione. 
Perchè anche lui lo amava. Lo amava davvero. E amore significa sacrificio. 
Harry sapeva dove stava scappando. L’ultimo posto sulla terra. Il posto che aveva dimenticato. 
Casa sua.
 

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