2 - Qualcosa da dimenticare

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Sono seduto da ore in questo pullman e sono ore che mi chiedo quando giungerò a destinazione. Ho la testa schiacciata al finestrino, l'ipod nelle orecchie e la musica che mi ronza in testa. L'unico modo che conosco per mollare la realtà che mi circonda è questo, e ora più che mai devo alzare il volume. 
Sono partito da casa l'altro ieri, ho preso un aereo munito di un bagaglio a mano, e adesso su queste quattro ruote. Non ho alcuna intenzione di trattenermi più del dovuto a casa dei miei zii. Qualche giorno sarà più che sufficiente per alleviare il mio dolore. 
Immagino vi starete chiedendo quale sia, questo mio dolore. Beh, presto detto. Il dolore che fa soffrire milioni di persone nel mondo ogni giorno: il mal d'amore. Stavolta è toccato a me.
Ho conosciuto Al in un locale, durante una serata per il compleanno della mia migliore amica Kitty. Lui era lì con altre persone che presto si unirono alla congrega, una parola tira l'altra ed ecco che finimmo a parlare in terrazza. Sarei un bugiardo se vi dicessi che ricordo perfettamente quella serata. Ricordo solo di essermi svegliato nudo nel suo letto, i miei vestiti sparpagliati sul pavimento e lui addormentato sul mio petto. Iniziammo a uscire spesso da quel giorno, il sesso tra noi era fantastico (nessuno mi aveva mai scopato come lui!) e il suo modo di vedere le cose era molto simile al mio.
Questo finché non lo beccai inginocchiato davanti ad un altro... con la bocca piena. La rabbia e il nervosismo si impossessarono di me in un battibaleno e me ne andai. Tutti i suoi discorsi, le sue parole, gli amici ecc. andarono a farsi fottere in un attimo. Se c'è una cosa che non sopporto è essere preso per il culo ed è proprio quello che era accaduto. Quella stessa sera mi riempì di telefonate, parlammo per ore, ma ormai qualcosa dentro di me si era rotto e non ci fu modo per Al di recuperare niente. Per me avevamo chiuso e glielo dissi gridandogli in faccia quando piangendo si presentò alla porta del mio appartamento.
Peccato però che anche a distanza di mesi penso ancora a lui. Per questo motivo ho deciso di venire da queste parti. Lasciarmi quella storia alle spalle, dedicarmi ad altro, e stare lontano dai maschi per un po'.
Lo squillo del cellulare mi desta dai miei tristi pensieri. Mio zio.
«Ehi, ragazzo! Dove ti trovi?»
Avevo scordato quanto fosse allegra la sua voce.
«Beh... non so esattamente dove sono, sai? Sono ancora in pullman. Dal finestrino si vedono solo colline.»
«Colline, eh? Ma che tipo di colline?»

«Colline e basta. Ricordati zio che vengo dalla città e che ho attraversato metà continente per venire da queste parti.»
«Non scoraggiarti! Ti abituerai a quella vista! Senti adesso devo fare un salto in paese a prendere delle cose dal vecchio Tom, appena scendi da quel trabiccolo fammelo sapere, ok?»
«Perfetto.»
Riattacco e infilo il cellulare nello zaino ai miei piedi tornando a far vagare lo sguardo su quelle distese verdi. Spero con tutto il cuore che lo zio abbia ragione. Se questo posto dovesse offrire solo roba di questo tipo sai che palle.

Mi sveglio di soprassalto al suono di una campanella... e la voce assordante del conducente.
«Ultima fermata! I passeggeri sono pregati di scendere in ordine e senza far casino.»
Mi guardo intorno e vedo che a parte me sono solo cinque le persone rimaste a bordo. Velocemente afferro il mio zaino e mi dirigo verso l'uscita. Senza volere vado a sbattere contro un ragazzo alto e moro, che indossa una camicia aperta sul davanti e mostrare il petto muscoloso, e mi guarda da capo a piedi. A fisico non è messo affatto male...
«Bada a dove metti i piedi, o sarò costretto a farti assaggiare i miei pugni.»
«Scusa, è che sono scivolato» rispondo stringendo le cinghie dello zaino.
«Non mi frega un cazzo dei tuoi piedi, vedi di girare a largo... frocetto.»
E con una spallata mi passa davanti scendendo dal pullman.

Che fortuna! Sono appena arrivato in un posto a me del tutto sconosciuto e scopro che le persone cresciute in mezzo ai boschi non sono affatto diverse da quelle cresciute in una metropoli. Forse è un o scherzo del destino, ma essere chiamato frocio non è proprio proprio quello che volevo.
Il tipo continua a guardarmi storto anche dopo che ha recuperato un enorme borsone da palestra dal portabagagli. Mi fissa e alza il dito indice a indicarmi, fa qualche passo indietro e poi si volta andando per la sua strada. Che gli ho fatto di male? Giuro che se la gente di qui è ottusa come lui me ne torno a casa prima del previsto. Meglio lo smog della città all'aria salubre della montagna.

Il pullman riparte lasciando dietro di se una scia di pietrisco e una nuvola di polvere. All'orizzonte il cielo comincia a scurirsi e l'aria inizia a farsi più fresca nonostante la calura estiva.
«Pronto zio, sono arrivato.»
«Ohhh! Pensavo che non saresti mai sceso da quell'affare sulle ruote! Vengo a prenderti alla fermata del bus così andiamo a casa. Tua zia è così ansiosa di rivederti che non ha passato la giornata a sistemare la tua stanza!»
«Avevo dimenticato quanto la zia fosse emotiva! Va bene allora, ti aspetto qua?» chiedo sedendomi sulla panchina sotto una piccola pensilina in legno.
«E dove vorresti andare sennò? Lì attorno non c'è nulla!»

Mi sporgo in avanti ed è vero... Attorno non c'è nulla a parte la strada e alcune case in fondo a destra. Un brivido mi corre sulla schiena. Ho fatto bene a mollare tutto per venire qui? Sicuramente qua non ci sono distrazioni di nessun tipo. Pace e tranquillità non sono forse quello che cerco per scordare l'immagine di Al che se la spassa con un altro?

Una serata tranquillaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora