CAPITOLO 3

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Londra, 29 aprile 2014

Ritornarono a casa dopo essersi fermate a sgranocchiare qualcosina prima del pranzo effettivo. Effy era ancora sovrappensiero.
“Si può sapere a cosa stai pensando?” chiese Katie curiosa una volta varcata la soglia della porta d’ingresso. Effy lanciò le chiavi su un mobiletto e si fiondò in cucina per scolarsi mezzo litro d’acqua. L’hot dog mangiato le aveva seccato la gola. “Di che parli?” rispose in quel momento che finalmente la bocca era stata ripulita dai residui di sale.
“Non mentire..ti conosco benissimo..” i suoi occhi trafissero i suoi per poter leggerci dentro. Perché Effy parlava con lo sguardo e bastava guardarla attentamente per capire cosa la turbasse.

Elizabeth non aveva scampo. Non sapeva come distogliere l’attenzione dell’amica e cedette. “Ho trovato un orologio..”

“Wow…un orologio.” Katie ripetette con enfasi la parola fingendo di essere stupita.

“E’ un orologio…insomma, l’ho già visto da qualche parte ma non riesco a capire dove..”. Effy cadde a peso morto sul divano sbuffando. Non le piaceva quando un pensiero la tormentava, quando non sapeva dare risposta ai suoi interrogativi.

Katie cercò di riflettere con lei nonostante non avesse idea di come fosse fatto questo fatidico oggetto.
“Secondo me dovresti smetterla di pensarci troppo prima che diventi un’ossessione. In fondo, è solo un orologio…ce ne sono tantissimi uguali ad altri…Forse ti ha ricordato qualche vecchio orologio di tuo padre o..di tua madre..” elaborò questa congettura abbastanza convincente da riuscire a scacciare questo pensiero dalla testa di Effy.

Effy aveva capito perfettamente che l’amica voleva tagliar corto e decise allora di assecondarla rispondendo con un semplice “Hai ragione.”

Londra, 30 aprile 2014 ore 01:00

Tutto era silenzioso nelle anguste strettoie della periferia di Londra. Il limpido cielo blu punteggiato da fievoli e minuti bagliori di stelle, aveva l’arduo compito di sorvegliare dall’alto la metropoli addormentata. Il fragore del vento assorbiva le chimere di coloro che si erano lasciati accalappiare da un sonno profondo già da qualche ora, e a volte veniva scandito da innocenti schiamazzi di adolescenti alle prese con il brivido della notte, forse unico momento della giornata che fruttava in loro una sicurezza di giorno oppressa dai gesti, dalle parole, dagli sguardi, dai pregiudizi degli adulti che giganteggiavano sul loro cuore.

Libertà. Questo respiravano. Libertà.

Effy non si ricordava più cosa si provasse. Era stesa su un fianco con la mano sotto il cuscino e ascoltava attentamente tutti quei rumori, provenienti dall’esterno, che in qualche modo la coccolavano. Cercò di assorbire quella sensazione.

Dopo aver fatto un brutto sogno, succede che nel cuore della notte gli occhi, per scacciare dalla mente le immagini dell’incubo appena fatto, si aprono improvvisamente. La paura incombe e paralizza. L’unica parte del corpo capace di muoversi sono proprio gli occhi che verificano che non ci sia nessun mostro o strega nei paraggi. Capita però che nell’istante in cui si ha paura, ecco che si sente il vociare delle persone fuori casa. Persone che si salutano prima di andare a dormire, che si ringraziano a vicenda per aver trascorso una splendida serata. Insomma, persone sconosciute che parlano. Ecco, in qualche modo le loro voci hanno il potere di tranquillizzare e far sentire “a casa”. Come la ninna nanna della mamma o il frinire delle cicale. E il sonno continua.

Così si sentiva Effy. Come se dopo un brutto sogno, fosse confortata da quelle voci.

Pensò a quando lei faceva parte di quei cori. Di quei giovani che animavano l’oscurità. Chissà se era mai stata di conforto a qualcuno che aveva fatto un incubo.

Vuoti incolmabili #EffyStonemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora