5. Timori e paure

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CAPITOLO CINQUE

TIMORI E PAURE

Nevaeh aveva staccato già da un paio di ore i cadaveri dai ganci che li avevano tenuti sollevati da terra. Mentre lei ora era fuori, in piedi nell'enorme parcheggio completamente deserto se non fosse stato per la sua auto, i quattro Cacciatori che aveva prima torturato e poi ucciso giacevano scompostamente sul pavimento sporco della vecchia fabbrica abbandonata che aveva scelto come luogo d'azione.

Doveva farli sparire, lo sapeva perfettamente. Eppure era stanca, sentiva che tutte le sue energie le erano state strappate dal corpo fin dalla prima unghia che aveva strappato.

Con un tuffo al cuore si ricordò di essere tutta sporca di sangue, senza vestiti di ricambio e senza un modo per lavarsi prima di tornare in città. Inoltre nel bagagliaio della vecchia Opel Kadett non aveva nemmeno una pala per scavare una fossa in cui abbandonare i corpi senza vita che la aspettavano all'interno dell'edificio.

Doveva ammetterlo: non aveva progettato quel piano come avrebbe voluto. Tuttavia non la si poteva incolpare di nulla: si era aspettata Dean e Sam Winchester, lei, e non tre apprendisti Cacciatori con il loro paparino.

Sbuffò.

Perché le cose non andavano mai per il verso giusto?

Perché continuava ad incappare in tutti quegli ostacoli fastidiosi?

Si passò le mani sul volto distrutto e sospirò.

«Hai intenzione di rimanertene nascosta ancora a lungo?» domandò quando raddrizzò il collo.

Non c'era stato bisogno che l'Ombra le dicesse di essere spiata: si era sentita addosso un paio di occhi fin da quando a­veva messo piede fuori dal luogo del crimine e sapeva perfettamente a chi quegli occhi appartenessero.

Un rumore di passi le fece venire la pelle d'oca e perfino il vento, che si era alzato proprio in quel momento e che le gettava ora i capelli sul volto coperto di sangue, non era affatto d'aiuto.

«Come sapevi che ero lì?» La voce di Riley sembrò solleticarle la pelle del braccio sinistro quando le si avvicinò.

Nevaeh fece spallucce. «Mi sentivo osservata.»

«Eppure sapevi che ero io...»

La ragazza sospirò, la stanchezza che le incurvava le spalle e le appesantiva le palpebre. «Cosa vuoi, Riley? Pensavo di essere una "troia pazza e sorda" e che tu non volessi più aver nulla a che fare con me. Pensavo che fossero questi i termini secondo cui ci siamo lasciate a Lebanon.»

«Ho pensato che ti sarebbe potuta servire una mano,» fu la risposta.

«Oppure, molto più semplicemente, Fergus ti ha rimandata da me per tenermi d'occhio.»

Il demone aggrottò le sopracciglia e Nev gli vide dipinta sul volto una maschera di confusione, quando si girò finalmente a guardarlo.

Riley scosse la testa, sorvolando sul modo in cui la ragazza aveva chiamato il suo capo. «No, Crowley non c'entra nulla.»

«E come posso fidarmi?» Nev incrociò le braccia al petto. «Perché, poi, dovrei fidarmi di te

«Pensavo fosse questo che volevi,» ribatté Riley. «Noi due contro il mondo, come ai bei vecchi tempi. Che poi, cavolo, non è che fossero proprio fantastici, intendiamoci. Però pensavo avessi detto a Crowley di aver bisogno di me – e quindi ora eccomi qui, di nuovo.»

«Non sopporterò altri insulti da parte tua,» le fece notare la ragazza.

Il demone scosse la testa. «Basta insulti,» annuì.

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