Casa

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«Sono a casa!» disse un allegro Victor, non appena varcò la soglia di casa, lasciando cadere a terra il borsone. Avanzò dubbioso, quando non gli corse nessuno incontro.
Strano.
Si tolse il cappotto e lo lanciò verso l'attaccapanni a muro e, troppo impegnato a cercare traccia del compagno, non badò al fatto che fosse finito sul pavimento, trascinando con sé anche quello del giapponese.
«Yuri sei qui?» chiese, quando mise piede in cucina, solo per constatare che dell'altro non vi era nessuna traccia. «Makkachin...?» provò allora, poggiando le mani sulla penisola di marmo rosa e allungandosi, appurò che non si fosse rintanato nel suo angolino preferito: il tappeto ai piedi del lavandino era vuoto ‒ solo la ciabatta mordicchiata di Yuuri che fuoriusciva da sotto il tessuto fuxia.
Fu proprio l'assenza dell'animale a spingerlo a tirare fuori il cellulare dalla tasca posteriore, nonostante sapesse che Yuuri non sarebbe mai uscito senza averlo prima avvisato in qualche modo. Fu proprio questo pensiero che lo spinse a dirigersi nel salottino adiacente e non poté fare a meno di sorridere dolcemente quando vide Yuuri, addormentato sul divano, abbracciato a Makkachin.
Avanzò lentamente, cercando di non fare rumore e dopo essersi inginocchiato, allungò una mano per accarezzargli il viso.
Yuuri si mosse, infastidito, svegliando Makkachin.
«Ssst! Non vogliamo svegliare...» Ma non finì la frase che l'animale gli si fiondò addosso, facendolo finire sul pavimento. «Makkachin», rise, abbracciandolo e quando, infine, riuscì a mettersi seduto, ritrovò su di sé lo sguardo smarrito di Yuuri.
«Devo essermi addormentato», mormorò Yuuri, tirandosi su e strofinandosi gli occhi, per poi rivolgergli un sorriso dolcissimo. «Bentornato a casa!»  

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