23. Sono tornato per vendicarmi.

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Alea iacta est
(Il dado è tratto)
-Cesare

Accettare l'invito di Massimo era stata forse una delle cose più sciocche che avessi mai fatto; anche più sciocca di quella volta che avevo mentito alla mia migliore amica dicendole che mi era morto il cane, quando lei era ben consapevole che non avessi animali domestici.

Mi ero rimproverata a lungo, colpendomi la fronte con il palmo della mano così tanto forte che al mio ritorno Greta mi aveva chiesto se avessi fatto a pugni. Poi era scoppiata a ridere dicendo che era impossibile per me.

Avevo cercato di non essere troppo appariscente con quello che stavo indossando per non dare l'idea sbagliata, poi mi ero data della stupida dal momento che avevo una divisa da indossare; una divisa che Massimo conosceva fin troppo bene.

Greta era rimasta sul letto, con il computer acceso, guardando una nuova puntata de El Barco. Era così concentra che anche quando l'avevo salutata, prima di andare via, non aveva dato segno di avermi sentita.

Le avevo raccomando di non iniziare una nuova serie Tv senza di me, ma mi aveva ignorata farfugliando di averne bisogno. Non ero realmente arrabbiata ma per arrivare alla puntata che stava guardando, avrei dovuto dedicarmici, ignorando qualsiasi altra attività.

Essere all'università aveva il vantaggio che potevo scegliere se frequentare o no i corsi. Di conseguenza, erano più i giorni che rimanevo a casa che quelli di frequentazione.

M'infilai in quella che doveva essere la mia macchina, nonostante sembrasse più un catorcio. Non avrei mentito: non aveva nulla di bello. Ma era l'unica cosa che mi fosse possibile avere.

Uno specchietto era staccato dalla macchina mentre una lieve ammaccatura rovinava il cofano. Imprecai quando, parcheggiata l'auto fuori all'osteria, sbagliai i calcoli e mi scontrai con un palo.

Guardai il segno lasciato e colpii la testa contro il volante, prima di scendere e correre dentro. Avevo finito di romperla.

Il solito odore di vino e sigarette giunse alle mie narici, disturbandomi. Ero abituata a tutto quello, ma ciò non avrebbe mai cancellato il fastidio che mi provocava essere investita da quella nube di fragranze.

Rosa era dietro al bancone come al solito, con un grosso cipiglio in volto mentre leggeva quanto scritto sul taccuino. La mia scrittura era illeggibile, ma lei non riusciva a capire la sua, il che era peggio.

Squadrai tutto quel che mi circondava con fare inquieto. Non avevo ancora visto Massimo e non sapevo quanto questo fosse positivo per il mio benessere, fin quando non tirai un sospiro di sollievo.

«Caspiterina, ma cosa ho scritto?» Rosa avvicinò il taccuino fin sotto il naso, percorrendo con attenzione il foglio sporco d'inchiostro.

«Potrebbe essere una z... o forse una r? E questa è una c? No, è una e! Ren... rem». Le sfilai il libricino dalle mani prima che potesse perdere la pazienza.

«C'è scritto ripetere, per quel che significa».

«Certo! Ripetere l'ordinazione. Che cosa farei senza di te?» e si mise all'opera.

Sorpassai la porta dalla pittura di un verde pistacchio, salutando le ragazze che si stavano preparando. Afferrai la divisa dall'armadietto e la infilai subito dopo essere rimasta nuda: non mi piaceva che le altre mi guardassero. Non avevamo confidenza fino a questo punto.

Mi allacciai le scarpe, facendo passare abilmente le stringhe da una parte all'altra, per poi unirle fra di loro in un nodo perfetto.

Quando arrivai accanto a Rosa, lei stava mormorando qualcosa sottovoce alla nuova arrivata. Era così assorta che nemmeno si era accorta di me.

Suspended ( #1 Trilogia: La scelta )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora