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Il 4 marzo, il Comandante Close della nave Ellenborough riferì che il nucleo era uguale a una stella di magnitudo 3. Aggiunse che la coda presentava una linea scura che la attraversava, dipanandosi dal nucleo e percorrendola fino alla fine. La coda aveva ormai assunto una considerevole curvatura. Certe notti la cometa era così luminosa da gettare una forte luce sul mare.

L'astronomo King osservò, con il suo potente telescopio, che il nucleo era una macchia stellare rossastra con angoli ben definiti. Era posta a 8° sull'orizzonte.

H. A. Cooper, da Pernambuco, in Brasile, la descrisse nell'insieme "come particolarmente sottile, senza nessuna nebulosità, di un'estrema brillantezzauna tonalità orocon una linea dello stesso colore tracciata ben visibile che si dipana dal nucleo e continua per la lunghezza della coda, la quale ha raggiunto i 30° ed è di un argento opaco, e diviene meno densa finché si perde nell'oscurità dello spazio".

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4 marzo 1843

Era mattina presto e tornavo dal fienile. Mi sentivo così assonnato che faticavo a mettere un piede avanti all'altro. Passai in prossimità della casa di Estella, nel mio giro collaudato. La vidi: stava stendendo il bucato. Indossava di nuovo l'abito giallo. Doveva essere piuttosto mattiniera. Il cielo non si era ancora schiarito e lei si dava già da fare. Un sottile vento proveniente dall'oceano muoveva la tela di un abito bianco e il rettangolo delle lenzuola.

«Buongiorno» le dissi.

«Tornate dal vostro osservatorio?» domandò lei. Mi guardò stare in piedi come uno spaventapasseri inchiodato a un palo. Non osavo muovermi.

«Gradite una tazza di caffè? Venite in casa.»

Era quello che volevo. La seguii. Il cottage, che tanto aveva inorridito me e i miei fratelli da bambini, visto dall'interno era piccolo e spoglio.

«Sembra una casa che è pronta ad essere abbandonata» osservai.

Nel salotto, poco più grande della metà del nostro, c'erano un tavolo di legno, sei sedie, una credenza alta e tozza e una minuscola ottomana su cui non avrei potuto stendermi per dormire, se fossi rimasto da lei.

Estella andò alla stufa, che era accesa ed emetteva un lieve calore. Aprì lo sportello, aggiunse un ciocco di legno, lo richiuse usando l'apposito strumento di ferro e mise dell'acqua a bollire.

«Non avete ancora avuto modo di disfare le valigie?» domandai, sedendomi a capotavola, mentre lei si accomodava accanto a me.

«No. È incredibile quanto veloce corra il tempo e come presto finiscano i giorni. Forse sono io a non essere abile, ma non riesco a far tutto. Non so badare a una casa. Mentre sto facendo una cosa me ne viene a mente un'altra, smetto di fare quello che faccio e comincio un'altra occupazione e così via, fino a che viene il pomeriggio e mi accorgo di non aver terminato nulla.»

«È solo mancanza di abitudine» la incoraggiai. «Anch'io e i miei fratelli passammo giorni difficili, per quanto riguardava l'organizzazione, quando la madre di Molly si trasferì. Fra l'altro ci lasciò una bambina di cui due ragazzi inesperti erano costretti ad occuparsi. Non fu facile; ci furono pasticci e discussioni, ma ce la cavammo.» Cercai di rassicurarla. «Fra non molto tempo diverrete un'ottima padrona di casa.»

«È che non mi sono mai trovata a dover gestire incombenze del genere» ammise lei.

«Dove vivevate prima? Avevate qualcuno che si occupava di voi?»

Non rispose. Immaginai che dovesse provenire da un orfanotrofio o da qualche casa in cui era stata ospitata. Un asilo di cui non serbava buoni ricordi e di cui non voleva parlare. Pensai che il luogo e il nome fossero parte delle stesse scomode memorie.

«A voi piacciono molto le stelle» disse, osservando il quaderno che le avevo mostrato durante il pranzo del giorno precedente e mi portavo sempre appresso con il piccolo cannocchiale che lo accompagnava.

«Mio padre amava il cielo e io ho ereditato le sue passioni» spiegai. «Lui era interessato alle costellazioni.» Aprii il quaderno. «Vedete? Questi sono appunti suoi, la calligrafia è differente. Qui parla dell'Orsa maggiore e qui di quella minore. Cominciò quando lui e mia madre abitavano a New York. Là il cielo non si può scrutare nella sua immensità come accade in Australia. Io, a differenza sua, sono maggiormente interessato ai corpi celesti in movimento. Da dove arrivano? Dove vanno? Qual è il loro scopo nell'universo?»

«Voi siete un astronomo.»

«Mia cara, sto studiando per diventarlo. Allo stesso tempo sto portando avanti altri studi per ottenere una laurea. La mia famiglia voleva che diventassi un costruttore e progettassi abitazioni, uffici, ponti: ogni genere d'infrastruttura, di modo da poter mantenere un impiego sicuro in una landa isolata come questa dove si investe molto in progetti per gli immigrati.»

«Una cosa escluderà l'altra?»

«Accade spesso, ma non è detto che non debba riuscirvi.» La guardai. «Se dovessi scegliere, sappiate che propenderei per la prima occupazione, anche se la mia migliore prospettiva sarà la miseria.»

«È così spaventosa la miseria?» domandò.

Guardai la stanza.

«È vivere con pochi averi, cercare di sopravvivere ogni giorno con ancor meno dell'indispensabile. È un po' come questa casa, nelle condizioni in cui versa ora. Le pareti spoglie, qualche fiore che può essere colto da un campo e messo dentro un bicchiere, e indossare lo stesso abito che sia inverno o estate.»

Mi zittii, certo d'averla offesa con più di un riferimento alla sua condizione. Maledissi il mio modo di esprimermi e finsi di continuare ad osservare il quaderno, imbarazzato. Lei si alzò, prese il bollitore dell'acqua e lo pose sul tavolo.

«Come si usa?» domandò quando mi mise davanti la caffettiera, che era di tipo napoletano.

«Non sapete usarla?» replicai, sconcertato.

«No. Ho chiesto al mio affittante ma è stato troppo rapido nella spiegazione.»

Svitai le due parti della caffettiera e le mostrai in quale doveva versare l'acqua e dove collocare il filtro per il caffè, sperando che ne avesse di macinato.

«Mettete l'acqua qui dentro e avvitate in questo modo, assicurandovi che sia chiusa. Poi la sistemate a bollire su un fuoco non troppo vivo.»

«L'acqua è già calda.» Indicò il bollitore.

«Lo so. Ma è così che si fa. Vi avrei interrotto, ma non credevo che voleste darmi del caffè. Quando vi ho visto trafficare credevo aveste optato per un the. Non avete accenti particolari, ho pensato che foste inglese e preferiste the per colazione.»

Lei fissò la caffettiera, smarrita. «Potreste mostrarmi come si fa?»

La Grande Cometa del 1843Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora