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Il 6 marzo, il giorno in cui la cometa sfiorò il nostro pianeta, riuscirono a misurare la coda con un'ottima approssimazione. Stabilirono 36° in estensione, e un telescopio con una lunghezza focale di 7.5 piedi mostrò che il nucleo era un disco ben definito simile a quello di un pianeta, il diametro del quale fu calcolato essere circa 12". La coda appariva scura lungo il suo asse, quasi fosse cava. A metà circa si separava in due parti, la superiore più lunga dell'inferiore.

Gilbert, l'astronomo di stanza nell'isola di Sant'Elena, smentì queste rilevazioni asserendo che la coda aveva superato i 42.9°. Kay, invece, la ridimensionò a 23.3°.

C'era molta confusione attorno al corpo celeste da qualche tempo compagno degli abitanti della Terra. Ognuno voleva dire la sua, possedere per il tempo concesso i segreti della cometa.

Oltre agli astronomi, s'intromisero gli uomini comuni. Un passeggero della nave Lawrence disse che la lunghezza della coda era di 50°, composta da due flussi di luce con gli angoli esterni chiari e ben definiti.

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«Ci sono due parti di me che stanno emergendo» mi disse Estella, il 6 marzo. «L'una è più forte e, credo, destinata a durare prendendo il sopravvento. Tu eserciti su di me un'attrazione, la cui natura conosco ma stento a definire.»

Fu come ricevere un proiettile. Non ero preparato che fosse lei ad esporsi per prima. Non avevo ancora capito che genere di persona fosse e quale comportamento avrei dovuto tenere qualora avessi voluto ridurre la distanza fra noi. Era molto diretta in alcune sentenze, mentre in altre mi lasciava l'amaro in bocca, la sensazione di non comprenderla appieno. In particolare, udivo ciò che mi diceva, le mie orecchie lo ricevevano, ma non riuscivano a trasformarlo in significato coerente.

Provai una felicità ubriaca quando mi disse che sentiva qualcosa per me. «Ti sei affezionata a me come io lo sono a te?» domandai.

«Qualcosa di più forte» confermò lei, ma non sorrise. «È come se mi fossi incanalata in una direzione dalla quale non posso più deviare. La mia strada porta a te. La notte il tuo pensiero mi veglia ed è ancora lì la mattina, il pomeriggio, la sera e di nuovo quando viene il buio. È un'inquietudine continua a cui non c'è sollievo.»

La abbracciai, cingendola. La stoffa del suo vestito era leggera e carica di elettricità. Lo sentii sulle braccia scoperte che sbucavano dalle maniche arrotolate della maglia.

«Vorrei stare con te» le dissi.

«Noi siamo insieme.»

«Non intendevo dire oggi, Estella. Non è facile comunicare a una persona appena conosciuta che la ami, che credi sia la creatura che Dio ti ha mandato perché tu sia felice.»

«È questo il nome che si dà all'attrazione che ci lega?»

Non le dissi che avevo provato attrazione per altre giovani prima di lei, ma che era evaporata molto prima che potessi rendermi conto che si trattava di un'infatuazione per un bel viso, un portamento o lunghe gambe. Quello che sentivo per Estella giungeva da un luogo sconosciuto che non erano la mente o il cuore. Era l'ordine di continuare a cercarla nei giorni, sperando di incontrarla o vederla per qualche istante. Dovevo essere certo della sua esistenza. Più la toccavo, più volevo il suo corpo. Emanava una lucentezza nel cui cono riuscivo a sentirmi in pace.

«Sei il mio sole» disse lei, afferrandosi a me.

La Grande Cometa del 1843Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora