Capitolo 11

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Ethan.

È tutta la notte che non riesco a dormire.
Non faccio altro che rigirarmi tra le coperte, consapevole che tra qualche ora incontrerò mio padre e con me ci sarà Ginevra.
Ma cosa mi è passato nella testa quando ho accettato che venisse con me?
Mi passo una mano tra i capelli e sento il mio cuore rimbombare nelle orecchie, nello stomaco.
Sono un fascio di nervi e questo battito incessante non aiuta per niente.
Fisso il soffitto e penso alle parole di Ginevra.
Ha ragione, non so neanche quello che voglio. Sono così frustato e confuso.
Scosto bruscamente le coperte e mi alzo.
Attraverso il corridoio e mi butto sul divano. Magari cambiando posto è più facile addormentarsi...
Chiudo gli occhi concentrandomi sul silenzio che inonda la casa.
Sento alcuni passi leggeri avvicinarsi e successivamente un sospiro leggero.
Tengo gli occhi chiusi e cerco di ascoltare perfettamente ogni piccolo movimento di Ginevra.
Sento che si siede accanto a me e passa una mano tra i miei capelli, facendomi fremere le palpebre.
Le alzo piano, incontrando le sue iridi chiare e le sue guance arrosate.
È così bella.
<<Scusa, non volevo svegliarti.>>
Le sorrido e richiudo gli occhi.
<<Puoi restare, se vuoi.>>
Mi si accoccola accanto e poggia la testa sul mio petto.
La stringo a me e mi muovo per mettermi più comodo.
<<Stiamo scomodi, è meglio che provo a dormire nel mio letto.>>
Nego con la testa e la stringo a me.
Finalmente si arrende e finalmente io riesco ad addormentarmi.

I primi raggi del mattino mi svegliano.
Strofino gli occhi e cerco di alzarmi ma noto un particolare di cui mi ero scordato, Ginevra tra le mie braccia che dorme tranquilla.
Accarezzo le sue guance e i suoi capelli. Le sue palpebre fremono e, poco dopo, i suoi occhi assonnati sono davanti ai miei e mi osservano confusi.
<<Buongiorno, ma che ore sono?>>
Butto un occhio all'orologio e noto che è abbastanza presto.
<<Sono solo le sette.>>
Lei si scosta, permettendomi di alzare e di stiracchiarmi come i gatti.
Vado in bagno e mi sciacquo la faccia, cercando di svegliarmi.
<<Scusami per ieri, non volevo essere così stronza.>>
Appoggio le mani al lato del lavandino e la osservo nello specchio.
Sposta il peso da un piede ad un altro, lo fa quando è ansiosa.
<<No. Hai ragione tu, ho solo bisogno di tempo e di risolvere alcune cose.>>
Annuisce ed esce dal bagno.
Sospiro e mi passo una mano tra i capelli.
Perché non può essere tutto più semplice?

Dopo aver fatto una doccia veloce, lascio il bagno a Ginevra e vado a prepararmi.
Infilo i pantaloni neri della tuta e una maglia anch'essa nera.
Friziono i capelli e li lascio leggermente umidi, così come capitano.
Esco dalla mia stanza e trovo la colazione già pronta.
C'è di tutto! Sono mancato solo dieci minuti...
<<Non sapevo cosa ti piacesse così ho fatto un po' di tutto.>>
Le sorrido riconoscente e le bacio una guancia, per ringraziarla. Il suo profumo mi arriva dritto nelle narici, è dolce e salmastro allo stesso tempo.
<<Grazie.>>
Ci sediamo entrambi intorno all'isola e mangiamo la maggior parte della colazione.
<<Sei pronta per andare?>>
La osservo attentamente. È troppo colorata, questa maglietta verde militare mette troppo in risalto le sue forme.
Arriccio il naso e le passo una mia felpa leggera nera, forse troppo grande per lei ma conosco bene mio padre e le persone che lo circondano.
Senza fare domande, la indossa ed insieme usciamo di casa.
Percepisco a pelle il suo nervosismo e cerco di tranquillizzarla, prendendole la mano. Lei la stringe forte e respira profondamente.

Saliamo in moto ed è come se non me ne fossi mai andato da qui. La strada la so a memoria per arrivare alla sua dimora.
Ci allontaniamo sempre di più dal centro città fino ad arrivare in periferia, vicino un piccolo bosco.
Se non ci fossi cresciuto penserei che è inquietante.
Non è cambiata per niente questa casa, sempre sfarzosa ed enorme.
Parcheggio la moto davanti casa e mi osservo intorno, questo silenzio è fin troppo assordante.
<<Andiamo?>>
La sua mano è nella mia e subito sento la preoccupazione abbandonarmi.
Annuisco e spingo il cancello, aprendolo.
<<Guarda guarda chi si vede.>>
Mi giro di scatto verso quella voce troppo familiare e spingo Ginevra dietro di me.
<<Carlos.>>
<<Ethan. Qual buon vento ti porta qui, con noi?>>
<<Devo parlare con mio padre.>>
Il mio tono è decisamente troppo freddo, tanto che sento Ginevra sussultare.
La risata di Carlos spezza questo silenzio infinito e mi fa accaponare la pelle.
<<E quella ragazza dietro di te? È il regalo per farti perdonare?>>
Aggrotto le sopracciglia e le stringo la mano.
<<Devo parlare con mio padre.>>
Inizio ad incamminarmi verso il portone quando la mia mano scappa da quella di Ginevra e sento che si allontana. Mi giro velocemente e la vedo tra le braccia di uno dei scagnozzi di mio padre. Stringo la mascella e mi avvicino a loro ma il ragazzo esce una pistola che mi fa paralizzare sul posto.
Ti prego no.
<<Ethan...>>
Ginevra ha gli occhi pieni di lacrime e sta cercando un aiuto da parte mia.
<<Carina la tua amica. Io sono Ryan, tu?>>
Mentre le parla all'orecchio accarezza il suo collo con la pistola.
Rabbrividisco e deglutisco impaurito.
<<Lasciala stare.>>
Ryan scoppia a ridere e mi guarda dritto in faccia.
<<Se no? Mi picchi o chiami la tua mammina?>>
Stringo i pugni e guardo Ginevra.
Sto per ribattere ma una voce mi fa bloccare sul posto.
<<Lasciali entrare, Carlos. Volevo  vederlo io.>>
Non sentivo questa voce profonda da anni ormai e non mi mancava per nulla al mondo.
Mi giro verso di lui e resto impietrito.
Sempre lo stesso uomo, ben piazzato ed anche abbastanza giovane. Mi guarda con rabbia ed un po' di felicità.
I brividi si cospargono su tutto il mio corpo e una voglia immensa di vendetta invade le mie vene.
<<Lei la lasciamo entrare, boss?>>
Ryan allenta la presa di Ginevra e lei scappa velocemente dalle sue braccia per fiondarsi nelle mie.
La stringo a me e respiro tra i suoi capelli.
<<Ho avuto paura.>>
Sto rovinando tutto ciò che ho intorno.
<<Ci sono io adesso.>>
Le bacio i capelli ed insieme andiamo verso mio padre.
Lui la guarda con interesse, uno sguardo che non mi piace nel nulla al mondo.
<<Carlos, Ryan fateli accomodare in salotto e non lasciateli soli.>>
Carlos prova a mettere una mano sulla mia spalla ed una su quella di Ginevra ma lo scosto bruscamente. Non voglio essere toccato da queste luride mani.
<<Non toccarla. La strada la conosco già, grazie.>>
Carlos sorride malefico ed alza le mani in aria, come per arrendersi.

Quando sono andato via da questa casa non aveva tanti oggetti preziosi, non era piena di sfarzo.
Era una casa normale per una famiglia normale.
Sospiro rassegnato e mi accomodo sul divano, faccio sedere Ginevra accanto a me e le sussurro all'orecchio.
<<Non accettare niente e non parlare.>>
Lei annuisce e mi sorride impercettibilmente.
Come fai ancora a sorridermi? Io sarei scappato a gambe levate.
Nella sua stretta di mano e nei suoi occhi trovo un minimo di forza per non scappare via da ciò che mi ha rovinato la vita.
<<Allora. Perché sei venuto a parlarmi?>>
Mio padre si siede davanti a noi, mentre fuma uno dei suoi sigari.
I capelli sono schiariti, sono più grigi che neri.
Le rughe contornano i suoi occhi e le sue labbra.
Mi sembra cambiato in meglio, caratterialmente, ma non sono più sicuro neanche chi sia.
<<Perché sei venuto a casa?>>
Sorride maligno e si passa una mano tra i capelli, ricordando anche i miei gesti.
<<Mi mancavate. Mia moglie, tu e sopratutto tua sorella.>>
<<Non la devi neanche pensare mia sorella. Sei un pezzo di merda e devi lasciarci in pace.>>
Sussulta e sorride.
<<Come sta la piccola Sophia?>>
Scatto in piedi e mi lancio su di lui, afferro il colletto della sua camicia e lo guardo dritto negli occhi.
Mio padre alza una mano per fermare i suoi scagnozzi e deglutisce piano.
<<Non la devi nominare. I veri padri non farebbero mai una cosa del genere alla propria famiglia, capito? E spero di non diventare un padre come te, un giorno.>>
Un tocco leggero sulla spalla mi fa lasciare la camicia di mio padre.
<<Ethan...>>
La mano di Ginevra accoglie la mia e la stringe.
Come avrei fatto a contenermi senza di lei?
<<Ho sbagliato, volevo solo darvi il meglio.>>
Mi trattengo di alzarmi in piedi e scagliarmi contro di lui.
<<Darci il meglio? Picchiavi me perché difendevo mamma e stavi per vendere Sophia, per droga. Stavi per dare tua figlia a un gruppo di pazzi per droga, per soldi. Per popolarità. Ma ti ascolti quando parli? Mi fai solo schifo.>>
Mi alzo in piedi e anche Ginevra scatta, pronta per andare.
Le stringo la mano e la guardo le un secondo.
<<Sono venuto solo per dirti di tagliare tutti i ponti con noi. Lasciaci vivere in pace, dopo anni. Se ritorni un'altra volta a casa e minacci la mia famiglia, racconterò tutto alla polizia. Tutto.>>
Lo guardo un'ultima volta negli occhi scuri, così diversi dai miei.
Esco da quella casa trascinandomi dietro Ginevra, nessuno prova a fermarmi, a scusarsi.
Almeno provare a ricostruire un rapporto.
Mi rendo conto di essere solo un povero illuso e di aver messo la vita di una persona in pericolo solo per minacciare mio padre.
Sono stato così stupido.
<<Ethan.>>
Continuo a camminare senza fermarmi. Devo raggiungere la mia moto e devo andare a nuotare.
Ho bisogno di nuotare.
<<Ethan, fermati.>>
Mi blocco sui miei passi e porto le mani in faccia, per coprire i miei occhi colmi di lacrime.
<<Ehi...>>
Mi abbraccia e appoggio il viso nel suo collo. Alcune lacrime scendono sulle mie guance e le sue mani salgono e scendono per tutta la mia schiena, facendomi rilassare.
<<Va tutto bene...>>
Mi alzo dal suo collo e la trascino via.
Ho già dato troppo spettacolo davanti a quelle merde.
Li odio tutti.
Mi appoggio alla moto e l'attiro a me per i fianchi.
<<Grazie, io al tuo posto sarei scappato appena varcato il cancello.>>
Le accarezzo la guancia e le sorrido.
Lei sorride di rimando e mi attira in uno dei suoi abbracci caldi.
<<Devo spiegarti tutta questa faccenda, sarai sconvolta e ti capisco se non vorrai saperne più di me.>>
Lei aggrotta le sopracciglia e mi sorride.
<<Me ne parlerai solo quando sarai pronto. Io sono qui per te.>>
Mi passa una mano tra i capelli e l'appoggia sulla mia guancia, accarezzandomi leggermente la barbetta.
<<È tardi. Ti va di andare a mangiare qualcosa, magari in un ristorante caratteristico?>>
Annuisco alla sua proposta e le porgo il casco. Metto in moto e la faccio salire, subito mi abbraccia e appoggia la testa sulla mia schiena.
<<Dopo dovrei nuotare, ti dispiace?>>
Nega con la testa e mi sorride comprensiva.
Mi immetto in strada ma la mia testa è totalmente da un'altra parte.
Cerco di scacciare i ricordi dalla mente e mi concentro sul viso di mia sorella.
Ti proteggerò a costo della mia stessa vita.

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