Siamo noi i nostri nemici

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Pochi ma temuti colpi squarciano l'aria. Mi riparo impaurita dietro un cumulo di dettiti una volta chiamati Scuola. Ma non c'è più tempo per la scuola. La scuola serve a crearti un futuro, ma ormai il futuro te lo devi guadagnare con le armi, e non dietro a un banco. Una granata cade a pochi metri da me, e mi risveglio dai miei nostalgici pensieri. Ho 15 anni ormai, ma l'età non conta più. Da quando è iniziata la Terza Guerra Mondiale, la Grande Guerra, l'Ultima Guerra, nulla conta più. La pace è come la fiducia, fragile quanto preziosa. Ma si sa che una volta persa è difficilissimo ricostruirla. Nessuno sa quando o perché è iniziata questa guerra di preciso. Io so solo che è iniziata per avidità, come tutte le altre del resto, e che è iniziata troppo tempo fa. Io sono nata con la guerra, e se non sto attenta morirò prima che finisca. La radiotrasmittente mormora metallicamente nella tasca della mia giacca. "A tutti e tutte, ritrovo dietro le mura, ripeto, ritrovo dietro le mura". La rimetto in tasca e accarezzo spaventata l'impugnatura della mia arma. È orribile uccidere, i rimorsi ti rimangono dentro, i corpi senza vita delle tue vittime e le loro urla strazianti ti perseguitano in sogno, convivi con l'ansia e il senso di colpa. Ti senti un mostro, anzi, lo sei. Però, o tu o loro, e l'uomo è egoista di natura. In un attimo mi tornano in mente tutte le volte in cui ho sparato, accoltellato, magari spesso anche alle spalle solo perché qualcuno mi diceva che era giusto. "Sei solo un burattino nelle mani del destino". Era questa la frase che il sergente 245 aveva tatuata sull'unico braccio che gli rimaneva. È così, sparo perché mi hanno insegnato a farlo.
Mi butto a testa bassa tra le macerie, pregando qualcuno a cui non credo di non essere colpita dai proiettili vaganti. Finalmente raggiungo le mura, o meglio ciò che ne rimane. Mi unisco sollevata agli altri fortunati superstiti di stamattina. Molti non ci sono, e la maggior parte degli assenti non tornerà più. I sergenti 245 e 191 ci distribuiscono munizioni e barrette di proteine. Prendo meno proiettili possibile, non voglio dover sparare ancora, anche se so che devo. Una barretta al sapore di polvere da sparo mi finisce tra le mani. Ho fame, ma me la devo far durare fino al prossimo raduno, quindi non la apro nemmeno. Ricarico la piccola arma che ho in mano, e ascolto attenta il sergente 245 che ci da le poche e rassicuranti parole di speranza che ci danno la forza di continuare a lottare. Ma proprio mentre il sergente ci distribuisce le nostre dosi giornaliere di coraggio, un'ombra enorme copre la nostra base tra le macerie di quello che una volta era il muro di confine della città. È un enorme elicottero con i silenziatori alle eliche, uno da guerra. È nero come il cielo di notte quando non c'erano ancora le esplosioni a rischiararlo in questo giorno perenne che non incontra mai tramonto. L'elicottero ci prende alla sprovvista, non abbiamo le forze e l'attenzione giuste per reagire come dovremmo. La paura non si sovrappone però, alla mia lucidità, e tra le urla di ordini e di terrore riesco a individuare una nicchia di muro dove rifugiarmi, tra i corpi morti di quelli che hanno trovato l'onore del l'eterno riposo prima di me. Mentre corro verso il mio rifugio, un proiettile nemico proveniente dalla mitragliatrice dell'elicottero mi colpisce alla gamba sinistra. Un dolore tremendo mi annebbia la vista. Sento la gamba esplodere dal dolore, che mi sale alla gola e poi alla testa, mi sento svenire. Mi viene da urlare, e spero quasi che la morte porti presto fine alle mie sofferenze. Mi mordo il labbro inferiore più forte che posso per non urlare, e grosse lacrime mi puliscono le guance dalla fuliggine della guerra. Mi trascino con le poche forze che mi rimangono al mio rifugio nel muro. Intanto l'elicottero atterra a meno di cento metri da me, e le porte di spalancano lasciando uscire delle scalette compatte. Non ho mai visto il mio nemico in faccia, ho sempre sparato al suo nome. Il mio nemico è la guerra, e combatto perché essa finisca. Ma ho sempre ucciso senza guardare in faccia il cattivo, sono sempre scappata alla sola idea del suo nome. E adesso, finalmente, potrò vedere la faccia di coloro che combatto. Dei tamburi sordi e macabri squarciano l'aria tra i sibili degli spari. Dalla scaletta metallica scendono ragazzi, adulti, donne e bambini. Siamo noi. Sono dei nostri sosia uguali identici, il nostro nemico siamo noi. Hanno le nostre facce spaventate e piene di odio e sofferenza, hanno i nostri pensieri e provano il nostro orrore nel provocare dolore. Stiamo combattendo contro noi stessi, e così facendo possiamo solo autodistruggerci. La ferita alla gamba intanto perde sempre più sangue, e di qui a pochi minuti sarò morta dissanguata. Ma adesso so perché sto morendo, so perche questa guerra sarà l'ultima, so che per tutta la nostra vita abbiamo combattuto contro noi stessi. Accetto questa morte perché ormai è troppo tardi per smettere di lottare. Avrei dovuto capirlo prima, avrei dovuto capirlo che siamo noi i nemici di noi stessi.

Uno_fra_tanti

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