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Dylan
È da un po' che non vedo Madison. Da quando è andata via zia, lei è salita di sopra e io sono rimasto di sotto a parlare con i miei.
«Ragazzi io vado a dormire. A domani» li saluto andando in camera.
Vedo che la porta del balcone è aperta e che i vestiti di Madison sono per terra lì vicino. Comincio a pensare al peggio, così preso dal panico esco sperando di non trovare lei e mio fratello avvinghiati uno all'altro, ma la scena che trovo, è ancora peggio.
Madison è in intimo sopra la ringhiera del terrazzo con una bottiglia di vino in mano e cammina tranquillamente su quel piccolo pezzo di metallo.
«Ti ho detto che ho fatto ginnastica artistica per un paio di anni?» Biascica camminando per poi girarsi di scatto. Corro verso di lei e la prendo in braccio.
«Lasciami lasciami» si dimena trascinando le parole. È ubriaca.
«Sei impazzita? Se fossi caduta da lì sopra saresti potuta morire» la rimprovero chiudendo la porta.
«Ma non è successo perché tu sei il mio principe azzurro e vieni sempre a salvarmi. E poi sono una brava ginnasta, vero?» Chiede mettendosi a fare dei salti strani.
«Forza Madison mettiti a dormire» le dico indicandole il letto.
«Ehi bello tu non sei mio padre. A dire la verità io non ce l'ho un padre, non mi ha mai voluto e quindi non sei tu che devi prendere il suo posto» dice facendo un sorriso per poi inciampare sui suoi stessi piedi e cadere a terra.
«Mad sei ubriaca non sai quello che dici» le ricordo.
«Si che lo so. E tu,» dice indicandomi «sisi proprio tu bellimbusto. Sei un grandissimo stronzo. Perché non sei da Amanda? Hai detto che è bellissima e poi quella vecchia bisbetica ha detto che lei è una principessa e io no. Quindi dimmi perché sei ancora qui» urla con le lacrime agli occhi.
«Sono qui perché a me non me ne frega niente di lei. Io voglio te. Solo te Mad e tu lo sai, ma sei troppo ubriaca per ragionare» dico avvicinandomi a lei.
«Mi dai anche della stupida ora. Sei uno stronzo Dylan e tu non mi meriti. Non credi abbia già sofferto abbastanza? Se non fossi mai venuta negli Hamptons qualche mese fa sarebbe stato meglio per tutti» sputa quelle parole come se fossero veleno. Pensa davvero quelle cose? Crede davvero che sia stato un errore? È questo che pensa di noi? Mille domande mi tormentano e una vocina in un angolo della mia testa continua a ripetermi "è ubriaca non sa quello che dice", ma è inutile. Quelle parole mi hanno procurato un dolore inimmaginabile nel petto. Prendo il telefono, le chiavi della macchina di mio padre ed esco. Non posso rimanere in quella stanza con lei per altro tempo. Non ce la faccio. Prima di uscire però chiudo la porta del balcone, affinché non possa fare cazzate, e porto via la chiave.
Continua ad urlarmi che sono un stronzo e che non me ne importa nulla di lei, ma se me ne sto andando, è proprio perché mi importa e quelle parole mi hanno ucciso.

Madison
Sono le 11.30 quando mi sveglio e vedo che Dylan non è a letto. Evidentemente è già sveglio. Mi alzo e vedo un disastro nella stanza. I vestiti di Dylan sono sparsi ovunque e il vestito che indossavo ieri sera è fuori dal balcone. Ma che diavolo è successo?
Cerco di aprire la porta per prendere il vestito, ma è chiusa a chiave. Quando tocco la maniglia, ho un orribile flashback.

Io che urlavo contro Dylan cose del tipo che era stato uno sbaglio venire durante l'estate negli Hamptons e che era uno stronzo. Lui che chiude la porta del balcone e che esce dalla stanza.
Devo trovarlo.
Metto dei pantaloncini e una felpa di Dylan, nonostante ci siano 5 gradi fuori e corro di sotto.
«Tesoro hai visto Dylan?» Mi chiede Ellen.
«No, ma ora devo andare. Ho fatto la cazzata più grande della mia vita» le dico correndo fuori.
Vedo che la macchina di Joseph non c'è. Può essere andato solo in un posto. Lo cerco per una decina di minuti finché non lo vedo lì, in riva al lago, a tirare sassi.
«Dy» dico sedendomi un po' distante da lui.
«Come facevi a sapere che fossi qui?» Chiede sorpreso.
«È il tuo posto preferito. Mi ci hai portato quest'estate» gli ricordo.
«Dici l'estate in cui hai fatto il più grande errore della tua vita a venire qui?» Sbotta acido guardandomi.
«Lo sai che quelle cose non le penso davvero. Per favore Dy ero solo arrabbiata» mi giustifico.
«Non puoi credere che quelle cose le pensi davvero» aggiungo avvicinandomi a lui.
«Ah davvero? A me sembravi molto seria mentre le dicevi, nonostante le lacrime che ti rigavano il viso» dice alzando leggermente la voce.
«Dylan diciamo tutti cose che non vogliamo quando siamo arrabbiati. Ti prego, non prendertela con me» lo supplico.
«Me la prendo con te e anche con me stesso per essere stato così stupido da non accorgermi che mi hai preso in giro per tutto questo tempo» dice camminando verso la riva.
«Dylan ti prego guardami, non puoi pensare davvero certe cose» mi metto di fronte a lui «è normale che tu sia arrabbiato, ma noi litighiamo spesso e poi torniamo come prima. Succederà così anche questa volta» dico rendendomi conto che forse era meglio non farlo.
«Per favore guardami» dico cercando il suo sguardo «Dylan» lo chiamo e lui continua a guardare dritto davanti a sé «tornerà tutto come prima» continuo mettendogli le mani sulle guance per farmi guardare «vero?» Gli chiedo guardando il suo sguardo assente.
«Dimmi di sì. Dimmi che vuoi tornare a casa con me. Dimmi che mi ami. Ti prego dimmelo» lo supplico sentendo la lacrime avvicinarsi, ma lui sta zitto e continua a non guardarmi.
«Dimmelo Dy, dimmelo!» Dico scuotendolo con le lacrime agli occhi.
Sembra che non mi veda.
«Ti prego» sussurro con un filo di voce.
«No Mad, non ti dirò queste cose. Non ti dirò che voglio tornare a casa con te perché non è quello che voglio ora. Non ti dirò che ritornerà tutto come prima perché ora non ne sarai capace. Non ti dirò niente delle cose che mi hai chiesto perché non le penso veramente» replica lui spostandosi da vicino a me e mettendosi seduto.
«Dylan per favore. Pensa a quello che stai dicendo. Vuoi davvero finirla qui?» Chiedo sperando in un no categorico.
Silenzio.
«Io ti amo vuoi capirlo, quelle cose non le pensavo, non le penso e non le penserò mai. Ti prego Dy, torna a casa con me» gli chiedo mettendomi in ginocchio tra le sue gambe, tutta tremolante, voce compresa, in preda ad una crisi di panico.
«Guardami Dylan. Guardami negli occhi perché io non sopporto la gente che mi parla e guarda altrove» gli ricordo mettendogli una mano sulla guancia «guardami e dimmi che vuoi finirla qui» aggiungo prendendogli le mani e lui mi guarda, finalmente «forza avanti» lo sprono guardandolo nonostante non riesca a reggere quello sguardo così pieno di rabbia nei miei confronti.
Lo bacio. Non so perché. Non so con quale forza. Metto le mie mani sulla nuca e le intreccio con i suoi capelli, ma lui non ricambia il bacio.
«Dimmi che mi ami e non finisce qui» dico dandogli dei baci a stampo e appoggiando la fronte sulla sua.
«Credo tu debba andare» mi dice mettendosi le mani nei capelli.
«Dylan per favore» rispondo cercando di toccargli il viso, ma lui mi blocca le mani.
«Madison, vai!» Urla guardandomi.
Mi alzo, lo guardo per un ultima volta e me ne vado. È davvero finita così? Siamo davvero arrivati a questo punto? Ed è successo tutto per colpa mia. Ancora una volta, è colpa mia.
Con gli occhi rossi dalle lacrime torno a casa prenoto il volo più vicino, preparo le valigie e, dopo aver salutato e ringraziato i signori Ross, torno a casa. Con il corpo a pezzi e insieme a lui la mia anima e il mio cuore.

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