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Il mattino dopo mi svegliai carico, con una forza nuova. Forse dovevo ringraziare Sofia per questa nuova vitalità. Anche perché, diciamocelo, la mattina ero sempre uno zombie.

Arrivato a scuola, Mara mi stava aspettando con il resto della compagnia e, potei vedere dalla sua espressione scioccata, che non mi aveva mai visto così pimpante.

"Ti sei fumato uno spinello?" mi domandò a bassa voce, per non far sentire agli altri che cosa avevo combinato.

Scoppiai a ridere, quasi confermando il dubbio della mia amica, ma scossi la testa: "No, tranquilla. È che per una volta ho dormito serenamente."

Avrei dovuto comportarmi come sempre di fronte a Mara, perché lei mi capiva anche solo con uno sguardo. Ormai erano anni che le stavo accanto, ma non mi aveva mai visto così preso da una ragazza. Per questo pregavo che non venisse a sapere della mia 'relazione' con Sofia. O meglio, del nostro patto.

In aula mi sedetti al solito banco e cercai con lo sguardo una chioma castana.

Questa sbucò dalla porta poco prima che entrasse la professoressa di latino, ma non mi degnò di uno sguardo, come aveva fatto per i primi cinque anni.

Non ascoltai neanche per un secondo le parole che uscivano dalla bocca dell'insegnante, che avrebbe anche potuto insultarmi, ma non l'avrei degnata di uno sguardo.

Perché il mio era rivolto all'unica persona che mi avrebbe fatto bocciare agli esami, di questo passo. Avrei dovuto darmi una bella svegliata, se no i miei mi avrebbero spedito in Siberia, nei campi di lavoro.

Così, nella consapevolezza di voler vivere ancora molto tempo nella mia città natale, mi disincantai e iniziai prendere appunti.

All'intervallo cercai Sofia, ma era sfuggita come per magia. Sicuramente l'avrei trovata al bar, ma Mara non aveva intenzione di lasciarmi andare da nessuna parte. Vedevo che il suo cervellino lavorava per capire cosa mi stesse capitando, ma non me ne importava niente.

Ebbi una chance durante l'ora di educazione fisica.

Ecco un tasto dolente nella mia carriera scolastica. Non ero una pappamolle, ma non ero neanche uno di quei ragazzi fisicati e ginnici, anzi...

Per mantenere una media alta dovevo corrompere il prof con la mia parlantina e farmi interrogare sulla teoria, senza farmi fare la pratica. Forse ero un po' detestato per questo motivo, ma ogni volta che proponevo agli altri compagni di essere interrogati con me, mi dicevano che ero un pazzo. Lo erano loro a fare quegli esercizi da rompersi il collo!

L'unica cosa da cui non ero 'esonerato' era la corsa che, puntualmente, dovevamo fare prima di iniziare con i giochi di squadra.

Erano i dieci minuti più brutti della giornata. Non solo sudavo come se avessi appena fatto la doccia vestito, ma avevo il fiatone peggio di un fumatore incallito.

Proprio per questo, ero appoggiato al muro della palestra, piegato sulle ginocchia e cercavo di espirare ed inspirare lentamente, facendo entrare in circolo più ossigeno possibile.

In quel momento Sofia mi passò accanto, dopo avermi doppiato come minimo una decina di volte, e mi disse, infischiandosene delle orecchie pettegole dei nostri compagni: "Se non ti avessi visto nudo, direi che sei molle come una mozzarella sotto quella maglia" e continuò imperterrita il suo giro, come se stesse sul divano a leggere.

Mara, che aveva sentito la sua frase, si accigliò e rallentò il passo, fino a quando si fermò al mio fianco.

"Marchetti ti ha vista nudo?!"

Diventai paonazzo, ma lei non lo notò, perché più rosso di così, dopo la corsa, non potevo e alzai le braccia, muovendole davanti a me come segno di diniego.

"Ma ti pare? Io e lei? Neanche per sogno!"

La ragazza ci pensò un po', poi rise, dandomi una pacca sulla spalla: "Scusa, è vero. Stiamo parlando di te e lei!"

Ridendo ancora se ne andò, per completare il suo giro di corsa.

Ci rimasi male per quella affermazione. Che cosa intendeva? Che io non posso fare sesso? Che non sono all'altezza di Sofia?

Mi rabbuiai e, appena mi passò di fianco Sofia, la presi da un braccio e la strattonai all'interno di una stanza che era poco distante da dove mi trovavo.

La mia nuova 'amica' cacciò un urletto, che io bloccai mettendole una mano davanti alla bocca e, serio, le dissi: "Dobbiamo parlare."

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