Prologo.

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PROLOGO.




Quattro anni dopo.


Il cielo di Lisbona non era mai stato tanto luminoso, pensò Astrea. Affacciata alla finestra rettangolare dello studio di suo padre, ammirava la Praça de D. Pedro IV, meglio conosciuta come la Piazza del Rossio, il punto nevralgico della città. Un manto scuro puntellato di stelle si stendeva sulle teste dei cittadini, c'era chi passeggiava, chi andava di fretta, chi rideva, chi piangeva. Ricordò che proprio in quella piazza uccise il suo primo demone, un Iblis, insieme al suo parabatai. Già, Thomas. Erano passati ormai quattro anni dalla sera in cui, sulla finestra del suo appartamento, era comparsa una parte del giuramento parabatai in francese, quattro anni in cui aveva aspettato che Thomas e Sylvie si facessero vivi. Invece, non era successo niente. Dopo quella sera, Raphael aveva deciso che era meglio cambiare casa, e perciò adesso abitavano in un attico a due isolati da Magnus e Alec. Per lungo tempo Astrea si era messa alla ricerca di Thomas, o almeno di una traccia che facesse intendere che il suo ritorno fosse certo, ma non aveva trovato mai nulla. Sembrava scomparso insieme alla sua diabolica socia. Mentre la vita era andata avanti per tutti, lei non faceva altro che vivere nel timore che i suoi cari fossero minacciati da un momento all'altro. Per quanto fingesse di non pensarci più, Thomas e Sylvie erano il suo pensiero fisso. Il Console Blackwell era stato deposto dopo la faccenda di Adam e Carter Miller, così il suo successore non poteva aiutare Astrea nella ricerca del suo folle parabatai. Gabriella Ravenscar, l'attuale Console, aveva ereditato la questione dell'evasione di Thomas, però non spendeva troppe energie nel cercarlo. Astrea era rimasta da sola ad affrontare quella situazione terribile. Certo, c'erano i suoi amici e il suo ragazzo, ma nessuno poteva capire fino in fondo il suo dolore. Un giorno, dopo aver litigato con Raphael a causa della sua ossessione per Thomas, Astrea aveva deciso di smettere di indagare e di cercare di vivere una vita normale. Aveva imparato a mentire così bene da aver paura di mentire anche a se stessa. L'Istituto di Lisbona era a tutti gli effetti un centro di accoglienza per tutti i membri del Mondo delle Ombre, vampiri, licantropi, stregoni e Nephilim. Il lavoro era frenetico, le camere erano piene, così come era impegnativo accontentare circa cento ospiti con esigenze diverse. Per sua fortuna, Sally e Tanisha l'aiutavano con i vampiri, Haru si occupava degli stregoni, e Nikolai si prendeva cura dei licantropi; i Nephilim erano per lo più scappati di casa, orfani, persone dimenticate dal Clave che aveva bisogno di un riparo. Darsi da fare per mantenere l'Istituto era un'ottima distrazione per Astrea, l'aiutava a non pensare. In quei quattro anni, però, non era cambiata solo lei: Raphael era diventato avvocato e lavorava presso uno degli studi legali più importanti di New York. Avevano festeggiato la laurea regalandosi una settimana di crociera, tanto ormai potevano permetterselo. Vedere Raphael realizzare i suoi sogni era una gioia immensa, la prova che la fortuna ogni tanto gira per il verso giusto. Sally, che aveva abbandonato del tutto il clan del DuMort, aveva intrapreso una relazione stabile con Glenys, si erano trasferite in una villetta di periferia e stavano pensando di aprire un'erboristeria. Anche Nikolai aveva fatto progressi, adesso si trovava a suo agio con il lupo che abitava in lui, riusciva a controllarsi, e stava nascendo del tenero con Tanisha, che ormai si era piazzata a Lisbona con Haru. Rafe e Max, di rispettivamente quattordici e dodici anni, erano parte integrante del Mondo delle Ombre, sempre sostenuti da Magnus e Alec. Insomma, la vita procedeva come da manuale. Astrea sospirò, distogliendo lo sguardo dalla piazza, e si sedette alla scrivania per terminare l'elenco dei nomi di chi risiedeva all'Istituto. L'indomani la aspettava un meeting a Idris con il Console circa l'attività dell'Istituto, perché il Clave non aveva più voglia di lasciare che Astrea gestisse una sua proprietà a quel modo. Strinse fra le dita la perla color avorio che portava al collo, un cimelio della famiglia Santiago, alla ricerca di un ristoro, quello stesso che negli ultimi anni non trovava. Dei colpi ripetuti alla porta la destarono dai suoi pensieri. Essendo le sette e mezzo di sera, aveva più o meno idea di chi fosse.

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